A fine marzo, coi campionati fermi e l'Italia calcistica impegnata a pensare a Mateo Retegui, Roberto Mancini in conferenza stampa alla vigilia degli impegni della Nazionale ha spiazzato tutti, parlando delle sue convocazioni. "Prima Pafundi, poi gli altri".
L'interrogativo è poi sorto spontaneo: ma come può un ragazzino di 17 anni, che ha raccolto pochissime presenze in Serie A, con basso minutaggio, finire in cima alla lista dei convocati del commissario tecnico Azzurro?
Può, col talento. Può, con tutto ciò che si dice di lui, da qualche anni a questa parte. C'è un paragone, in particolare, che è stato portato avanti: somiglia, per alcuni, a un calciatore che ricorda le sue caratteristiche fisiche, piccoletto, mancino. Argentino, però,
Leo Messi a parte, che Simone Pafundi fosse un talento lo si vedeva già da quanto mostrato con la Primavera dell'Udinese: serviva solo il palcoscenico giusto per realizzare pienamente le premesse, trasformandole in realtà.
In questo senso i Mondiali Under 20 sono stati l'occasione perfetta: Carmine Nunziata lo ha ragionevolmente chiamato e lui ha risposto presente, con un assist all'esordio contro il Brasile. Poi lascia un po' di spazio agli altri.
Nella notte tra l'8 e il 9 giugno, poi, ecco la sua "rivelazione": all'86' di Italia-Corea del Sud c'è un calcio di punizione al limite dell'area. Il punteggio è di 1-1: il posizionamento di Pafundi ricorda proprio Leo. La battuta pure: il "post" anche. Palla in rete, Azzurrini in finale.
"Prima lui, poi gli altri": aveva ragione Roberto Mancini. La strada tracciata è quella giusta: "finalmente" Pafundi, nella massima espressione del suo talento.
