Goal.comPer celebrare l'addio al calcio di Andrea Pirlo, questa settimana ripercorriamo insieme la sua carriera in 7 capitoli. Il volume 2 tratteggia gli inizi da calciatore di Andrea Pirlo: il debutto a 16 anni nel Brescia, la crescita nella squadra della sua città narrata da chi lo ha visto da vicino.
Nelle giornate di vento, se ti ritrovi a passeggiare per le vie di Brescia e vedi un fazzoletto volare pensi subito ad Andrea Pirlo. Perché è da lì che tutto è partito, è da lì che è nata la leggenda.
Pirlo Series Vol. 1 - Le 10 migliori giocate
In pochi, tuttavia, si immaginavano che quel ragazzino taciturno e con la chioma fluente sarebbe diventato uno dei giocatori più forti della storia del calcio. Ma tra quei pochi c'era Antonio Filippini.
"Il primo giorno che lo vidi in campo - ha raccontato a Goal - dissi subito che sarebbe diventato uno dei più forti. Era come se volasse, aveva una delicatezza fuori dal comune".

C'era soltanto un problema: Pirlo si sentiva un trequartista e fu proprio in quel ruolo che debuttò in Serie A il 21 maggio nel 1995, subentrando a Schenardi negli ultimi minuti della sfida persa contro la Reggiana: "Sono contento di avergli lasciato il posto - ci ha detto lo stesso Schenardi ridendo - perché a suo modo mi ha fatto entrare nella storia. Ormai la gente si ricorda di me perché sono quello che gli ha lasciato il posto nel giorno del suo esordio".
E non è un caso, forse, che la Reggiana fu la stessa squadra contro cui un anno prima Del Piero segnò il suo primo goal con la Juventus. Qualche anno più tardi i due avrebbero vinto un Mondiale e uno Scudetto insieme, ma la storia e la carriera di Pirlo cambiaraono molto prima che tutto questo succedesse: "Era un martedì pomeriggio - ricorda Antonio Filippini - Mazzone gli disse che aveva intenzione di metterlo davanti alla difesa con me e mio fratello ai suoi lati. Gli disse che quello era il suo ruolo e Pirlo lo accettò sin da subito".
Poteva rifiutarsi, fare la prima donna, ma non sarebbe mai diventato Andrea Pirlo: "A quei tempi era un giocatore totalmente diverso da quello che conosciamo - ha spiegato Emanuele Filippini a Goal - era una mezza punta, aveva 16 anni e una grandissima tecnica. Sembrava un fazzoletto che girava col vento con movenze cadenzate".
Antonio ed Emanuele Filippini sono stati un po' come le sue chiocce, i suoi scudieri in un percorso di crescita che lo ha portato alla definitiva consacrazione nella stagione 1997/98, quando nonostante la retrocessione del Brescia riuscì a guadagnarsi la chiamata dell'Inter grazie alle prime vere prestazioni da Pirlo.
GoalIn nerazzurro, però, non riuscì mai a trovare la vera identità e fu ancora una volta Mazzone a ribadirgli quale fosse la sua strada quando tornò in prestito al Brescia nel 2000: "Davanti ho già Baggio che fa il tuo ruolo, tu mi servi dietro, devi fare il regista". Pirlo e Baggio insieme, a pensarci adesso viene la pelle d'oca. E' un po' come se Caravaggio e Picasso avessero dipinto un unico fantastico quadro.
Insieme hanno giocato poche partite, ma quanto basta per far capire a Pirlo che in quel ruolo sarebbe stato ancor più protagonista: "Se si fosse intestardito, probabilmente, si sarebbe perso come tanti - ci ha detto ancora Emanuele Filippini - invece ha capito che era fondamentale in quella zona del campo. Quando mi chiedono di Pirlo rispondo che la sua grandezza è stata quella di accettare il cambio di ruolo e capire che lì sarebbe diventato uno dei più grandi".
L'umiltà e la maturità, due virtù che sono nate con Pirlo. Già a 16 anni ha imparato ad essere uomo: "In camera, prima delle partite - ci racconta Antonio Filippini - io ero teso mentre invece lui era tranquillo e beato, uguale a come è in campo. Poteva succede qualsiasi cosa, niente lo turbava".
Goal*immagini tratte da collezioni Panini per gentile concessione dell’Editore
Ma chi pensa che Pirlo non si sapesse divertire non conosce la storia che ci ha raccontato Emanuele Filippini: "Per la promozione in Serie A organizzamo un concerto con la mia band, le 'Rondinelle Rock, con cantante Maurizio Neri. Ricordo che invitammo tutti i giocatori a cantare e alla fine ognugno di loro si buttava tra la folla, ma quando venne il turno di Pirlo la gente si spostò e Andrea cadde per terra".
Oggi, probabilmente, gli avrebbero steso un tappeto rosso. Ma anche quando cadde da quel palco, Pirlo si rialzò come se niente fosse. Il suo unico obiettivo era diventare grande e alla fine è diventato il più grande al mondo nel suo ruolo, quello che non doveva essere nemmeno il suo.
