
Potenza di tiro, scatto bruciante, forza fisica straripante: Adriano Leite Ribeiro aveva tutte le carte in regola per guadagnarsi un posto nella scala dei grandissimi del calcio, frenato da problemi personali che, ancora oggi, rappresentano un rimpianto per se stesso e per i tifosi dell'Inter, la società in cui si è vista la sua versione migliore. Soprattutto agli inizi, quando quel brasiliano cresciuto nella favela di Vila Cruzeiro (una delle più povere e malfamate) decise di emergere dall'anonimato più assoluto per prendersi le luci della ribalta: e che luci, precisamente quelle del 'Santiago Bernabeu', uno dei templi del calcio passato e moderno che ha ospitato le gesta di campionissimi come Di Stefano e Puskas, solo per citarne alcuni.
L'occasione non è una gara ufficiale e in palio non c'è nulla, se non il Trofeo Santiago Bernabeu, evento che nella capitale madrilena ha la stessa valenza di una finale di coppa: troppo importante onorare la memoria del grande presidente del Real Madrid, che sulla sua strada incontra l'Inter. E' il 14 agosto 2001, una serata torrida per clima ed atmosfera sugli spalti: ad assistere al match (amichevole solo sulla carta) ci sono ben 80mila spettatori, cornice suggestiva e perfetta per un giovane di appena 19 anni che vuole svelarsi al mondo intero.
Quella è l'Inter di Hector Cuper, il celebre 'Hombre Vertical' passato alla storia con la non entusiasmante nomea di eterno secondo generata dai tanti successi solo sfiorati (il 5 maggio 2002 ne è l'emblema), ma colui che può vantarsi di aver lanciato nella mischia di una schiera di campioni un giovanissimo Adriano. Partiamo però dal principio, che non prevede la presenza del talentuoso brasiliano, partito dalla panchina: sul terreno di gioco la punta è Christian Vieri, autore della rete del vantaggio nerazzurro dopo soli sei minuti; a servirgli l'assist tra le belle statuine della difesa madrilena è Clarence Seedorf, dopo un controllo da vedere e rivedere.
L'Inter è propositiva e sembra aver già assimilato al meglio i dettagli del nuovo tecnico argentino, ma il Real non è da meno: impossibile soltanto pensare ad una sconfitta, peraltro nel proprio fortino, divenuto nel corso degli anni una sorta di incubo per gli avversari grazie al leggendario miedo escenico, letteralmente 'paura del palcoscenico', ossia lo stato di soggezione creato dalla magica atmosfera del 'Bernabeu'.
Tutto sembra tornare 'alla normalità' a dieci minuti dal termine, quando Guly tocca Makelele in area: è rigore, trasformato con estrema precisione da capitan Fernando Hierro che spiazza Toldo. L'urlo che si leva dalle gradinate è da brividi, capace di incutere timore nei confronti di chiunque. Non in quelli di Adriano, ragazzino in quel momento del tutto sconosciuto, anche allo stesso popolo interista.
Arrivato pochi giorni prima nell'ambito dell'affare che aveva portato la meteora Vampeta al Flamengo, Adriano fa il suo esordio al minuto 84 e di tempo per incidere ce n'è davvero poco. Lui lo sa bene e i sei minuti più recupero che separano dalla lotteria dei calci di rigore sono un lasso temporale minimo per poter sperare di imprimere il proprio marchio. Ma, come ci insegna il grande Albert Einstein, il tempo ha tra le sue caratteristiche la relatività e forse Adriano sa anche questo: in quel piccolo scorcio di gara mette a ferro e a fuoco la difesa ballerina degli spagnoli, facendo valere tutta la freschezza di una beata e spensierata gioventù. La gente incollata alla tv comincia a sfregarsi le mani, convinta di aver trovato il degno erede di Ronaldo 'Il Fenomeno'.
Le stigmate del predestinato, del campione futuro, ci sono eccome: accelerazioni e lampi di tecnica eccelsa in fazzoletti di spazio fanno ammattire Ivan Campo, spaesato e impotente dinnanzi a quella furia verdeoro che sfiora il goal con un colpo di testa a fil di palo. In pieno recupero, a pochi istanti dalla fine e dall'esecuzione dei rigori, va in scena uno dei pezzi forti di Adriano: lo scatto in campo aperto a farsi beffe di Michel Salgado, uno dei difensori superati prima dell'intervento disperato di Hierro che lo atterra al limite dell'area. Il capitano 'blanco' protesta furiosamente, come se già sapesse del pericolo incombente, destinato a cambiare la vita di un 19enne sbarcato in Italia in punta di piedi e senza il clamore del pubblico.
