“The ice age is coming, the sun is zooming in”: più o meno alla fine del video ufficiale di "London Calling" dei Clash si può notare il compianto Joe Strummer alzare al cielo la chitarra, quasi a volersene liberare, in segno di protesta. La canzone stessa lo è: un inno alla ribellione contro una città, Londra, in rovina. Un’era glaciale in arrivo: là, dove il sole si sta avvicinando. Socialmente un avviso direttamente estrapolato dai radiogiornali della seconda guerra mondiale.
Giampaolo Pazzini avrà ascoltato quello che è a tutti gli effetti uno dei più rappresentativi singoli della band inglese (probabilmente dopo “Should I stay or should I go”, se non allo stesso livello) un migliaio di volte: possiamo scommetterci. Non sapremo mai se intenzionalmente: di certo inconsapevolmente, in sottofondo. Celato tra i pensieri che tra una partita e l’altra caratterizzano il fare di un atleta, compiuto nella perfezione del movimento, artistico, del tiro o del passaggio. Nel caso di un attaccante, del goal: una smorfia tendente al dolore che è al tempo stesso il preludio di un momento di altissima gioia. La contrapposizione perfetta, culmine del mistero calcistico.
Un altro mistero, se volete, si nasconde e si conserva sulla copertina del disco dei Clash, che prende lo stesso nome della canzone già citata: Paul Simonon, uno dei membri del gruppo, sicuramente quello tendente più allo stile, come testimoniano le numerose foto con una quantità quasi infinta di cappelli indossati (ma con il sorriso monco per la spiacevole dipartita di un incisivo), viene ritratto in posa artistica intento a distruggere il suo basso, durante un concerto del 1979. Nulla di più spontaneo: e, allo stesso tempo, nulla di più vicino a quanto fatto da Pazzini e compagni nel marzo del 2007.
Non sono fatti per le feste reali, gli italiani: eternamente e orgogliosamente segnati dalla definizione tra le più superficiali del mondo, “pizza, pasta e mandolino”. Ma con stile. “Italians do it better”: la fanno meglio, qualsiasi cosa sia. Persino rovinare un’inaugurazione storica: il ritorno a Wembley della nazionale inglese, dopo quasi sette anni dall’ultima volta. E, soprattutto: dopo la demolizione e la costruzione di quello che è, a tutti gli effetti, il nuovo stadio.
La FA deve aver pensato che potesse essere quantomeno simpatico far sfidare due tra le nazionali più iconiche del calcio mondiale, Inghilterra e Italia, tra l’altro le loro selezioni Under 21: uno sguardo al futuro dallo stadio del futuro. Insomma: quadra tutto. Ciò che la federazione inglese non si aspettava, probabilmente, è la reazione di stupore generale spinta dall’architettura entusiasmante dell’arco, ma quello disegnato dopo venti secondi da Giampaolo Pazzini, in perfetta linea con la struttura che sovrasta lo stadio. Destro dalla distanza sul primo palo dopo una finta di corpo: Camp vola, ma non può arrivarci. Dita dritte sugli occhi, come al solito: Riccardo Montolivo, inseparabile, gli corre incontro, abbracciandolo. Quella 2006/07, allora in corso, è stata una stagione importante per i due, alla Fiorentina: centrali nel progetto di Cesare Prandelli, basi importanti in vista dell’anno successivo (culminato con un quarto posto in Serie A e con la semifinale di Coppa UEFA).
GettyC’è di più, comunque, nelle convocazioni di Pierluigi Casiraghi, allora allenatore degli azzurrini: un progetto destinato a naufragare sotto i colpi delle aspettative, dettate anche dalla vittoria della Nazionale maggiore ai Mondiali del 2006, ma anche e soprattutto dal ricambio generazionale che quella stessa Nazionale imporrà di lì a breve, prelevando di fatto alcuni tra i giocatori più talentuosi dell’Under 21. Quel giorno di marzo, il 27, comunque, era l’ultimo dei pensieri: gli altri correvano indietro nel tempo.
Sei anni prima dell’uscita di London Calling, nel ’73, Londra “chiamò” davvero, chiedendo aiuto, calcisticamente. A Wembley, quello vecchio, l’amichevole tra Inghilterra e Italia anima la serata di migliaia di appassionati presenti a vedere due formazioni ben diverse tra loro: da un lato i vicecampioni del Mondo del 1970, l’Italia, dall’altra una nazionale che nonostante diversi interpreti illustri non riusciva a decollare, l’Inghilterra, in un’amichevole destinata a fare la storia grazie alla rete di Fabio Capello, abile e spedire in rete la respinta corta di Peter Shilton su cross di Giorgio Chinaglia. Una gara epica, tra aspetti sociali e risvolti sportivi.
Spiazzati dal vantaggio di Pazzini, tornando al 2007, gli inglesi reagiscono: punizione magistralmente trasformata da David Bentley al 37’, vantaggio di Wayne Routledge in apertura di ripresa. Insomma: gli inglesi, già scottati perché il primo a siglare un goal nel nuovo Wembley è stato un italiano, si riprendono la scena, che dura solo un minuto. Calcio d’angolo battuto da Rosina, respinta sul secondo palo di Mantovani e guizzo sottoporta di Pazzini. Oltre al primo goal anche la prima doppietta: esistono giornate peggiori.
GettySul parziale 2-2 la mente di Casiraghi deve essere ritornata nuovamente al passato, ma questa volta ad un’esperienza che ha vissuto sulla sua pelle. Nel ’97 Gianfranco Zola è già diventato “Magic Box”, per gli inglesi. Il suo sorriso inconfondibile e la sua grande personalità (con un lato umano eccezionale) squarcia a metà la visione dei presenti a Wembley, il 12 febbraio. Quando c’è di mezzo la Nazionale, e nello specifico la qualificazione ai Mondiali, l’appartenenza ai club viene ridotta a mero dettaglio nel mare del patriottismo: giusto così. Basta un lampo, pochi secondi prestati alla storia: lancio lungo di Costacurta, aggancio di Zola che con il destro trafigge Walker, regalando la vittoria per 0-1 a Cesare Maldini e giocatori. A un Paese che sognava in grande, scottata dalla finale dei Mondiali del ’94 e dagli Europei del ’96.
Casiraghi non fa in tempo a tornare con la testa al nuovo Wembley, nel 2007, che l’Inghilterra è di nuovo in vantaggio: tiro svirgolato da Milner che diventa facile preda, sottoporta, di Derbyshire, che batte Curci. Sarebbe potuta terminare benissimo così, se il commissario tecnico degli azzurrini avesse tirato fuori Pazzini: ma dopo il primo goal, dopo la prima doppietta nel nuovo stadio, la prima tripletta in una gara disputata in quel di Londra, sotto l’arco che domenica prossima benedirà la finale di Euro 2020, non suonava così male. Diagonale perfetto, su cui Camp non può nulla: 3-3. Avrebbe potuto segnare anche il quarto, divorandoselo da pochi passi: sarebbe stato fin troppo rivoluzionario, pensandoci.
GettyAd esserlo ci aveva già pensato Giorgio Chiellini, che in quel pomeriggio di marzo del 2007 rimediò calcio e un taglio in testa da Ridgewell, indossando con ogni probabilità uno dei primi “turbanti” della sua lunga carriera che lo vedrà, domenica, affrontare un'altra finale e scendere in campo da capitano dell’Italia. Un colpo alla testa come quello dei Clash, simbolo di rottura con il sistema: “London calling”, a metà strada tra “Football it’s coming home” e “Italians do it better”. Persino l’inaugurazione del nuovo Wembley: roba da “Pazzo”, e da italiani.
