GOALIl vivaio dell'Atalanta ha sempre sfornato giocatori di talento, esplosi in nerazzurro e venduti a peso d'oro alle classiche 'big': un settore giovanile tra i più floridi d'Italia, gestito dal compianto Mino Favini, artefice di un lavoro certosino e deus ex machina del miracolo atalantino. Tra i ragazzi allevati dal grande talent scout troviamo anche Riccardo Montolivo, che però la maglia della prima squadra l'ha indossata davvero poco, a confronto con le presenze accumulate nelle varie selezioni Under a partire dal 1993: è questo l'anno in cui entra a far parte della 'famiglia' bergamasca, termine quanto mai azzeccato per lo spirito di comunione che, da quelle parti, è una delle componenti fondamentali per trasformare un ragazzino in un potenziale campione.
La stagione della svolta è la 2003/2004 quando, a soli 18 anni, Montolivo esordisce con la maglia orobica nel campionato di Serie B, concluso con la promozione nella massima serie: Mandorlini intravede in lui qualcosa di speciale e non si lascia condizionare dalla carta d'identità e dall'esperienza praticamente nulla, alternandolo nelle rotazioni di centrocampo e gestendolo alla perfezione. Un altro 18enne 'terribile' è Giampaolo Pazzini, di cui Montolivo è ottimo amico: un'intesa invidiabile dentro e fuori dal campo, al tal punto che viene coniato il termine 'Pazzolivo', utilizzato anche da uno spot molto in voga all'epoca. Proprio il feeling tra i due fa le fortune dell'Atalanta, salvo poi spezzarsi momentaneamente nel gennaio 2005 con l'approdo dell'attaccante alla Fiorentina.
L'avverbio 'momentaneamente' non è usato a caso: nell'estate 2005, infatti, dopo la retrocessione in B, l'Atalanta cede Montolivo ai viola con la formula della comproprietà; quella è la temibile squadra guidata da Cesare Prandelli, tra i tecnici più abili a lasciar crescere i giovani. Sotto la sua ala protettiva, Montolivo porta a termine una maturazione iniziata molti mesi prima, distinguendosi come uno dei centrocampisti italiani di maggior spessore e convincendo la società toscana a riscattare l'altra metà del cartellino. A convincersi è anche il ct azzurro Donadoni che, nel 2007, lo fa esordire nell'amichevole giocata a Siena e vinta contro il Sudafrica. A Firenze Montolivo ha tutto: un ottimo stipendio, la considerazione del mister e l'affetto enorme del popolo gigliato. Eppure, nel 2011, qualcosa si rompe.
Con il contratto in scadenza nel giugno successivo, Montolivo prende in seria considerazione l'ipotesi del divorzio dalla Fiorentina per tentare una nuova avventura, magari in un club di maggior blasone rispetto ai viola. A fine estate, nel mese di settembre, la decisione definitiva di liberarsi a costo zero al termine dell'annata, comunicata alla dirigenza che lo priva della fascia da capitano precedentemente conquistata per affidarla a Gamberini. Nessuna ripercussione per quanto riguarda la titolarità, mantenuta nonostante la chiara volontà di salutare: i tifosi provano fino all'ultimo di fargli cambiare idea, senza riuscirci. Il suo padre putativo, Mino Favini, prova a consigliargli tra le righe di rimanere a Firenze, 'invito' rimasto inascoltato.
"So che Montolivo ha sofferto un po' le critiche dell'ultimo periodo. So per certo che ama Firenze: se sceglierà di seguire il cuore, il suo futuro sarà in viola, altrimenti penserà al trasferimento in nuovi lidi".
Lo scenario che si configura è il secondo, con la separazione da una squadra diventata nel frattempo una polveriera, accentuata dalla famosa lite in panchina tra Delio Rossi e Adem Ljajic durante un Fiorentina-Novara 2-2. Il 17 maggio 2012 arriva l'ufficialità dell'approdo, a parametro zero, di Montolivo al Milan, dove qualche settimana più tardi ritroverà l'amico di sempre, quel Pazzini finito nello scambio con Cassano, ceduto ai cugini nerazzurri. Qui è subito uno dei punti fermi dell'undici titolare di Massimiliano Allegri e, ai nastri di partenza della stagione 2013/2014, conquista la fascia da capitano in sostituzione del partente Massimo Ambrosini. Questa gioia si rivela però effimera, un lampo di luce prima del buio: il 31 maggio 2014, nell'amichevole tra Italia e Irlanda, si procura la frattura della tibia che gli costa la partecipazione ai Mondiali in Brasile, nei quali sarebbe stato sicuramente uno degli uomini di maggiore affidamento per il ct Prandelli.
Il minutaggio raccolto nella stagione successiva è fortemente condizionato da questo problema fisico rimediato con la Nazionale che, purtroppo per Montolivo, non è l'unico: dopo aver ritrovato la confidenza con il terreno di gioco, ecco un'altra tegola, ancora più grave, con la rottura del legamento crociato occorsa il 7 ottobre 2016 nel match disputato a Torino tra Italia e Spagna, valido per le qualificazioni ai Mondiali 2018. Altro giro e altra riabilitazione, che gli impedisce di prendere parte alla finale di Supercoppa Italiana del 23 dicembre contro la Juventus, battuta dopo la lotteria dei calci di rigore: ad alzare il trofeo al cielo di Doha è Ignazio Abate, il quale fa le veci di Montolivo che comunque riesce a fregiarsi di un titolo importante.
