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Zoran MirkovicGetty Goal

La guerra di Mirkovic: quando la Juventus perse i contatti sotto le bombe di Belgrado

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Brutto da dire, da pensare e mettere in conto. La verità fa male, così come i ricordi. Ogni popolo ha avuto la sua guerra. Vissuta marginalmente, ascoltata, letta o vista sui vari media, dalla radio ai giornali, dalla tv a internet, fino alle missive di secoli addietro. C'è chi l'ha sperimentata terribilmente sulla propria pelle e chi è cresciuto a distanza, con la paura di possibili ripercussioni nella propria terra, con echi di guerriglia, di interventi alleati e discese in campo. Chi è cresciuto negli anni '90 con quale guerra ha fatto i conti? Relativamente ai bambini europei, senza dubbio, quella del Kosovo, svoltasi tra il 1998 e il 1999. Dopo quella del Golfo e prima di quella al terrorismo, l'occidente è rimasto paralizzato per paura di poter incappare in una lunga battaglia. Mentre in Jugoslavia, la terra di Zoran Mirkovic, si scatenava l'inferno.

Zoran è un figlio di Belgrado. E' nato nella capitale della Jugoslavia nel 1971, cresce nel Radnicki e dunque nel Rad prima di approdare ad una delle due grandi big del paese, della sua città. Niente Stella Rossa, si aprono le porte del Partizan. Quando viene scelto dai Parni Valjak (il rullo compressore) per difendere i propri colori, è il 1993. Rimarrà fino al 1996 tra luoghi conosciuti, quando ci sarà la chiamata del più importante campionato calcistico del mondo, la Serie A.

L'Italia è un luogo magico e bellissimo per chi guarda da fuori le città d'arte, il sogno di una vita migliore. Per Mirkovic significa fare il salto di qualità della carriera, a 25 anni. Un anno prima è stato chiamato per la prima volta a difendere in battaglia, sportiva, la sua Nazionale, quella Jugoslavia che si estende tra Serbia e Montenegro, dopo che la prima, la Repubblica Federale comprendente anche Croazia, Slovenia, Macedonia e Bosnia ed Herzegovina si è disgregata nel 1992.

Mirkovic arriva a Bergamo nel 1996 per rinforzare un reparto difensivo orfano di Paolo Montero, ruvido difensore uruguayano che il giocatore jugoslavo ritroverà alla Juventus un biennio più tardi. Sotto Mondonico, infatti, il terzino destro offre un notevole contributo qualitativo. Non è un esterno capace di offrire assist in quantità o portare i suoi in vantaggio, ma copre con grande attenzione e grinta la sua corsia, attirando nel 1998 la Juventus di Marcello Lippi, una delle squadre top d'Italia e del mondo, reduce da tre finali di Champions League, di cui una vinta.

L'Atalanta ha fatto crescere grandi campioni, possiede uno dei migliori settori giovanili d'Europa. La Juventus, però, è la Juventus. Mirkovic si presenta, con gli occhi spalancati dallo stupore di avercela fatta:

"Fin da quando sono giunto in Italia il mio sogno è sempre stato quello di giocare in una grande squadra. Nell’Atalanta mi sono trovato a meraviglia, ma la Juve è proprio un’altra cosa...".

Zoran Mirkovic CroatiaGetty

E' principalmente un terzino, ma viene spesso utilizzato anche come centrale all'occorrenza. Forse in anticipo sui tempi, non ha quella collocazione unica simbolo di anni '90 e '80, prima dell'esplosione dell'eccleticità, del moltiplicarsi in svariate zone del campo per fare in modo di poter adattarsi a più. Mirkovic lo evidenzia, come serva essere ovunque, già nella presentazione ufficiale con la Juventus. Il cambiamento non è però stato recepito da tutti e verrà abbracciato dal largo pubblico manageriale nel corso del tempo:

"Mi ritengo un buon jolly. Essere in grado di ricoprire più ruoli è fondamentale nel calcio di oggi. In Italia giocano e hanno successo giocatori come Jugovic, Boksic e Boban, non è affatto vero che noi slavi siamo dei clienti difficili. Pensate un po’ che nazionale potremmo avere se fossimo ancora tutti uniti. Secondo me, non saremmo inferiori neppure al Brasile".

Pochi dubbi, su questo. La Croazia ha appena raggiunto il terzo posto ai Mondiali, può contare su Suker, Boksic e Boban. Nella Jugoslavia del 1998 militano campioni come Mihajlovic, Jugovic, Savicecic, Mihajtovic e il giovane Dejan Stankovic. Unire tutti i ragazzi dell'Est sotto una bandiera non è più possibile, l'indipendenza è il presente e il futuro. Ma l'affermare di Mirkovic non è campata in aria, c'è classe, tecnica, forza fisica. Tale da mettere in difficoltà chiunque.

