Mario StanicGetty Images

Mario Stanic, il 'Mandzukic ante-litteram': a Parma cambiò la carriera di Ancelotti

Se questo articolo fosse un film, se dovessimo ridurre a una serie più o meno lunga di snodi cruciali quello che è stato il percorso di Carlo Ancelotti da allenatore, sarebbe inevitabile trovare due momenti e due figure decisive. La prima è Fabio Capello . L’uomo che, rimpiazzandolo con Demetrio Albertini, velocizzò le pratiche per il suo ritiro dal calcio giocato e soprattutto il tecnico che nel 1996 gli regalò la panchina del Parma, preferendo in extremis il Real Madrid agli emiliani con cui si era già accordato da tempo. L’altro nome che ci viene in mente, invece, è un po’ più improbabile. Il reale protagonista della nostra storia, Mario Stanic . Già, se non ci fosse stato lui a segnare a San Siro il 22 dicembre 1996, molto probabilmente la carriera di Ancelotti avrebbe preso una strada diversa. 

Basta pensare alla sera prima di quel Milan-Parma, quando l’allora mister gialloblù riunì lo staff in albergo per un brindisi d’addio. Perché sì, la sua prima stagione in Serie A era già arrivata al capolinea per colpa di un avvio disastroso. A cambiare il corso della storia, però, ci pensò proprio Stanic con un colpo di testa micidiale sugli sviluppi di un corner calciato da Zé Maria. 0-1, vittoria ed esonero evitato. Fino all’incredibile rimonta che portò il Parma alla prima ed unica partecipazione alla fase a gironi di Champions League. Lì dove Stanic non avrebbe giocato nemmeno un minuto, per colpa di un altro snodo cruciale nella sua storia: l’infortunio al ginocchio sinistro.

L’abbiamo presa alla lontana, ma è bene andare con ordine. Se siamo qui a scrivere di Stanic a 16 anni dal suo ritiro non è soltanto per una ricorrenza. Non è nemmeno perché stiamo ricordando un calciatore che ha scritto pagine memorabili nella storia del calcio. Non ha segnato valanghe di reti, non è il primo nome che ti salta in mente quando pensi a Dinamo Zagabria, Benfica, Bruges, Parma o Chelsea (i club principali in cui ha militato). E, se si pensa alla grande Croazia di Francia ’98, sarà più facile ricordare la classe di Zvonimir Boban e Davor Suker. Eppure, Stanic è stato amato come pochi da chi lo ha visto giocare. Fino a diventare un piccolo oggetto di culto , il cui agrodolce ricordo è acuito dalla serie di infortuni da cui è derivato il ritiro a soli 32 anni.

Mario Stanic Parma

Come si può raccontare Stanic a chi invece non lo ha visto giocare? In termini tattici, stiamo parlando di un giocatore di transizione tra il calcio anni 90 e quello dei nostri giorni. Il croato univa infatti la fisicità del centravanti (alto 1.87, muscoloso ma tremendamente asciutto) al dinamismo di quella che una volta era l’ala tornante . Se vi serve un paragone, basta spostarsi dalla sua Sarajevo a Slavonski Brod, lì dove troverete Mario Mandzukic . Più dinamico e tecnico Stanic, più determinato e potente l’ex juventino. Entrambi duttili e capaci di valorizzare con il proprio movimento l’estro dei compagni di squadra. Tasselli decisivi per formazioni vincenti.

Il Parma vinse la concorrenza della Fiorentina e lo prese dal Bruges nel mercato di riparazione del 1996, pagandolo 8 miliardi di lire. Il suo arrivo in Emilia destò scalpore specie perché fu associato alla contemporanea cessione di Gianfranco Zola al Chelsea per 12,5 miliardi. Una scelta in cui si possono distinguere nettamente tutti i tratti del primo Ancelotti, quello che avrebbe sacrificato sull’altare del 4-4-2 non solo il futuro “Magic box” ma anche Roberto Baggio. Stanic arrivò in Italia come punta (aveva segnato quasi 30 goal in un anno e spiccioli in Belgio), un giocatore da mettere in concorrenza al timido Hernan Crespo dei debutti in Serie A. Invece Ancelotti lo trasformò in un esterno destro di centrocampo.

Potenza, tenuta atletica e tecnica. Una sorta di arma impropria per il calcio tutto pressing e spazi stretti di quegli anni. Ma anche un trait d’union ideale con il football attuale, quello in cui il gioco di posizione predominante obbliga tutti a saper fare tutto. Stanic è stato, a suo modo e suo malgrado, uno dei primi polivalenti d’attacco. Fino alla sua iconica frase dell’estate 1998: “Per giocare i Mondiali, mi metterei anche in porta”.

Il ct Miroslav Blazevic non arrivò a tanto, limitandosi a completare la trasformazione iniziata a Parma e posizionando Stanic da esterno in un 3-4-1-2. Robert Jarni da una parte, lui dall’altra. A servizio dei pensatori (il già citato Boban e il flemmatico Alijosa Asanovic appena retrocesso a Napoli) e degli stoccatori (Suker e l’ex Padova Goran Vlaovic). Senza dimenticarsi del primo cambio, un altro dai piedi ispirati e dalle gambe lente, Robert Prosinecki. Il telaio tattico di un Mondiale storico (terzo posto, risultato migliorato soltanto in Russia) e concluso di fatto nella rocambolesca notte di Saint-Denis, quando fu un altro “parmigiano” a vestirsi da bomber: l’inatteso Lilian Thuram. Un Mondiale che si era aperto proprio con un goal di Stanic contro la Giamaica. 

Stanic Croatia 1998Getty Images

Questa la spiegazione tattica e storica. Ben più complicata, invece, quella emotiva e romantica. Se Stanic viene salutato con un sorriso dolce e ricco di rimpianti ovunque lui ritorni, che sia Parma o Londra, è indubbiamente per quel fare scanzonato figlio di un calcio di altri tempi. Lo stesso stile che lo vide tingersi i capelli di biondo prima della partita più importante nella sua carriera , i quarti di finale di Francia ’98 contro la Germania. Come mai? Per sbeffeggiare i romeni , che sino agli ottavi con la Croazia avevano dato spettacolo non soltanto vincendo il girone sull’Inghilterra ma anche tingendosi tutti i capelli, da Gheorghe Hagi a Dan Petrescu (unica eccezione – per sopraggiunti limiti tricotici - il portiere Bogdan Stelea), come confermò lo stesso Stanic.

“Mi sono fatto biondo anch’io perché adesso porto lo scalpo dei romeni”.

Oltre al sorriso, però, c’è anche il rimpianto di chi non dimentica l’interminabile serie di infortuni iniziata nel maggio del 1997. La rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro limitò la sua carriera in modo fatale. Uno snodo cruciale che non ci impedirà di ricordare con affetto quello che per molti sarà sempre il solo ed unico Super Mario.

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