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"Non tutti gli eroi indossano una maschera": Zauri e la vita salvata alla nipote di Boniek

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Il gennaio del 2013 per Luciano Zauri è il mese dei 35 anni: vanta tante, tantissime presenze in Serie A, parecchie in Serie B. Qualcuna, pesante, nelle Coppe europee: qualcosa l’ha combinata, insomma, quasi sempre sulla fascia destra. Avanti e indietro, su e giù, con fare operaio di chi ci mette il cuore e la tecnica acquisita nel corso di una carriera lunghissima.

Non è ancora il momento di dire basta, però: l’avventura alla Lazio, seppur finita, cela l’ultima opportunità di mettersi in gioco, magari vicino casa. Pescara è senza dubbio quella giusta per chiudere la carriera, prima in Serie A, poi in Serie B. La generazione nata nella prima metà degli anni Novanta lo ricorderà sempre come uno dei giocatori più costanti della massima serie: viso scavato, capelli corti, ma tirati su con quel tanto che basta di gel per farli apparire ordinati. Se dite di non aver mai avuto una sua figurina, che sia con la maglia biancoceleste o con quella dell'Atalanta, probabilmente mentite.

Nello stesso periodo storico, ma da un’altra parte in Europa, Zbigniew, “Zibì”, Boniek era già diventato presidente della Federcalcio polacca: un riconoscimento legittimo per uno dei calciatori più forti della storia della Polonia. Ogni tanto viene invitato come opinionista in TV: esprime, con la solita e distinta pacatezza, la propria visione del calcio, senza mai tirarsi indietro.

Sicuramente gli sarà capitato di commentare una o due gare giocate da Luciano Zauri: di certo sa chi è, come lo sapeva quando analizzava le partite dalle poltrone degli studi televisivi. Eppure non era ancora arrivato il momento, per i destini di entrambi, di incrociarsi.

Per una fatalità, un caso, Zauri non lascerà il club biancoceleste prima dell’ultimo giorno di mercato: un addio che chiude 10 anni di carriera intervallati dalle esperienze in prestito alla Fiorentina e alla Sampdoria.

“Era arrivato il momento di andare: ho fatto una scelta che mi ha spezzato il cuore. Comunque andavo a giocare nella mia regione, nella squadra per cui facevo il tifo da bambino, per me era come chiudere il cerchio, rientrando in Abruzzo per giocare con il Pescara”, ha spiegato anni dopo al Corriere dello Sport.
Luciano Zauri Lazio Champions LeagueGetty

Sarà per sempre un simbolo della Lazio: certo, ha lasciato il club biancoceleste proprio pochi mesi prima della storica Coppa Italia vinta in finale contro la Roma, ma dalle parti dell’Olimpico lo ricordano con quel sincero affetto che si prova verso una persona che ha fatto della presenza la sua costanza.

"Una cosa che mi piace ricordare accadde quando tornai per l’ultima volta all’Olimpico da collaboratore di Oddo con l’Udinese: quel giorno i tifosi fecero lo striscione per me e per lui. Fu un grande onore: mi ha fatto venire i brividi perché vuol dire che qualcosa sul campo l'ho lasciato”, ha aggiunto.

Fatto sta, comunque, che prima del 31 gennaio, forse per caso, Luciano Zauri era ancora a Roma: fu un bene. Una di quelle coincidenze che ti cambiano la vita: anzi, che la salvano pure.

Appena 11 giorni prima del suo trasferimento al Pescara, si trovava a pranzo in un noto locale della capitale: è il suo compleanno, ma in fin dei conti è una domenica come le altre. Nel pomeriggio precedente seguiva la partita contro il Palermo al Barbera dalla panchina: un 2-2 caratterizzato dalle reti di Sergio Floccari, Arévalo Rìos, Paulo Dybala e Hernanes. Punti persi, per la Lazio, contro una formazione, quella rosanero, destinata a retrocedere a fine anno.

Luciano Zauri Pescara Serie BGetty

La domenica che segue un match, per un calciatore, comunque, è quella del riposo: ci si gode la famiglia, gli affetti. Si rallenta il tempo: è il momento del disinteresse. Ci sta. Un urlo spezza il pomeriggio di Zauri e dei presenti al locale: nel bagno si apre una voragine e una bambina ci è finita dentro. In sintesi: una tavola di legno copriva un pozzo, cedendo al passaggio della piccola.

“Avevamo quasi finito il pranzo e ad un certo punto nel ristorante si è scatenato il panico: alcune persone correvano verso il bagno gridando “è caduta una bambina”. La piccola era sprofondata, urlava, piangeva, era tutto buio. Una scena incredibile, non la scorderò mai”, racconta Zauri a Lazio Style Radio.

Zauri ragiona velocemente: mantiene la calma e agisce. Chiede una corda e si fa calare giù per il pozzo: regnava il buio, ma a lui non interessava.

“Ho provato a calarmi giù appoggiandomi con la schiena e aiutandomi con le travi: col telefono ho illuminato il pozzo, la bambina aveva solo la testa fuori dall’acqua”.

Ha allungato il braccio e la piccola si è aggrappata: ha messo i piedi sulle spalle di Zauri ed è uscita. Ma nessun merito: è così. Lucido e umile, anche in momento del genere.

“La bambina è stata eroica: ha lottato fino alla fine e mi ha ascoltato. È come se in quel pozzo avessi visto mia figlia: ho fatto ciò che avrebbero fatto tutti”,chiosa a Lazio Style Radio.

Ora, vi chiederete: ma cosa c’entra Boniek in questa storia? La piccola è la figlia dell’ex tennista Vincenzo Santopadre e di Karolina Boniek, figlia di Zibì. Ed è così che i destini di entrambi si incrociarono nella città che più tra tutte li accomuna per i loro trascorsi calcistici, Roma.

Non vuole essere chiamato eroe: spogliato dalle vesti di giocatore, Luciano Zauri è un uomo come tutti. I tratti distintivi del suo calcio sono ben visibili anche in questa storia: persino nella casualità. Serietà, concentrazione. Concretezza. Se avesse lasciato la Lazio appena 14 giorni prima del suo effettivo trasferimento, o poco meno, staremmo parlando d’altro. Il destino ha voluto fosse lì, in quel momento: e anche se non gradisce la definizione, sì. Non aveva il mantello, ma “non tutti gli eroi portano una maschera”.

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