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La meteora Pedro Pineda, il primo messicano della Serie A

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di Federico Casotti

L'acquisto di Santi Gimenez riporta d'attualità il rapporto mai davvero sbocciato tra i calciatori messicani e il campionato italiano. Il nuovo 9 del Milan sarà infatti appena il nono giocatore messicano a giocare in Serie A, dopo la meteora Layun (Atalanta, nel 2009), la vecchia gloria Rafa Marquez (35 presenze con il Verona tra il 2014 e il 2015), Carlos Salcedo (Fiorentina), Hector Moreno (Roma), Hirving Lozano (Scudettato col Napoli), Guillermo Ochoa (portiere transitato a Salerno) e il genoano Johan Vasquez.

Prima di essi, però, c'è stato un attaccante, a inizio anni'90: si chiamava (e si chiama ancora) Pedro Pineda e da un punto di vista formale è il primo messicano nella storia della Serie A italiana.

Una storia particolare, figlia del gigantismo dei club italiani dei primi anni'90. Siamo negli anni in cui la Serie A è indiscutibilmente il miglior campionato del mondo, e nella stagione 1991-1992 ci si prepara a un cambio regolamentare molto importante: il passaggio dal limite di tre stranieri tesserabili al libero tesseramento, con la sola limitazione di massimo tre giocatori tra campo e panchina (allora composta da cinque giocatori).

Il Milan di Capello, prossimo a laurearsi campione d'Italia, si portò avanti e mise sotto contratto tre giovani stranieri di grandi prospettive: il 23enne trequartista Zvonimir Boban, prelevato per 10 miliardi di lire dalla Dinamo Zagabria e subito girato in prestito al Bari, il 19enne attaccante brasiliano Elber de Souza, preso dal Londrina e subito prestato agli svizzeri del Grasshoppers, e appunto Pedro Pineda. Quest'ultimo aveva 20 anni, giocava nel Guadalajara ed era reduce dal Mondiale Under 20, nel quale si era messo in evidenza realizzando 4 reti, al pari dello stesso Elber.

Paracadutato a Milanello, con poche o nulle speranze di giocare, Pedro Pineda molti anni più tardi racconterà la sua esperienza in rossonero al quotidiano "El Universal": "Essere in quella squadra era incredibile, c'era Fabio Capello allenatore, mi allenavo con Baresi, Maldini, Costacurta, Rijkaard. Purtroppo mi allenavo e basta...".

Di tutti gli ex compagni, uno si è conquistato un ricordo particolare: "Roberto Donadoni era un ragazzo di grande umiltà, tutti i giorni passava a prendermi all'albergo per portarmi al campo e poi mi riportava a casa, nonostante non abitassi vicino a lui. Quanti aneddoti raccontava...".

La storia con il Milan non ebbe un lieto fine. Chiuso da una rosa stellare, poco considerata l'idea di un prestito in Serie A, il giocatore viene rimpatriato in prestito al Chivas. Ma anche qui le cose non vanno per il verso giusto, nonostante due goal al debutto: "L'accordo era che il Chivas mi avrebbe pagato, ma il Chivas non aveva un soldo. Non ho ricevuto un solo peso, perchè non avevano pesos in cassa. E nessuno mi aiutò, non ho avuto alcun sostegno dalle autorità. I dirigenti del Chivas mi abbandonarono in un albergo di Milano, chiesi di loro alla reception e mi dissero che erano partiti per Los Angeles...", commentò amaro in un'intervista del 2006 a ESPN.

Una volta smaltita la delusione - umana per il comportamento del Chivas, sportiva per l'opportunità italiana sfumata - a Pineda non rimase che portare avanti la carriera in patria, con buoni risultati. Una carriera da girovago, con 11 squadre cambiate e 100 goal tondi tondi da professionista. Purtroppo per lui, nessuno di questi in quella Serie A solo sfiorata, da molto vicino.

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