GOALIl primo servizio nella TV locale, a Catania, lo ritraeva con la maglia Tricolor del Gremio, allora sua ultima in ordine di tempo: immagini tradizionalmente sfocate dalla luce artificiale degli stadi brasiliani e dalla qualità (che 4K spostati) delle emittenti cittadine. Ma tant’è: al club allenato da Sinisa Mihajlovic, in quel periodo, servivano soprattutto i goal, mica una figurina da mettere in mostra in attacco.
Al suo arrivo in Sicilia, gli argomenti trattati furono soprattutto tre, in ordine ben preciso: la sua Ferrari, una 599 GTB Fiorano che a vederla incunearsi nelle strade strette che portano al vecchio campo d’allenamento di Massannunziata (che, tra le altre cose, in quegli anni si trovava accanto a un liceo, con orde di studenti spiaccicati alle finestre pur di vedere i giocatori in campo) sembrava di essere a Beverly Hills, con l’Etna sullo sfondo. Poi Wanda Nara: un riempitivo reso argomento di pettegolezzo dalla stampa locale. Ultimo il Barcellona e la Champions League vinta con Ronaldinho, Eto’o e Messi. Questo basta e avanza per comprendere quel che è stato Maxi Lopez dal suo arrivo in Italia: un fatto sociale.
“Il mio rapporto con Lo Monaco era di amore e odio, ci volevamo comunque bene. All'epoca avevo comprato una Ferrari e lui mi minacciava dicendo che non era la cosa giusta, voleva bucarmi le gomme. Poi cominciai a segnare e si calmò", racconta a Sky Sport.
GettyDue anni più tardi della Ferrari neanche si parla più: Maxi Lopez è chiuso da una settimana all’NH Hotel di Milano, in attesa della firma con il Milan. Che poi, più che un’attesa, era diventata una vera e propria telenovela.
L’argentino aveva deciso di fare le valigie e lasciare Catania alla terza stagione in rossazzurro, anche se tutti ricorderanno solo la prima e il suo impatto devastante nel calcio italiano. Il punto più alto della sua carriera, probabilmente, dopo anni difficili passati in Spagna (dopo il Barça passò al Maiorca), Russia (all’FK Mosca) e Brasile.
Mihajlovic, uno che lo accompagnerà anche a Genova, alla Sampdoria, aspetta solo una gara prima di mandarlo in campo, schierandolo titolare contro l’Udinese. Ora: quella squadra, letta nella sua interezza, contava otto argentini (Andujar, Alvarez, Spolli, Silvestre, Carboni, Ricchiuti, Llama e lo stesso Maxi), un uruguaiano (Martinez) e due italiani (Capuano e Biagianti). Per un attimo, forse, deve essergli passata per la testa l’idea di essere di nuovo al River Plate. A Catania, in quegli anni, era così.
Gioca 56 minuti, poi viene sostituito con Takayuki Morimoto: alla seconda è ancora titolare, ma questa volta all’Olimpico di Roma contro la Lazio. Al 63’ c’è un cross di Giuseppe Mascara sul quale si avventa in spaccata anticipando André Dias, facendo seguire la prima delle tante esultanze italiane. Porta le mani dietro le orecchie, spostandosi i capelli, e indirizza lo sguardo vero la tribuna.
A proposito dei capelli: lunghi, lunghissimi. Altro argomento di dibattito a Catania: giocatore caratteristico, “un tipo” o “un personaggio”, direbbero in terra etnea. Ordinata da una fascetta, resa plastica dal diluvio del 12 marzo 2010, la chioma bionda de “La Galina de Oro” (perché si diceva trasformasse i goal in oro) ondeggiò al ritmo di danza dopo il goal del momentaneo pareggio del Catania contro l’Inter di José Mourinho, quella del Triplete, nello storico 3-1 del Massimino.
Una delle reti più importanti di Maxi a Catania: undici in diciassette presenze in metà stagione, alla sua prima, compresi due nel Derby contro il Palermo. Una roba allucinante: sintesi perfetta di potenza e tecnica. Sembrava poter spaccare il mondo: poi, di colpo, tagliò i capelli. E come Sansone si spense.
"Partii da Catania e arrivai in albergo a Milano, firmai subito il contratto. Il Milan all'epoca cercava anche un altro attaccante che era Tevez, Braida mi disse di aspettare un paio di giorni che poi diventarono una settimana. Mi trovavo bloccato in hotel ma non potevo tornare indietro, avevo firmato. Avevo una proposta di quattro anni dall'Inghilterra ma il Milan era la mia priorità".
