GOALGiusto o sbagliato che sia, i Premi Oscar sono una parte essenziale nel mondo del cinema. Certo, il valore di un film non è minimamente dato dal numero di statuette portate a casa, ma spesso la sua presenza nella serata cinematografica dal vivo più importante dell'anno è un reale sinonimo di qualità. L'Academy non è mai stata sorprendente, se non in qualche timida occasione, premiando in larga parte storie vere e pellicole biografiche, prettamente statunitensi, prima della rivoluzione del miglior film (vedi Parasite) e ancor prima relativa ai registi, considerando che nel nuovo millennio una piccola percentuale è nata sotto le stelle e le strisce (dal 2010 il solo Damien Chazelle).
Nei primi decenni di premiazione gli artisti stranieri nati fuori dai confini hanno avuto una possibilità solo se in possesso della nuova cittadinanza. Un discorso che ha riguardato soprattutto attori e registi, mentre è stato più elastico relativamente agli sceneggiatori (certo, se non inseriti nella Lista Nera dei comunisti, osteggiati per oltre un ventennio). Impegnati nella stesura di un copione originale o ispirato ad opere già esistenti, sono stati spesso accolti a braccia aperte: il tedesco Hans Kraly vinceva l'Oscar negli anni '30 per Lo Zar Folle, mentre lo svizzero Richard Schweizer nel 1946 per Maria Luisa.
Ad avere la bacheca piena di statuette assegnate dall'Academy è però la Gran Bretagna, grazie alla lingua inglese come base e un modus operandi sul lavoro non molto dissimile a quello dei cugini d'oltre Oceano. Così, lo scorso secolo, ha avuto modo di conoscere il signor Oscar anche James Edmund Neil Paterson, il Neil Paterson che prima di battere a macchina aveva avuto modo di battere gli avversari su un campo da calcio.
Non è certo lunga un km la lista di attori, sceneggiatori e registi che prima di salire sul palco del Pantages Theatre, Dolby Theatre o Santa Monica Civic Auditorium. Ci sono stati comunque avvocati, impiegati e persino muratori capaci di sfondare e voltare pagina dopo aver iniziato per necessità con un altro mestiere. Ancor più limitato il numero di vincitori capaci di spolverare nello stesso ripiano trofei sportivi e cinematografici: il compianto Kobe Bryant, l'ex wide receiver di football americano Matthew A. Cherry e un calciatore come Neil Paterson. Primo e unico per più di cinquant'anni.
Nato nel 1915 a 30 km da Glasgow, in quella Greenock in cui Danny Boyle - regista di 28 giorni dopo e The Millionaire - ha girato Leaving, Paterson una volta adolescente mette in mostra qualità notevoli con il pallone tra i piedi. In Scozia il campionato di prima divisione esiste ormai da quattro decenni e la storia ha ormai già messo in pratica che a meno di grandi nuovi arrivi, sarà sempre una questione derivante dall'Old Firm. Quando Neil compie diciotto anni, il Rangers ha già vinto venti campionati, mentre il Celtic segue a diciasestte.
ANNI '30: CAPITANO DEL DUNDEE
Paterson, però, non avrà mai modo di giocare nè con il Celtic, nè con il Rangers. Non rientrerà a far parte nemmeno delle altre poche squadre capaci di interrompere brevremente il duopolio, come il Motherwell o l'Hibernian. Il ragazzo cresce con il Buckie Thistle, nelle serie inferiori scozzesi, e con il Leith Athletic, vicino Edimburgo. Nonostante sia lontano anni luce dagli incandescenti incontri della prima divisione, viene comunque notato dal Dundee United, quando ha ventuno anni.
Il Dundee United, che nel corso della sua storia è stato capace di arrivare fino alle semifinali di Champions League (eliminato dalla Roma nella primavera del 1984, prima della finalissima tra giallorossi e Liverpool), è stata spesso inserita nella lista di quelle squadre scozzese di seconda fascia, dietro ad una prima intoccabile composta dalle sole Celtic e Rangers. Quando sceglie Paterson, milita in seconda serie. E' comunque un grande salto in avanti per l'esterno sinistro, che in campo mette in mostra lo stesso modus operandi al di fuori di esso: non riesce a stare fermo, continuamente attivo.
In avanti è imprendibile, Paterson. Segna nove goal in ventisei partite, venendo scelto in pochissimo tempo come capitano del Dundee United: il primo capace di ottenere la fascia tra i professionisti nonostante lo status di 'dilettante'. Applaudito da Tannadice Park, non ha però come unico fine quello di usare i piedi per vivere. Vede come il calcio come un modo per divertirsi, ma la sua vera vocazione è un'altra e prevede l'utilizzo degli arti superiori: vuole scrivere. Desidera raccontare, informare, allargare la propria visione del mondo e quella dei lettori che avranno modo di leggerlo sin da fine anni '30 sotto la DC Thomson, casa editrice di Dundee.
La carriera calcistica col Dundee, di fatto, durerà pochissimo per Paterson. La Seconda Guerra Mondiale è alle porte e il desiderio di unire il calcio con il giornalismo verrà spazzato via da una non scelta: il pallone non può più essere perseguito causa chiamata alle armi e in particolare in marina. Per questo motivo virerà verso il solo scrivere, un modo per tirare avanti durante il servizio nella Royal Navy, in particolare come luogotenente sul cacciatorpediniere HMS Vanessa.