Mirkovic viene scelto personalmente da Marcello Lippi, diventando titolare della Juventus in Serie A e in Champions League. Viene presentato alla stampa nel giugno 1998, poco prima di partire per i Mondiali francesi:

"In Francia spero di andare bene anche per dimostrare che sono degno di giocare in una squadra come la Juve. So che troverò una concorrenza forte, perché qui giocano tantissimi campioni. Ma io farò di tutto per convincere Lippi".

Eccome se convicerà Lippi. Il tecnico toscano lo prenderà da parte, ascolterà il suo mondo, le sue difficoltà, il suo passato e il presente della sua terra natia. Perchè in primavera, qualche mese prima, è scoppiata la guerra del Kosovo. Dal 1995 è in atto quella di pulizia etnica e tra il 1998 e il 1999 la Nato, per contrastare il presidente Slobodan Milosevic, bombarda Belgrado e la Jugoslavia, fino al ritiro delle truppe del politico serbo dallo stato di Pristina. Lì in mezzo c'è anche Mirkovic.

A marzo 1999, infatti, la Juventus non ha più sue notizie. Il difensore è bloccato in patria in attesa di ottenere il visto di uscita per la famiglia, tre mesi prima della fine delle ostilità. La società bianconera perde ogni contatto con il suo giocatore e tutti i tentativi di mettersi in contatto con lui risultano vani visto che sia il cellulare dell'ex Partizan, sia il telefono fisso della sua abitazione di Belgrado risultano inattivi. Cerca di ottenere dall'ambasciata italiana della capitale il visto di espatrio per la madre e due nipotini. Facciamo un passo indietro.

MirkovicGetty

Pochi giorni prima della trasferta di Champions contro il Manchester United di inizio aprile, in cui è partito titolare nell'1-1 del Teatro dei Sogni, Mirkovic è in ritiro in patria in vista della sfida contro la Croazia. Una sfida che verrà rinviata per colpa della guerra e che porterà i ragazzi della Nazionale di Milan Zivadinovic a scappare verso le nazioni in cui militano, o a cui stanno richiedendo asilo. Una corsa contro il tempo prima dei raid aerei su Belgrado. Il giocatore della Juventus invece rimane con il terrore negli occhi e nelle orecchie, in attesa dei visti famigliari che arriveranno il 27 marzo.

Mirkovic lascia con la famiglia una Belgrado sporca, avvolta dal fuoco e dalle lacrime in automobile, fino a Budapest. Da qui raggiunge Francoforte in stato di shock, sbarcando a Torino a inizio aprile:

"Quello che ho visto non lo potrò mai dimenticare".

Passano i mesi, la Jugoslavia comincia la sua lenta rinascita. Nel mondo del calcio, finisce l'era Lippi. La Juventus cambia tecnico, dal dimissionario idolo Marcello al nuovo che avanza, il promettente giovane allenatore ex centrocampista del Milan reduce dalle esperienze con Reggiana e Parma, Carletto Ancelotti

Nello stesso momento. forse, cambia anche la visione del mondo calcistico da parte Mirkovic. Ha vissuto la guerra da lontano, ma allo stesso è sempre stato vicino ad essa. Perde il posto da titolare in bianconero per lo scarso feeling con il nuovo allenatore,ma nasce in lui consapevolezza che sia solamente qualcosa di secondario, rispetto alla vita.

Quella realmente dura e tremenda è ancora negli occhi e nella mente, quella che porta a pensarlo chiaro e tonante: sai che c'è? E' solo calcio. Si tratta solo di rimanere seduti su una panchina, col clima giusto, la festa sugli spalti, così diversa, così lontana da bombe, notizie frammente, stati di emergenza, esplosioni.

Nel 2000 lascia la Juventus, gioca in Turchia, poi di nuovo in patria, dove conclude la carriera giocando per la nuova Serbia, ex Jugoslavia, di nuovo meta turistica, di nuovo accogliente. Quando appende gli scarpini al chiodo, non ha paura di sbagliare, non ha limiti. E' vivo, sa di esserlo, sa di aver sfiorato un destino peggiore. Diventa dirigente, direttore sportivo, fino ad intraprendere la carriera di allenatore che lo porterà ad essere vice del Montenegro prima e allenatore in capo del Partizan. Ancora a Belgrado, cercando di avere davanti solamente il presente, senza ripescare, volente o nolente, nel triste passato della sua città.

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