La “zona rossa” in un Derby è quanto di più triste ci abbia consegnato, dal punto di vista calcistico, la pandemia: gli spalti vuoti in una gara sentita come quella tra Catania e Palermo dovrebbero essere solo un pensiero remoto accomunabile esclusivamente a un incubo in una calda notte d’estate. Nulla più.
Fa freddo, ai piedi dell’Etna: sono da poco passate le dieci di sera e il silenzio assordante dello stadio “Angelo Massimino” viene rotto dall’urlo liberatorio di un uomo, quasi 40 anni, che ha deciso di cucirsi addosso i colori di una squadra, nonostante tutto. Il goal è da antologia, da manuale del calcio, tra stile ed eleganza: c’è un cross dalla sinistra, Lorenzo Lucca (quel Lucca) tocca di testa e prolunga dalle parti di Mario Santana che stoppa con il petto e fa partire un destro al volo che si infila sotto l’incrocio. Tutti, ma proprio tutti, corrono ad abbracciarlo: lui si toglie la maglia e scoppia in lacrime. Probabilmente è in quel preciso momento che ha deciso che la sua lunga carriera poteva anche finire lì. Che, in fondo, aveva scritto l’ultima parola di un romanzo intriso di storia e simboli colorati di rosanero.
Se si pensa che la vita professionistica di Santana è iniziata nello scorso millennio al San Lorenzo, si comprende ancor meglio il peso della rete messa a segno al Massimino che ha consegnato il Derby di Sicilia al Palermo, nella scorsa stagione. A portarlo in Italia Maurizio Zamparini, che nella stagione 2001/02 lo fa conoscere alla Serie A, tramite il Venezia, per poi portarlo al Palermo in Serie B: c’è una parentesi in prestito al Chievo Verona, ma in quella successiva torna in rosanero, con una città che aveva appena assaporato la promozione in massima serie.
C’è un momento, però, che Santana non dimenticherà mai. Suo malgrado. E, in parte, anche i tifosi del Palermo: il 16 marzo 2006 si presentano a Gelsenkirchen per disputare il ritorno degli Ottavi di finale di Coppa UEFA. All’andata, al Barbera, ci aveva pensato Brienza a far sognare una città intera: al ritorno è andata diversamente.
Il Palermo rimane in 10 al 43’ per un tocco di mano in aera di Eugenio Corini, che propizia il vantaggio dello Schalke 04 firmato Kobiashvili. Nella ripresa Larsen e Azaouagh fisseranno il risultato sul 3-0. Bisogna fare un passo indietro, però, prima di procedere oltre.
Grazie alle sue prestazioni al Chievo e a quelle in una squadra, il Palermo allenato da Francesco Guidolin, capace di raggiungere il sesto posto in Serie A e la qualificazione in Europa, Santana si è guadagnato le attenzioni dell’Argentina. Marcelo Bielsa gli offre l’opportunità di esordire in una formazione che comprende, tra gli altri, Riquelme e Milito, in amichevole.
“Al momento dell’esecuzione degli inni, lì schierati in mezzo al campo, ho avuto la pelle d’oca”, racconta al vecchio sito del Palermo.
“È stata solo un’amichevole, d’accordo, ma vuoi mettere l’emozione che può dare il giocare con la propria nazionale? E poi segnare…”.
Sì, perché al 40’ della sfida contro il Giappone, nell’agosto del 2004, Santana segna addirittura il goal del momentaneo 0-2 su assist dello stesso Riquelme. Mica uno qualunque.
José Pekerman, successore di Bielsa, lo convoca addirittura per la Confederetions Cup in Germania del 2005: e qui, primo strano caso del destino. È il torneo che precede i Mondiali e lui scende in campo 3 volte da titolare, mentre contro la Germania subentra dalla panchina: in finale contro il Brasile non viene impiegato. Ma, insomma: è lì.
È dove vuole stare e la partita di Gelsenkirchen sembra essere la conferma definitiva di una sorta di disegno: per alimentare il sogno europeo del Palermo e per continuare a sognare i Mondiali. E invece si trasforma in un incubo: al di là della sconfitta, è al 65’ che la gara di Santana si trasforma in un tormento. L’argentino si fa male e viene sostituito da Makinwa. La diagnosi è impietosa: frattura della terza vertebra lombare. Riesce comunque a rientrare, quasi per miracolo, per le ultime gare di campionato, ma non basta: Pekerman non lo porta in Germania.