Il periodo da capitano nel 1936/1937 in maglia Dundee United, con tanto di tripletta segnata nella sua prima annata in seconda serie, rappresenterà un timido ricordo a cui Paterson non riesce ad aggrapparsi, mentre la nave pattuglia il Mare del Nord, colpita dalle bombe nemiche. Il suo appiglio principale è la scrittura e per questo motivo, una volta concluso il servizio militare e la Seconda Guerra Mondiale, ormai trentenne deciderà di continuare a raccontare storie, abbandonando per sempre la carriera da calciatore, breve ma a suo modo intensa.
ANNI '50: UNO SCOZZESE A HOLLYWOOD
Paterson, di fatto, non scriverà di calcio o sport nelle sue opere: l'unica ispirazione relativa alla sua vita e presente in The China Run, libro del 1948, sarà quella che prende spunto dal mondo marittimo vissuto durante la guerra. L'opera, successo immediato sia nel Regno Unito, sia negli Stati Uniti, porterà Neil ad essere sempre più richiesto. Anche Behold thy Daughter, in Italia uscito come Figlia di Scozia, diventerà un bestseller. Da calciatore a marinaio, da scrittore di racconti e libri a sceneggiatore. Paterson entra anche ad Hollywood a inizio anni '50.
Scotch Settlement è infatti alla base di The Kidnappers, in Italia I confini del proibito, diretto da Philip Leacock e uscito al cinema nel 1953. La storia narra di due ragazzini canadesi che al rifiuto dei nonni di prendere un cane, terranno nascosto ai parenti un bambino abbandonato, trovato vicino alla loro abitazione. L'interpretazione dei due giovani protagonisti Jon Whiteley e Vincent Winter varrà loro l'Oscar onorario per la recitazione giovanile, mentre Paterson avrà la porta spalancata per lavorare a Hollywood.
Scriverà Salto mortale, diretto da Elia Kazan, così come High Tide at Noon e Innocent Sinners. Sarà però nel 1959 che Neil Paterson entrerà definitivamente nelle statistiche del Premio Oscar, dopo aver abbandonato la strada di quelle calcistiche. La strada dei quartieri alti è spesso considerato come il primo esempio di Kitchen sink realism, corrente artistica britannica dell'epoca in cui venivano dipinti i giovani ventenni e trentenni disillusi nei confronti della società. Opera in bianco e nero diretta da Jack Clayton, viene adattata da Paterson dopo aver letto l'omonimo romanzo di John Braine.
Nel 1960 Simone Signoret - che nella pellicola interpreta Alice Asgil, donna sposata che ha una relazione con Joe Lampton, ma a sua volta legato anche alla ricca Susan Brown - vincerà così l'Oscar come Miglior attrice protagonista, mentre Paterson, causa mancata presenza negli States dovuta al lavoro in patria, non potrà salire sul palco del RKO Pantages Theatre tra un premio a Ben-Hur e l'altro.
Se, nel 2022, Ben-Hur continua a condividere il primato di film con più Academy vinti, insieme al Signore degli anelli - Il ritorno del re, e Titanic (tutti a 11 Oscar), lo si deve anche all'ex calciatore del Dundee, capace di battere Karl Tunberg, che scrisse la sceneggiatura non originale per il capolavoro di William Wyler.
DUE MONDI OPPOSTI: OSCAR E CALCIO
Paterson è stato dimenticato dal cinema britannico, nonostante sia stato tra i governatori del British Film Institute, massima istituzione cinematografica del Regno Unito, tra i pochi scozzesi a vincere un Premio Oscar. Spentosi nel 1995 a 79 anni dopo una lunga malattia, condivide la vittoria a Hollywood con altri connazionali come i più conosciuti Tilda Swinton, Peter Capaldi e naturalmente Sean Connery.
In una intervista del 2015 al Daily Record, il figlio John aveva svelato come l'Oscar, per un periodo, non fece proprio una fine nobile a casa Paterson:
"Di solito non ricevevamo telefonate alle sei del mattino. Mio padre ha risposto alla chiamata ed era di Jack Clayton, il regista che aveva ritirato il premio perché lui non era potuto essere lì. Nonostante abbia trascorso anni a Los Angeles era rimasto una persona scozzese, legato al suo passato. Ci disse tutto solo dopo colazione.
Quando viveva a Los Angeles, lui e mia madre vivevano tranquillamente e i loro amici erano principalmente altri scrittori e registi. Era ancora un tipo di esistenza con i piedi per terra. La statuetta? Veniva usata come fermaporta da mio fratello, ora è nella nostra sala da pranzo. Ha una foto davanti. Non credo che mio padre lo considerasse con riverenza".
Il motivo? Le cronache degli ultimi decenni evidenziano infatti come Paterson considerasse come suo più grande traguardo l'aver giocato al Dundee United in qualità di capitano. Quello, sì, era visto come un risultato del passato da osservare con riverenza, abbandonato per la guerra e per un talento nel raccontare storie che forse non sarebbe mai stato superato dall'abilità con i piedi. La sua vera fortuna furono le sue mani, collegate ad un'immaginazione senza limiti. Al desiderio di creare mondi.