L'estate 2017 è una delle più ricordate dai tifosi del Milan per l'imponente campagna acquisti operata dal duo Fassone-Mirabelli: uno dei colpi di mercato è Leonardo Bonucci, insignito del ruolo di capitano qualche giorno dopo il suo sbarco a Milano. Una scelta effettuata direttamente dalla nuova proprietà cinese e che Montolivo, sentendosi defraudato, non condivide. Ai microfoni del 'Corriere dello Sport' la ricostruzione di quei momenti così concitati.
"La fascia a Bonucci? Non fui io a consegnargliela. Mi dissero che Yonghong Li aveva deciso che la fascia sarebbe passata a uno dei nuovi. Quando me lo comunicarono spiegai che lo trovavo ingiusto, che stavano commettendo un grosso errore poiché nello spogliatoio ci sono delle gerarchie che dovrebbero essere sempre rispettate. Feci i nomi di Bonaventura e Romagnoli. Niente, Bonucci".
GettyAd aggravare ulteriormente la situazione personale all'interno dello spogliatoio, vi sono anche le scelte del nuovo tecnico rossonero Gattuso che, col passare delle settimane, finisce per lasciare Montolivo ai margini, concedendogli solo poche apparizioni. L'ultima, scherzo del destino, il 13 maggio 2018 a Bergamo contro la sua ex Atalanta: mezz'ora finale macchiata da un cartellino rosso, il modo più nefasto per concludere una carriera. Sì perché, anche se Montolivo ancora non lo sa, quella rimarrà l'ultima presenza in assoluto prima del ritiro dalle scene, avvenuto ufficialmente il 13 novembre 2019 con l'annuncio ufficiale dello stop. Decisione presa dopo aver passato l'intera stagione 2018/2019 come un corpo estraneo alla rosa del Milan, mai impiegato nemmeno nei momenti d'emergenza come la sfida giocata a San Siro con la Fiorentina.
"Ma il massimo credo che l’abbia raggiunto quando, fuori Biglia e io in panchina, José Mauri fece il centrale e Calabria, un terzino, partì mezzala. A un certo punto José Mauri chiese il cambio e l’allenatore spostò Calabria centrale e Calhanoglu fece la mezzala. Dopo quell’episodio provai a chiedere spiegazioni a Leonardo, la sua risposta fu questa: 'È stata una decisione dell’allenatore'. Il quale aveva detto che non avevo minutaggio. Ma come avrei potuto avere minutaggio se non mi metteva mai dentro? Non avrei mai immaginato di poter vivere un’esperienza del genere".
Il tutto sebbene Montolivo sia in perfetta forma e senza alcuna problematica di natura fisica, certificata dai test di Milanello in cui fa registrare ottimi dati. Eppure il suo destino è scritto col pennarello indelebile e, alla scadenza del contratto nell'estate 2019, l'amarezza per non aver avuto una minima chance prevale sulla voglia di provare un'altra esperienza altrove. Sempre ai microfoni del 'Corriere dello Sport', Montolivo usa parole forti per congedarsi dal Milan e dal calcio in generale.
"Alla fine di una stagione nella quale da gennaio avevo praticamente smesso di giocare non per mia volontà né per problemi fisici, l’allenatore mi dice che farò parte del gruppo pur perdendo la centralità. Accetto di rimettermi in gioco, sono all’ultimo anno di contratto. Poco prima della partenza per la tournée negli Stati Uniti, però, ricevo un sms dal team manager, l’ex arbitro Romeo: 'Tu non vieni'. Motivazioni e spiegazioni, zero.
Elliott subentra al cinese, a fine luglio Leonardo e Maldini prendono il posto di Mirabelli ereditando anche la mia situazione. Leonardo in qualche modo mi rassicura e da quel momento smetto di essere considerato a disposizione. Mi fanno allenare da solo, da solo o insieme a Halilovic. Giusto al torello partecipo. Nelle partitelle tra la prima squadra e le riserve o la Primavera gioco sempre con le seconde e vengo impiegato in tutti i ruoli tranne nel mio. Specifico che i test di luglio del Milan Lab avevano confermato che stavo benissimo, i migliori riscontri fisici di sempre.
Potrei ripeterti che mi hanno condannato a smettere. E non ho avuto neppure la possibilità di salutare i tifosi dopo sette anni".
Un ritiro avvenuto nel silenzio più totale, senza la possibilità di un ultimo saluto alla tifoseria nel palcoscenico di San Siro per Montolivo, che oggi studia da allenatore e commenta le partite di Serie A su DAZN. Un modo per costruire da zero il presente e, soprattutto, un futuro roseo per dimenticare del tutto gli ultimi scampoli di una carriera che avrebbe meritato un finale migliore.


