GOALTralasciando Maradona (una galassia a parte), scorri la lista dei mancini transitati a Napoli e trovi un fantasista brasiliano: Fabio Cesar Montezine. In azzurro nessuno sfracello, ma se domandi in giro ancora oggi molti lo apprezzano.
Montezine sbarca all'ombra del Vesuvio durante il momento peggiore mai vissuto dal club: quello a ridosso del fallimento. Siamo ad inizio 2000, nel post retrocessione, nel marasma di carte bollate e passaggi di consegne con protagonisti Naldi, Corbelli e Ferlaino. Tre stagioni in B tra prestito, riscatto e comproprietà, 8 goal in 80 partite, poi ciao Napoli.
Arriva da Udine, pescato nella miniera di talenti e false promesse creata dalla rete scouting dei Pozzo: in Friuli zero presenze e aereo per Capodichino su richiesta di Gigi De Canio, che lo allena in bianconero e ci scommette quando si siede sulla panchina partenopea.
Parentesi doverosa, a garanzia del talento: anni prima, al San Paolo (non lo stadio), la sua strada si incrocia con quella di un certo Ricardo Kakà. E ne vien fuori una roba da non credere.
"Kakà era più giovane e arrivò in squadra dopo di me. Fece un goal bellissimo col Milan e mi rispose che aveva imparato da me guardando gli allenamenti al San Paolo: rimasi lusingato".

De Canio dicevamo, è lui che a Napoli punta su Montezine in un mercato reso inevitabilmente complicato dal caos societario.
"E' bravo e polivalente: può giocare in tutti i ruoli del centrocampo e all'occorrenza pure dietro alle punte".
Il suo intrigante sinistro strappa applausi a Fuorigrotta, tra alti e bassi - e cambi allenatore - Montezine riscuote consensi e si fa stimare da un ambiente reso 'esplosivo' dalle incertezze legate al futuro.
A tarpargli le ali, nel 2004, è il brutto fallo subito in un Napoli-Treviso: il ginocchio fa 'crac', il brasiliano resta fuori quasi un anno e intanto il Napoli fallisce. Il progetto 'fantasma' di Gaucci è solo un'illusione: l'avvento di De Laurentiis, gli chiude le porte ad un nuovo tesseramento.
"Scelsi il momento più difficile per andare al Napoli, ma anche se in Serie B aveva la migliore tifoseria. A Napoli se giochi bene sei Maradona, se giochi male ti insultano".
"Alla mia presentazione la sala stampa era piena di giornalisti e telecamere, ad Udine ce ne saranno stati un paio. Alla seconda partita segnai su punizione, i tifosi mi dedicarono cori: ho amici a Napoli, dicono che la gente non mi ha dimenticato".
Da svincolato firma con l'Avellino, parentesi che fa da 'ponte' verso l'isola felice dove Montezine si impone: il Qatar.
"Ero in vacanza a Santa Maria di Leuca con amici, conobbi dei manager di un'agenzia di Milano che operava negli Emirati e feci un provino per una squadra qatariota che si allenava a Roma. Disputai un'amichevole e da lì cambiò la mia storia: il ds rimase colpito dal mio modo di giocare e mi fece trasferire".
In Qatar l'ex azzurro trova la sua dimensione: miglior giocatore del campionato, trofei e l'invito a naturalizzarsi. La risposta, per uno mai entrato in orbita Seleção, è 'sì'.
Montezine diventa una stella della Nazionale qatariota - di cui tra l'altro allenerà l'U19 - nonché dell'Al Rayyan (uno dei club più importanti del Paese): coppe e premi tra dune e palazzoni, prima di dire basta nel 2016.
Kakà ancora ringrazia, a Napoli lo ricordano con piacere, in Qatar gli farebbero una statua: il suo mancino da 'joga bonito' qualche traccia l'ha lasciata.