Da quel momento la carriera di Santana cambia: prende in mano la valigia e inizia a viaggiare. La prima tappa è alla Fiorentina di Cesare Prandelli: con i viola esordisce anche in Champions League, nelle stagioni successive, e tutto sommato non fa neanche male. Prandelli in realtà aveva chiesto un esterno di centrocampo: lui, poliedrico e dinamico, riesce ugualmente a garantirgli corsa e imprevedibilità, nonostante prediliga la zona centrale. Nell’aprile del 2010 la sfortuna fa di nuovo capolino nella carriera dell’argentino: scende in campo in un’amichevole contro il San Miniato Basso, dilettanti, e si rompe il crociato. Rientrato a fine settembre non lascia praticamente mai il campo: a fine stagione chiuderà la sua esperienza a Firenze.
Si trasferisce al Napoli, quindi in prestito al Cesena e al Torino: passa al Genoa, ma gioca poco. Va in prestito all’Olhanense, in Portogallo, ma gioca praticamente nulla, infine prova in Serie B con il Frosinone. Niente. Rimane svincolato per mesi, dopo aver conquistato la promozione in Serie A con i ciociari e aver rescisso il contratto con il grifone, proprietario del cartellino. Potrebbe essere finita qui. Insomma: le ultime esperienze lo lasciavano presagire. Era finito ai margini, ma dai margini ha deciso di ripartire: va in Lega Pro, a gennaio del 2016, alla Pro Patria.
“Dopo l’esperienza al Genoa ho pensato di smettere”, ripeterà più volte.
Della Pro Patria diventa persino il capitano, retrocedendo in Serie D, ma rimanendo comunque il leader della squadra: del 2018 ritorna in Serie C con i biancoblu ed è qui che il destino decide di metterci lo zampino.
L’estate del 2019 è una delle più tristi della storia del Palermo: i rosanero non si iscrivono al campionato di Serie B. Devono ripartire dalla D: prende la maglia rosanero e se la cuce addosso, come una seconda pelle. Indossa la fascia da capitano e diventa leader, una volta in più, del gruppo: ha 38 anni, ma nessuna voglia di smettere. Il goal messo a segno il 22 settembre contro il Marina di Ragusa ha il sapore del ricongiungimento più bello, dopo un lungo cammino, interrotto nuovamente l’8 dicembre a causa della rottura del tendine d’Achille. Sembra finita.
Quel che avviene il 27 settembre dell’anno successivo, del 2020, però, è la chiusura del cerchio: ritorna in campo contro il Teramo e diventa il quarto giocatore dopo Pasciuti, Lucarelli e De Feudis ad aver disputato almeno una partita in tutti i campionati dalla Serie A alla Serie D con una squadra. Il resto sta tutto nell’incipit: con il goal nel Derby diventa anche il primo a segnare almeno una rete dalla A alla D con i rosanero.
Tra le lacrime di gioia, anche la realizzazione che i sacrifici ripagano sempre: ritiratosi dal calcio, il Palermo gli affida la guida delle giovanili ed oggi è nello staff della Prima Squadra al fianco di Eugenio Corini. Un compito delicato che però si addice al suo carattere: quello di uno che non molla mai, nonostante un pizzico di sfortuna. Di chi ha assaporato la sensazione di poter giocare i Mondiali con l’Argentina, frenato solo dal caso: di chi in uno stadio vuoto, nel Derby più importante, è rinato dicendo a tutti che l’età è solo un numero, e che tutti i sogni, se ci credi davvero, finiscono sotto al sette.
Il richiamo del pallone, tuttavia, è stato più forte di tutto e tutti: a 42 anni Santana ha deciso di tornare a giocare. Ad attenderlo ci sono ancora quei due colori a lui tanto cari. Il rosa e il nero. Vestirà infatti la maglia dell'Athletic Palermo, in Eccellenza. Il sogno continua.