MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI
- Anno: 2020
- Durata: 1 ora 41 minuti
- Lingua originale: Italiano
- In streaming su: Netflix, Sky Go
Francesco Totti a Roma, per i romanisti, non sarà mai un giocatore qualunque: più di una bandiera, un simbolo in carne e ossa. Uno di loro: per molti, l'ottavo Re. Per altri, semplicemente, "il capitano": dagli inizi al ritiro dal calcio, la vita privata, i sorrisi e le sconfitte, le vittorie e i goal indimenticabili. Tutto questo è "Mi chiamo Francesco Totti", docufilm sulla carriera di uno dei giocatori più apprezzati della storia del calcio, al di là di qualsiasi rivalità.
Il racconto completo narrato dalla voce dello stesso Francesco Totti che ripercorre le tappe del suo vissuto dalle giovanili alla Lodigiani, quindi alla Roma e nella Nazionale italiana, compresa quella Campione del Mondo 2006: un film capace di mettere insieme momenti indelebili e a trasmettere emozioni anche a chi ha solo sentito parlare, da lontano, della leggenda della Roma. Vincitore di numerosi premi come il Nastro d'Argento 2021, il David di Donatello per il miglior documentario e il Premio Flaiano, "Mi chiamo Francesco Totti" è uno dei più apprezzati docufilm calcistici prodotti in Italia. A ragion veduta.
PAROLA D'ORDINE: IL PALLONE TRA LE PAPERELLE
"E pensare che la prima parola che ho detto è stata palla".
Da bambino, Francesco Totti guardava e non giocava. Studiava i suoi amici, impegnati nel gioco delle "paperelle": le regole erano semplici. Un gruppo di bambini, in cima alla scala, si muovevano in fila indiana scendendo di gradino in gradino mentre un loro compagno, ai piedi della stessa scala, aveva il compito di calciare un pallone con l'intento di colpire più "paperelle" possibili. Chi ne colpiva di più vinceva un gelato: fatto sta che a questo gioco, per gran parte dei suoi anni, Totti non riuscì praticamente a giocare finché non gli chiesero inaspettatamente di provare.
"Vedevo che quando calciavo io il rumore del pallone era diverso: calciavo forte. Forte e preciso: calciavo e prendevo una paperella. Calciavo e riprendevo una paperella: li pigliavo tutti".
Da lì al campo vero, fatto di porte e sudore, il passo è stato breve: prima alla Lodigiani, quindi nelle giovanili della Roma, dove si allenava ammirando i suoi idoli di sempre. Lui, di fede romanista, cresciuto nel mito del "Principe" Giuseppe Giannini. Un sogno: alle partite venivano tutti. Genitori, parenti, anche quelli lontani. L'esordio con la squadra giallorossa a Brescia nel 1993 è la svolta: giocò metà partita con la Primavera, quando l'allenatore lo fece uscire. Aveva appena ricevuto una convocazione improvvisa in prima squadra: le "paperelle" erano lontane, ma lo spirito era lo stesso.
NetflixAMORI E DOLORI
Scandire la vita di Francesco Totti attraverso i suoi idoli, i suoi amori calcistici e le sue delusioni è possibile, persino necessario a volte: "Mi chiamo Francesco Totti" lo fa bene. Parte dall'ammirazione per Giuseppe Giannini, allora capitano giallorosso, presente addirittura come "uomo torta" alla festa dei 18 anni dello stesso Totti, e procede a grandi falcate verso uno dei capitoli più controversi della carriera del numero 10: il rapporto con Luciano Spalletti.
"Io ero contento di poter chiudere la carriera con un amico. Lui mi aveva aiutato tantissimo nei momenti difficili, dopo l'infortunio: io ero sicuro che potessi finire in bellezza".
