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URSS 1988 Olympics

La caduta del Gigante: trent’anni fa l’ultima partita giocata dalla Nazionale dell’Unione Sovietica

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13 novembre 1991. Una data che a moltissime persone non comunicherà nulla. E ci mancherebbe. Eppure in quella esatta data, trent’anni fa, andava in scena l’ultima apparizione ufficiale della nazionale dell’Unione Sovietica.

Invero, la dissoluzione del gigante sovietico come entità nazionale era iniziata precisamente due anni prima, con l’abbattimento del muro i cui frammenti sono custoditi gelosamente come reliquie nei salotti di mezzo continente che divideva fisicamente in due Berlino e metaforicamente l’Europa.

Uno dei pochi elementi che aveva rallentato, o quanto meno attutito, la percezione della crisi era stata proprio la nazionale di calcio. Ma già dai Mondiali di Italia 90 qualcosa era iniziato a cambiare. 

Durante la kermesse italiana, per la prima volta nella sua storia, la nazionale in completo rosso scese in campo senza l’iconico acronimo CCCP (traslitterazione di URSS, per chi avesse poca confidenza con l'alfabeto cirillico) sulle maglie. 

Segnale che qualcosa era cambiato, anche se a posteriori molti dei protagonisti in campo ammetteranno di non aver nemmeno immaginato che di lì a poco si sarebbero trovati a giocare per nazionali differenti dalla Grande Madre Russia.

L’avversario è Cipro, che a Larnaca apre le sue porte alla Nazionale Sovietica per l’ultima gara di qualificazione agli Europei del 1992. 

Un impegno tutt’altro che gravoso per una selezione abituata a grandi palcoscenici e che, seppur non sia mai riuscita a mettere le mani sulla Coppa del Mondo, è presenza stabile nell’elite europea.

La partita giocata allo stadio Gymnastikos Syllogos Zenon di Larnaka infatti si rivela tutt’altro che proibitiva per la nazionale guidata da Anatoli Byshovets, che si impone per 3-0 vincendo il girone ed estromettendo dall’Europeo svedese l’Italia.

Ad andare in goal nella fresca serata autunnale cipriota sono Oleg Protasov, Sergey Yuran e Andrey Kanchelskis, che in Italia ha avuto una breve e sfortunata esperienza costellata da infortuni con la maglia della Fiorentina.

Ma l’azione più importante della partita la fa registrare un personaggio dal nome che sembra uscito da un racconto del Ciclo Bretone. 

Il signor Andrew Wilson Waddel, arbitro scozzese alla direzione di gara, con il suo triplice fischio pone inconsapevolmente fine non solo alla sfida ma all’esistenza di un intero movimento calcistico.

Dal 1924 - anno del debutto ufficiale in campo internazionale - fino alla sua dissoluzione l’Unione Sovietica disputò sette campionati mondiali, ottenendo come miglior risultato il quarto posto dell’edizione 1966.

Molto meglio andò agli Europei, di cui l’ex nazionale vinse la primissima edizione nel 1960 e partecipò ad altre tre finali uscendo sconfitta rispettivamente contro Spagna (‘64), Germania (‘72) e Olanda (‘88).

Ricco anche il palmares olimpico impreziosito dagli ori del 1956 e del 1988 intervallati da tre medaglie di bronzo.

Il 26 dicembre 1991 il Soviet Supremo dissolse formalmente l'URSS. Dal famoso blocco sovietico vengono fuori ben quindici stati indipendenti. 

Nazioni neonate che in molti casi non hanno ancora un Governo, figuriamoci una Federazione calcistica.

Nelle casseforti dell’ex Unione, tra i beni statali lasciati in eredità e sulle quali metteranno le mani gli oligarchi c’è anche il pass per gli Europei. 

Viene dunque allestita la Nazionale di calcio della CSI, la rappresentativa calcistica della Comunità degli Stati Indipendenti sorta qualche settimana prima della scissione.

In Svezia arriva una squadra composta da 20 calciatori provenienti di 5 nazionalità diverse: 12 russi, 5 ucraini e un rappresentante a testa di Bielorussia (l’ex juventino Sergej Alejnikov), Georgia e Lituania.

Un’esperienza che si conclude con l’ultimo posto nel girone e l’eliminazione al primo turno, malgrado l’incoraggiante pareggio della gara d’esordio contro la Germania. 

Sarà l’ultima volta che giocatori appartenenti a nazioni diverse giocheranno insieme, accomunati da un’unica bandiera.

Dello “spettro che si aggira per l’Europa” in grado di terrorizzare i rivali e consegnare alla storia del calcio l’unico portiere Pallone d’Oro non resta che il ricordo - dai margini ancora lattiginosi - sui vecchi almanacchi illustrati.



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