Quando è arrivato sulla panchina della Roma, nell'estate 2019, molti si chiedevano se Paulo Fonseca sarebbe stato capace di reggere alle pressioni di una piazza calda come quella giallorossa. Quasi due anni dopo il tecnico portoghese ha dimostrato come, dietro alle indubbie qualità a livello tattico, ci sia un carattere di ferro. In tal senso chiedere per informazioni a Edin Dzeko, al quale Fonseca ha tolto la fascia da capitano dimostrando così di saper tenere in pugno lo spogliatoio.
"Sono molto felice di essere stato nominato nuovo allenatore della Roma e desidero ringraziare tutta la dirigenza del club per l’opportunità che mi è stata data. Sono entusiasta e motivato dalla sfida che ci aspetta e non vedo l’ora di trasferirmi a Roma, di incontrare i nostri tifosi e di cominciare a lavorare. Credo che insieme potremo creare qualcosa di speciale".
Dopo una carriera non certo brillante da calciatore d'altronde Fonseca si è fatto le ossa in patria, con una lunga gavetta nelle serie minori portoghesi fino alla chiamata che gli ha cambiato la carriera da parte del Pacos de Ferreira, club con cui conquista la qualificazione in Champions League. Quindi il Porto, dove le cose non vanno benissimo, il Braga e lo Shakhtar Donetsk. Fino all'Italia. Destinazione Roma, appunto.
LA CARRIERA DA CALCIATORE
Paulo Fonseca, classe 1973, nasce a Nampula nell'allora colonia lusitana del Mozambico. Già da piccolissimo però si trasferisce insieme alla famiglia in Portogallo più esattamente a Barreiro. nel distretto di Setúbal, città quest'ultima nota per avere dato i natali a un certo José Mourinho, forse il più celebre tecnico del Paese.
“E’ un allenatore dell’altro mondo, magari un giorno mi piacerebbe essere come lui. Ma Mou è Mou”
Proprio a Barreiro il piccolo Paulo si innamora del calcio militando nelle giovanili della squadra locale, la Barreirense, con cui debutta tra i grandi. Gioca come difensore centrale e resta lì fino al 1995, quando a notarlo è il Porto, che lo gira in prestito: Leça, Belenenses, Maritimo e Vitoria Guimaraes prima del trasferimento all'Estrela Amadora dove nel 2005, a soli 32 anni, chiude la sua breve e non troppo fortunata carriera da calciatore per iniziare quella da allenatore. Fonseca però, come raccontato qualche tempo fa a 'Roma Tv', non ha rimpianti.
"Ho sempre avuto la fortuna di essere ciò che desideravo. Da ragazzo sognavo di giocare a calcio e sono stato un calciatore. Poi ho sognato di diventare un allenatore e oggi lo sono, all’inizio sognavo di allenare la Serie A portoghese e l’ho fatto, sognavo di allenare un grande club europeo e oggi mi ritrovo qui. A livello professionale mi sento molto realizzato”.
L'IMPRESA COL PACOS, ESONERATO DAL PORTO
Dopo aver allenato le giovanili dell'Estrela Amadora, Fonseca si siede sulla panchina dell'Aves, in seconda divisione, con cui sfiora la promozione al primo tentativo piazzandosi terzo. L'impresa comunque è solo rimandata. Nel 2012 infatti arriva la chiamata del Pacos de Ferreira, in prima divisione portoghese, e stavolta il terzo posto vale una storica qualificazione ai preliminari di Champions League.
Una stagione da sogno, insomma, tanto che il Porto decide di affidarsi a lui. Il suo mantra è il 4-2-3-1 offensivo ma ordinato, con trequartisti tecnici e bravi a inserirsi, terzini alti e centrali di impostazione. Fonseca vince subito il primo trofeo della sua carriera sollevando al cielo la Supercoppa di Portogallo ma esce nella fase a gironi della Champions League ed a marzo del 2014 viene esonerato a causa degli scarsi risultati in campionato. La sua avventura sulla panchina dei Dragoes, dove tra gli altri allena i futuri juventini Danilo e Alex Sandro, si conclude così con 21 vittorie, 9 pareggi e ben 7 sconfitte.
"Il mio calcio non era adatto ai giocatori che c’erano. Vincere non mi basta, voglio farlo giocando bene”.
