Il termine "Ola", nel calcio, sarà per sempre associato al tema della festa sugli spalti: la "Ola", ovviamente, per tutti è la più iconica delle onde formate dai tifosi che, sollevando le braccia al cielo, creano un effetto unico, emozionante. In norvegese, invece, "Ola" significa semplicemente "Ciao": una forma diretta, importante, senza filtri di presentarsi. La più comune al mondo, se vogliamo. E non è un caso.
C'è del profondo simbolismo in tutto ciò che rappresenta "Ola" (appunto) Selvaag Solbakken per la Roma, per diversi motivi: il primo sta nel nome. Un saluto e un arrivederci: la via più usuale per palesarsi, pure. Solbakken è arrivato alla Roma a gennaio dopo diversi mesi da giocatore giallorosso, dopo l'annuncio diffuso a novembre. Ha deciso di vestire il giallorosso: lo ha scelto, preferendolo al Napoli. Che è già una bella sliding doors, per come stanno andando le cose.
Tra i punti principali affrontati con Luciano Spalletti, stando a quanto emerso ce ne sarebbe uno sulla posizione in campo: Solbakken e l'allenatore di Certaldo non si sono venuti incontro. E va bene così: gli azzurri procedono spediti verso lo Scudetto, Ola non può che dire "Ciao". "Ola", appunto.
Il secondo tema, simbolico, riguarda il passato: perché il primo tra Solbakken, la Roma e i suoi tifosi, e le circostanze in cui è avvenuto, ha lasciato il segno nella memoria dei giallorossi come poche altre robe accadute nel corso della storia calcistica dei capitolini.
Una doppietta nel 6-1, poi una rete all'Olimpico nel 2-2: tre goal siglati con la maglia del Bodo/Glimt, nella stagione che, alla fine, consegnerà la Conference League ai ragazzi di un José Mourinho che, però, quell'"Ola" pronunciato, gonfiando la rete, dal norvegese non l'ha mica scordato.
Il fatto è che di lui, dal momento del suo arrivo effettivo, si è discusso parecchio: un po' per il discorso relativo alla sua esclusione (forzata) dalla Lista UEFA per i Playoff di Europa League (per il superamento dei parametri del FFP), un po' perché fino alla sfida contro il Verona Solbakken aveva giocato solo tre gare contro Fiorentina, Spezia e Lecce. In totale, neanche dieci minuti.
Mourinho, però, sa come dare un senso ai suoi giocatori: anche a quelli che devono ancora dimostrar qualcosa. Salutare, appunto: dire "Ola". Solbakken lo ha fatto alla prima da titolare, proprio contro i gialloblù. Mancino bellissimo e kneeslide, corsa sulle ginocchia, prima di esultare nello stesso stadio che lo ha visto protagonista con il Bodo, più di un anno fa.
"Sono felice e orgoglioso della squadra - le parole di Solbakken a 'DAZN' - Abbiamo combattuto tutti insieme per novanta minuti. Non siamo stati perfetti ma il Verona è una squadra dura da affrontare, i nostri tifosi saranno orgogliosi. Belotti? E' facile giocare con un lottatore come lui, come con tutta la squadra. Per me è un esempio, devo imparare da lui. Credo di essere sulla strada giusta, l'intesa coi compagni sta migliorando. Le prime parole che ho imparato? 'Ciao', 'daje' e 'Forza Roma'".
E' un goal pesante, il primo ovviamente in maglia gallorossa: lo è perché restituisce l'idea di un rinforzo effettivo e non solo chiacchierato. Perché il suo impatto ha qualcosa di storico: è il terzo norvegese a segnare con la Roma in Serie A dopo John Arne Riise e John Carew. Il primo dal 24 marzo del 2010: da quando, cioè, l'ex Liverpool ha portato in vantaggio la formazione di Claudio Ranieri al Dall'Ara, contro il Bologna.
Dice "Ola", insomma: "Ciao", alla Serie A e alla Roma di José Mourinho. Ai suoi tifosi e al futuro: nella notte che entra diritto nel film della sua carriera.
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