“Perché crei sempre problemi?”: le pagine dei tabloid sono praticamente piene zeppe di una storia relativa al solito nome, nel febbraio del 2010. Craig Bellamy. Come se fosse una novità, insomma: in realtà non è la prima volta che quelle parole vengono sbattute in homepage a caratteri cubitali, quasi sempre legate alla stessa foto che lo ritrae arrabbiato o sofferente. Non deve essere stato semplice vivere la carriera del gallese: questo no, non lo mettiamo in dubbio. Resta il fatto che quella volta lì insieme a lui sui tabloid ci finisce anche Roberto Mancini, mesi prima degli scontri con Mario Balotelli.
“Perché non fai quello che ti viene detto? Perché metti sempre in discussione ogni cosa in allenamento e in partita?": le prime ricostruzioni sono le più classiche, se si riconsidera la vita calcistica di Bellamy. In allenamento, secondo gli insiders (e i testimoni), pare esserci stato un duro scontro tra l’allenatore e il suo attaccante, reo di non seguire le direttive tecnico-tattiche: spirito libero, ha sempre fatto di testa sua. I tabloid chiosano con la frase che, poi, effettivamente segnerà quell’episodio: “Voglio che te ne vada: e non tornare per tre mesi”.
Elmetto da pompiere in testa, Mancini si presenta in conferenza stampa e placa gli animi: “Ho letto che ho avuto un problema con lui. Gli ho parlato faccia a faccia, come fa un allenatore con un giocatore: non gli ho detto di sparire per tre mesi”. Quel che resta, però, è la fitta trama che si cela dietro l’episodio: a dicembre Bellamy è uno dei giocatori più delusi per l’esonero di Mark Hughes, che lo aveva allenato in Nazionale tra il 1999 e il 2004 e nel Blackburn, tra il 2005 e il 2006. Non è, insomma, il primo tifoso di Roberto Mancini, al di là di qualsiasi interesse di squadra.
Ciò, comunque, non gli impedisce di concludere quella stagione con i Citizens: sostanzialmente l’ultima, perché dalle successive giocherà tra Premier League e Championship, tra Liverpool e Cardiff. Quello che in pochi ricordano, però, è che nel 2012 ha vestito la maglia del Regno Unito alle Olimpiadi di Londra 2012: al servizio di sua maestà, con un rigore d'animo che quasi non gli è mai appartenuto, segnando anche contro il Senegal. Indimenticabile, se ci si pensa un po’ su: il fatto è che Bellamy è sempre stato un giocatore speciale, atipico, fortissimo. Quando voleva.
GettyHa giocato prevalentemente esterno, ma anche da mezzapunta non scherzava: un destro quasi sempre letale, nascosto da una statuta minuta, in termini d’altezza, resa solida dallo spessore fisico dei muscoli, sapientemente curati. Non certo quello che di solito si addice a un assiduo frequentatore dei pub: o forse sì? Lasciamo a voi la risposta.
I locali notturni lo hanno visto protagonista più volte di quelle che avrebbe meritato per fare il salto di qualità calcistico: come quella sera al Monty’s Restaurant and Bar di Algavre, poche ore prima della gara degli ottavi di finale di Champions League contro il Barcellona al Camp Nou, meta da raggiungere il giorno dopo. A Bellamy viene la brillante idea di andare a bere qualcosa con la squadra per stemperare la tensione, chiamando e sfidando al karaoke “Ginge”, tale John Arne Riise, che però si rifiuta.
“Gliel’ho chiesto di nuovo, ma lui si è alzato e ha cominciato a gridare: ‘Ascolta, non canto e ne ho abbastanza di te’. […] All’epoca, per com’ero, non sapevo come controllare le mie emozioni se qualcuno mi mancava di rispetto di fronte al resto della squadra”, spiegherà anni dopo Bellamy nella sua autobiografia dal titolo “GoodFella”.
Tornato in hotel il gallese è furioso. Si rivolge a Steve Finnan e promette vendetta: “Non può parlarmi così. Non ci passerò sopra, sto andando in camera sua”. Prende una mazza da golf e fa visita a “Ginge”.
“Fu preso dal panico, si raggomitolò sotto le coperte. Gli dissi: ‘Non parlarmi mai più così davanti alla gente o ti darò una mazzata in testa’. […] Guardo indietro a quello che ho fatto e rabbrividisco: è stato patetico, una stupidità di altissimo livello”, aggiungerà.
La mazzata arriverà, in realtà, ma sul campo: segneranno entrambi, al Camp Nou, sia “Ginge”, Riise, che Bellamy, ribaltando il vantaggio iniziale di Deco. Il Liverpool perderà al ritorno, ma passerà agli ottavi, in una Champions che li vedrà sconfitti solo in finale contro il Milan e che ricorderà l’esultanza dell’attaccante gallese contro il Barcellona come iconica. Una “mazzata”, appunto: la mimica di un tiro con una mazza da golf, ironico.
GettyNessuno ha mai saputo cosa frullasse in testa a Bellamy, di tanto in tanto: Elano, ad esempio, suo compagno di squadra al Manchester City ha provato a dare una risposta definitiva, per quanto forte, a ‘UOL Esporte’.
“Bellamy non è nemmeno pazzo: è malato”. E tanti cari saluti ai concetti di “ciò che succede nello spogliatoio, rimane nello spogliatoio” o di “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
In realtà la vita di Bellamy è stata un po’ più complessa di quello che è sembrato a molti. Non che ciò possa mai spiegare quanto prodotto con i suoi comportamenti, ma non deve essere stato facile essere lui, in certi momenti.
“Tornavo a casa e non parlavo per tre giorni. Avevo una moglie, una giovane famiglia, ma letteralmente non parlavo con nessuno. Mi chiudevo in una stanza e poi andavo a letto da solo. Era l’unico modo per affrontare la depressione”,ha raccontato a Sky Sport.
Magari adesso, da vice di Vincent Kompany sulla panchina del Burnley, rivedrà i suoi comportamenti da un’ottica diversa, quella dei tanti allenatori con cui ha litigato. Riscoprendosi fragile come un uomo che di fronte alle difficoltà ha reagito sempre nella stessa maniera: mostrando i denti, stretti nella morsa della rabbia repressa, sfogata con risposte assurde e sprazzi di qualità calcistica da talento puro, infranti da una mazza da golf e da uno swing ben assestato. Dritto al cuore.