AFPIL RILANCIO AL BRAGA, I TRIONFI CON LO SHAKHTAR
Fonseca ritorna al Pacos de Ferreira ma la magia si è ormai rotta, tanto che chiude il campionato all'ottavo posto e al termine della stagione decide di cambiare di nuovo aria accettando la panchina del Braga con cui si piazza quarto in campionato ma soprattutto conquista la Coppa di Portogallo battendo in finale proprio il Porto e arriva fino ai quarti di finale di Europa League, dove viene eliminato dallo Shakhtar Donetsk, ovvero il club che sancirà la sua definitiva consacrazione come allenatore.
Fonseca resta in Ucraina tre anni, lancia tantissimi calciatori (Marlos, Taison, Dentinho, Fred, Facundo Ferreyra e soprattutto Ismaily), vince ben 7 trofei tra cui tre campionati consecutivi ma soprattutto compie l'impresa di battere il Manchester City dell'idolo Guardiola in Champions League e la sera stessa si presenta in conferenza stampa vestito da Zorro, mantenendo la promessa fatta alla vigilia della gara.
"Da bambino ero povero, e per chi è così il costume di Zorro è il più semplice da creare a Carnevale”.
Il primo incrocio tra Fonseca e la Roma avviene agli ottavi di Champions League nel 2017, il suo Shakhtar vince l'andata per 2-1, al ritorno però i giallorossi allora allenati da Di Francesco strappano l'1-0 e si qualificano per i quarti di finale. Allora non sa ancora che il suo futuro sarà proprio nella Capitale. Nei suoi tre anni allo Shakhtar vince 103 partite su 139, con sole 17 sconfitte ma a causa della guerra non avrà mai la possibilità di vedere Donetsk.
"Alleno lo Shakhtar e non ci sono mai stato, è triste. Lo stadio ha subito lievi danni e viene utilizzato dal nostro presidente come luogo di ristoro in città, alimenta un sacco di gente. Facciamo migliaia di voli, spostamenti, viaggi, per i giocatori è peggio”.
Le difficoltà, insomma, non mancano soprattutto a livello personale anche se Fonseca deve molto alla sua esperienza in Ucraina.
"Erano tutti molto diversi rispetto ai popoli latini, ma devo dire che ho amato molto anche quel paese. Vivere lì è stata un'esperienza unica, fa sempre freddo e nevica molto e l'ambientamento non è stato affatto facile però poi mi sono abituato. Kiev è una città fantastica, e mi ha dato molto affetto, lì ho conosciuto mia moglie ed è nato anche mio figlio".
L'AMORE PER L'ITALIA E IL PRESENTE ALLA ROMA
Il presente adesso si chiama Italia, Roma. Fonseca peraltro è da tempo legato al nostro Paese dove, sulle rive del lago di Como, qualche anno fa ha sposato Katerina Ostroushko. Un amore, quello per l'Italia, confessato dal tecnico portoghese anche in una recente intervista concessa a 'Sky Sport'.
"Dell'Italia mi piace la pasta, amo la cacio e pepe così come altri piatti tipici. Però ho un debole per il pesce, è il mio cibo preferito. Quando vado al ristorante lo prendo sempre ma lo cucino anche in casa, anche se non sono bravissimo come cuoco. Qui sento un clima simile a quello che c'è in Portogallo. Ovviamente ho nostalgia della famiglia e degli amici, oltre che delle spiagge e della cucina del mio paese. Però la mia vita romana mi ricorda molto quella portoghese".
Il calcio non è l'unica passione di Fonseca, che ama moltissimo anche la moda e la musica.
"Mia moglie cura il mio outfit, è una specialista. Amo i vestiti, le scarpe e confesso di essere attento alle ultime tendenze pur non seguendo molto vicino alle novità della monda. Però è un aspetto che mi piace molto, soprattutto per le scarpe. Per quanto riguarda la musica sono più da rock ma in certi momenti posso essere più da fado, però non sono un grande appassionato di quello tradizionale portoghese. C'è una cantante, Marisa, che non fa proprio il fado tradizionale ma mi piace molto. Però sono più rock, mi piace ascoltare Walka. Per esempio, uscendo da Trigoria mi metto le cuffie e ascolto 3 o 4 canzoni: mi aiuta e mi fa bene allo spirito"