La premessa in questi casi è doverosa: chi guarda "Mi chiamo Francesco Totti" sa già che il punto di vista della vicenda è quello del capitano della Roma e non dell'allenatore di Certaldo. Sa già, pertanto, che si troverà di fronte a una versione dei fatti univoca e prestata al film come unica possibile per la narrazione, per certi versi pure dissacrante. Persino la parentesi difficile con Carlos Bianchi, che gli stava costando il prosieguo alla Roma, appare sminuita di fronte alla vicenda con Spalletti. Si sente il peso dell'ultimo periodo vissuto in giallorosso: questo senza dubbio, ma rimangono alcuni punti interrogativi dovuti all'assenza, o quasi, di riferimenti ad alcuni episodi accaduti (l'intervista alla RAI che fece infuriare l'allenatore prima della decisione di non convocarlo contro il Palermo, ad esempio, viene solo lontanamente citata). In ogni caso, non mancano gli aneddoti relativi agli anni conclusivi della sua carriera.
Discorso diverso, invece, per quel che riguarda i rapporti con Carlo Mazzone, Zdenek Zeman, Antonio Cassano, Vito Scala e Ilary Blasi: tra campo ed extracampo, passaggi ricchi di spunti che aiutano a comprendere meglio il Totti uomo, ancor prima che calciatore.
NetflixFRANCESCO TOTTI È LA ROMA
"Il torneo 'Città di Roma' è stato il destino di tutto, di tutta la mia carriera con la Roma".
A proposito di Carlos Bianchi, nel film il rapporto predestinazione-leggenda è uno dei temi ragionevolmente più presenti come filo conduttore tra i capitoli della storia. A tal proposito vale la pena citare un episodio: l'allenatore argentino voleva a tutti i costi ingaggiare Jari Litmanen e per farlo venne organizzato un torneo amichevole al quale partecipò anche l'Ajax. Francesco Totti, intanto, era sempre più fuori dalla Roma: a Bianchi non piaceva. Semplice. Proprio la stampa lo dava prossimo alla cessione, però, Totti spiazzò tutti con due grandissime prestazioni nei match contro Borussia M'Gladbach e Ajax, tanto che Franco Sensi, che stravedeva per lui, a fine partita fu lapidario. "Il destino di Totti è della Roma". Bianchi non potè far altro che arrendersi.
Lo Scudetto, poi, fu l'apoteosi: uno dei punti più alti della sua carriera alla Roma, eguagliato, forse, dalla partita d'addio all'Olimpico. Totti è un pezzo di storia giallorossa: parte della Curva Sud, come si definisce lui stesso, facendo riferimento alla sua fede. Lo voleva il Real Madrid: i Blancos lo corteggiavano anche tramite gli stessi giocatori. Lui? Niente: pochi, naturali, dubbi. La risposta, però, è sempre stata una.
"Ma ndo vado via da Roma? Come faccio ad anna' via da Roma? E' impensabile, è impossibile: cioè io ero di Roma e basta".
Se c'è un aspetto che, in particolare, emerge in "Mi chiamo Francesco Totti" quello riguarda la consapevolezza della sua grandezza. Non è da tutti, soprattutto in un docufilm autobiografico. Totti sa quel che è stato, sa cosa ha fatto: sa cosa ha passato, tra gioie e dolori (il recupero lampo per i Mondiali del 2006 compreso). Sa cosa sarà, sempre, per i romanisti.
"Mamma mia quant'è bella Roma! Cioè io tanti posti di Roma non li conosco perché non posso. Perché? Perché non posso sta' un minuto un monumeto e mezz'ora a firma' autografi: che me vedo? Che me godo? [...] Io non so' più Francesco: so' diventato un monumento pure io. [...] Un giorno vorrei essere una persona normale. Ce sarà un giorno da qui a che moro? Per me no: però io alla fine è come se conoscessi tutti. Quello che ho vissuto io con la gente di Roma, nessun altro al mondo l'ha vissuto".
E probabilmente è giusto così: nell'immaginario collettivo non sarà mai un calciatore qualunque, ma un simbolo della Roma. Ciò che sognava da bambino e che ha protetto e salvaguardato fino alla fine, raccontato dettagliatamente da un film che ha il pregio di ispirare e non essere semplicemente ispirato. Una di quelle pellicole che quando finiscono ti vien da dire, proprio come esclama Francesco Totti alla fine: "Va be', manna un po' n attimo indietro".
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