Le telecamere seguirono Maxi Lopez in ogni suo movimento, per una settimana, prima della firma con il Milan: erano i Campioni d’Italia, con Zlatan Ibrahimovic in attacco e la concreta possibilità di tesserare Carlos Tevez. Lo Monaco convinse Galliani: una riserva come la “Galina de Oro” poteva essere utile. I rossoneri fecero seguire l’interesse, poi la lunghissima trattativa: prestito con diritto di riscatto. In risposta al destino Maxi tagliò ulteriormente i capelli, preferendo una vistosa cresta a una chioma ordinata. Nella vita bisogna essere ribelli, in fondo.
GettyL’unico goal in rossonero lo segna al Friuli contro l’Udinese, siglando il momentaneo vantaggio nella sfida terminata 1-2. Con lo Scudetto cucito sul petto, vinto dai compagni l’anno prima, deve essersi sentito di nuovo al centro del sistema calcio: al Milan prese la ventuno di Andrea Pirlo. Non una maglia qualunque: non bastò per cambiare le sorti di un futuro già segnato.
“Dovevamo giocare contro il Parma al Tardini, era prima di una sfida di Champions League. Ricevetti un pallone spalle alla porta, lo stoppai, mi girai subito e lo passai in area per Ibra. Lui rimase fermo, all'inizio non si girò neppure, continuando a guardare dove era finita la palla. Poi tutto a un tratto si girò e mi urlò contro. Mamma mia, quante me ne ha dette...”, racconta a Tyc Sports, aggiungendo l’epilogo dei giorni successivi, quando lo svedese gli disse “la prossima volta che fai così ti spacco la faccia”. Era al Milan non più al Catania: se ne rese presto conto.
Di tutto quel che accadde negli anni successivi fuori dal campo non vale la pena neanche fare un accenno: non servirebbe. Tornerà al Catania a fine stagione, prima di trasferirsi alla Sampdoria e vestire le maglie di Chievo, Torino e Udinese. Viaggia, va in Brasile, al Vasco da Gama, quindi torna in Italia al Crotone, in Serie B.
L’ultima parentesi calcistica la vive in Serie C, con la maglia della Sambenedettese: l’espressione ultima di quel che è stato, in fondo, Maxi Lopez. Un uomo, prima ancora che un calciatore. Le ambizioni della formazione rossoblù sono altissime: la nuova proprietà promette la promozione in Serie B, allestendo una formazione composta da giocatori di categoria superiore.
Della Samb diventa il capitano e il leader del gruppo, guidando i compagni calcisticamente e spiritualmente in una stagione che si rivelerà fallimentare, in tutti i sensi. Anche perché la società si sfalda, gli stipendi non vengono pagati e, ben presto, la Sambenedettese si trova a un passo dal baratro.
“Sono orgoglioso di essere il capitano della Samb e di un gruppo di calciatori che sta dimostrando l’attaccamento alla maglia con spirito, sacrificio e dedizione unica. Ma proprio in quanto capitano mi corre l’obbligo di evidenziare le difficoltà e la poca chiarezza che il club sta vivendo in questo momento, e come tale situazione sia divenuta pesante”.
Prende in mano la situazione e parla alla stampa, organizzando una conferenza per spiegare lo stato delle cose. Un po’ sindacalista, pure: la Samb si qualifica ai Playoff, nonostante tutto, giocandoli pure. Quella partita lì Maxi Lopez la ricorderà per sempre: è il 9 maggio, il club è già fallito, e all’Helvia Recina di Macerata il club rossoblù perde 3-1. Al 77’ Paolo Montero lo fa entrare per 13 minuti: gli ultimi 13 minuti della sua carriera. Oggi è altrove: è in Inghilterra, come co-proprietario del Birmingham City. L'ennesima sfida.
Ha vinto una Champions League, ha vestito la maglia del Milan e si è beccato anche critiche come quella rivoltagli da Mihajlovic, che nel 2016 disse che aveva “una lavatrice sulle spalle”. Ma è rimasto fino alla fine: fino all’ultimo, con il sorriso sulle labbra e la voglia di esultare come in Milan-Catania dell’11 aprile 2010, terminato 2-2. Con le mani piegate ai fianchi, a mo’ di gallina. De oro.