L'Inter ha tanti tiratori in grado di far male a Casillas, basti pensare a Seedorf, Di Biagio o Materazzi, appostatisi nei pressi di un pallone senza padrone, che aspetta solo di essere calciato. Tanti i candidati, che alla fine scelgono di regalare la chance della vita al ragazzino brasiliano: d'altronde non c'è nulla da perdere e la stuzzicante voglia di testare quel sinistro al fulmicotone prende il sopravvento.
YoutubeUna rincorsa, pochi metri che separano Adriano dalla gloria: lui non lo sa ancora, ma colma la lacuna nel modo che conosce più di tutti, ossia il goal. Il mancino scagliato verso la porta di Casillas è una saetta di rara potenza, una detonazione da 178 km/h da far spavento: il portiere spagnolo quasi non vede partire il tiro tanto è veloce l'esecuzione, accennando ad una timida parata quanto mai inutile.
La sfera sbatte contro la rete con una tale potenza da rotolare, poi, fuori dalla porta: quando ciò accade Adriano ha già alzato il braccio destro al cielo, travolto dagli abbracci dei compagni in campo e in panchina. Uno di loro, Marco Materazzi, ha ricordato quei momenti di stupore nel podcast '#LaPrimaVolta' de 'La Gazzetta dello Sport'.
"Un ragazzo di cui non conosciamo assolutamente niente, ma dimostrò subito fin dai primi allenamenti la forza incredibile che aveva, compresa la tecnica. Sembrava quasi un alieno, anche se eravamo abituati a Ronaldo e a Vieri, ma lui ci impressionò immediatamente".
"Sulla palla c'eravamo io, Di Biagio e Seedorf, partì lui perché Cuper volle così. Tirò un missile e io mi misi a ridere con Di Biagio perché non credevamo ai nostri occhi. Lui ha corso verso la panchina, ma noi eravamo fermi perché davvero non credevamo che potesse tirare così forte. Lì penso che sia nata la stella Adriano".
A svelare tutti i dettagli della 'trattativa' per decidere chi dovesse calciare la punizione ci ha pensato lo stesso Adriano con un intervento scritto per 'The Players Tribune'.
"Non dimenticherò mai quando stavamo giocando un’amichevole contro il Real Madrid al Bernabeu, e sono entrato dalla panchina. Guadagniamo una punizione dal limite dell’area e io mi avvicino al pallone. Ma sì, perché no?! Beh, indovinate chi c’era dietro di me a dirmi: 'No, no, no. La batto io'.
Materazzi! Quel gran bastardo! Ahahahahhahaha!
Potevo a malapena capire che mi stava dicendo, perché ancora non parlavo italiano.
Ma ho capito che gli rodeva.
'No, no, no!'
La voleva battere lui. Poi è intervenuto Seedorf e ha detto: 'No, lascia tirare il ragazzino'.
Nessuno discute con Seedorf. Quindi Materazzi si è fatto da parte e la cosa divertente è che se guardate il video, potete vedere Materazzi con le mani sui fianchi che pensa: questo ragazzino del cazzo sicuro la manda in curva!!!
La gente mi chiede tutto il tempo di quel calcio di punizione.
Come? Come, come, come? Come hai fatto a calciare il pallone così forte?
E io gli rispondo: 'Cazzo! Sai che non lo so! L’ho colpita di sinistro e Dio ha fatto il resto!'
BOOOM!
All’incrocio.
Non lo so spiegare. So solo che è successo".
Da quel giorno, il calcio ha fatto conoscenza con quel ragazzo dalla velocità incredibile, pregio ma anche difetto che ha finito per condizionare la sua vita privata e il rendimento in campo. Un sinistro guidato direttamente da Dio che, per una sera, ha deciso di giocare un brutto scherzo al Real Madrid, travolto dall'esuberanza tipica di chi ha voglia di mangiarsi il mondo: signore e signori, Adriano.




