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Messi Argentina red cardGetty

Maledizione dal principio: Messi, espulso 40'' dopo l'esordio in Nazionale

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E' come se si fosse subito alzato dalla parte sbagliata del letto. O col piede sbagliato. Avete presente, no? Significa che la tua giornata, psicologicamente, incosciamente, andrà male. Per la foga, la fretta, la voglia di scendere il prima possibile. Scendeva nel mondo dei grandi, indossando una maglia troppo grande per lui, piccoletto numero 18 all'esordio con la Nazionale argentina. Subito maledetta, senza amore ma solo necessità di indossarla e dimostrare di poter fare tutto. Leo Messi.

Il 17 agosto del 2005 e Messi gioca in Europa, a Budapest. Gioca per modo di dire, perchè inizierà più che altro il suo negativo rapporto con la Nazionale maggiore dell'Argentina fatto di odio e non di amore. Non che non ami la sua maglia e la sua nazione, ma non può amarla al 100%. L'ha ferito tante volte, eppure lui ci crede, sa che il loro rapporto può ancora essere salvato. Ma arriverà un giorno in cui, se la situazione non sarà migliorata, dovrà per forza di cose mollarla.

Era un ragazzino che dell'amore sapeva poco e niente, dei rapporti difficili non conosceva le diramazioni e i percorsi che il cuore può prendere. Si è ritrovato immediatamente a tenerlo in mano, spezzato. Non potrà mai dimenticare quel primo bacio, quel primo innamoramento nella magica e romantica Budapest. Durato troppo poco, finito incredibilmente male. Derivato in furbizia, accortezza e maggiore consapevolezza.

C'è Pekerman in panchina, mentre sul terreno di gioco boss con sguardo fiero e testa alta. Ci sono Ayala, Sorin, Hernan Crespo. Simboli dell'Argentina, quelli che finiscono nei racconti di compagni ed avversari, fonti di aneddoti, risate, incazzature. Capelli sugli occhi per l'astro nascente, l'ennesimo nuovo Maradona che sì, si rivelerà tale in seguito. Parte dalla panchina Messi, e già si dice possa trovare spazio contro l'Ungheria, in amichevole.

E' una gara divertente, in cui a Maxi Rodriguez risponde Torghelle. Nessun colpo proibito, qualche dribbling, tanto relax e prove di qualificazioni Mondiali per un'Argentina ferma agli ottavi della competizione tedesca in cui pop-po-po fa rima con Italia e lacrime è la prima parola da associare alle altre grandi del torneo, dalla stessa Nazionale albiceleste alla Germania padrona di casa. La storia arriva all'improvviso, a meno che non sia organizzata per filo e per segno. E non è questo il caso.

MessiargentinaYoutube

L'Argentina ha nuovamente trovato il vantaggio, con il goal di Heinze che si rivelerà decisivo. Pekerman lo vede pronto, con lo sguardo attento, impaziente. Muove la gamba freneticamente sul posto perchè non vede l'ora di farlo ripetutamente in campo, come ha fatto nella sua prima stagione da professionista in maglia Barcellona. Palla attaccata al piede, mani che si muovono a ritmo mentre corre come il vento. Messi si sta svelando al mondo.

In Ungheria, Budapest, Puskás Ferenc Stadion, Messi entra in campo al posto di Lisandro Lopez. 53' 16''. Sembra un passo della Bibbia, è l'inizio di un rapporto complicato con l'Argentina, una donna che non l'ha mai ricambiato. Bacio a Lopez, in bocca al lupo da Maxi Rodriguez. Passaggi di prima tra tutta l'Argentina a caccia del terzo goal e della chiusura del match, prove di calcio veloce a pochi giorni dal ritorno dei campionati europei e sudamericani.

Una ventina di secondi il primo tocco, subito di prima restituito. Poi la prima accelerata ed un passaggio troppo ravvicinato, quasi intercettato dal centrocampo avversario. La palla torna indietro, sempre tra i piedi degli uomini di Pekerman. Vogliono vincere, ma non hanno quella foga da Mondiale, Copa America. Non devono mettersi in mostra. A differenza di Messi, catapultato in questo nuovo mondo di stelle e leggende.

Giro palla. Centro, destra, centro. Palla ai 40 metri, sui piedi di Messi. E' la solita accelerata che i malcapitati eroi hanno provato a fronteggiare in quindici anni. Quell'accelerata senza mistero, alla quale rimedi tirando la maglia, usando le spalle.

I metodi non sono ortodossi, ma non c'è altra soluzione. Lo capisce prima di tutti Vilmos Vanczák, numero 6 dell'Ujpest e della Nazionale ungherese. Lo vede con le ali ai piedi e lo afferra per la maglia.

E' il minuto 53, 56 secondi. Quaranta secondi dopo il suo ingresso in campo, Messi ha troppa adrenalina in corpo, esagerata ambizione. Non riesce quasi a rendersi conto che qualcuno possa fermarlo con quei modi che allarga il gomito. Questo, come una molla, finisce sul volto di Vanczák, a terra. Rosso diretto per la Pulce all'esordio con la Nazionale argentina. Direttore di gara accerchiato. E non uno qualsiasi, quel Markus Merk che nei racconti dei fischietti è giudicato come il secondo arbitro migliore di tutti i tempi. Inflessibile, quasi consapevole di fare la storia.

Lacrime per Messi, capo basso, uscita dal campo con i capelli in faccia, la partita continua a scorrere. Una riga per Messi, perchè chi scrive vede le sue qualità, ma non il futuro nudo e crudo. Che diventi la qualità incarnata calciatore nel nuovo millennio è possibilità, non certezza. Il mondo crolla addosso al giovane argentino, non è abituato alla grinta internazionale, di chi sgomita dall'alba al tramonto per guadagnarsi il pane. Comincerà a capirlo da lì in poi. Perchè quell'espulsione lo battezza, facendogli capire il mondo del calcio ad alti livelli. Servirà, da un certo punto di vista.

Dall'altro no, perchè dall'inizio alla fine, intesa come attuale carriera con l'Argentina ancora in divenire, non è mai cambiato nulla. Solo delusioni, solo pianti a dirotto, tre finali perse, tanti goal, poco altro. Scaramantici? Attenti al primo impatto? Avete pane per i vostri denti. 40 secondi per l'espulsione, quindici anni per provare ad invertire la rotta. No, se scendi dal letto con il piede sbagliato tutto va male. Una giornata sola. Un'era calcistica.

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