GOALNell'autunno del 1992, come ammetterà lo stesso protagonista della nostra storia, dire calcio e dire Marco Van Basten è praticamente la stessa cosa. Il 'Cigno di Utrecht' si era lasciato alle spalle la delusione per aver fallito il rigore decisivo contro la Danimarca nella semifinale degli Europei di Svezia ed era ripartito più forte che mai con le maglie di Milan e Olanda.
Il suo avvio di stagione è strabiliante, tanto da far dire a tutti che "un Van Basten così completo nessuno lo aveva mai visto". Marco è diventato 'un giocatore totale', in grado ormai di fare il trequartista oltre che l'attaccante.
Sa segnare in tutti i modi possibili e ispirare i compagni con lanci millimetrici. A dicembre è meritatamente premiato conil terzo Pallone d'Oro della sua carriera e il FIFA World Player. Nessuno può prevedere in quel momento che di lì a poco la sua carriera e la sua stessa vita sarebbero cambiate per sempre.
LO STRAORDINARIO AVVIO DI STAGIONE NEL 1992/93 E IL 3° PALLONE D'ORO
L'inizio della stagione 1992/93 mostra al mondo il Van Basten più completo di sempre, capace di mettere insiemein 3 mesi e mezzo 19 reti e 5 assist in 18 presenze totali, di cui 12 goal e 3 assist in 12 partite di Serie A e 6 reti e 2 assist in appena 4 gare di Champions League. Il Milan di Capello, con lui al top e il nuovo acquisto Gianluigi Lentini a sfrecciare sulla fascia destra, sembra una macchina perfetta e domina in Italia e in Europa.
Il primo sigillo del 'Cigno di Utrecht' arriva nella Supercoppa italiana contro il Parma il 30 agosto, quando Marco sblocca il risultato per il Milan, che si impone 2-1 e conquista il primo trofeo stagionale. In campionato cala una tripletta da sogno nella 2ª giornata in Pescara-Milan 4-5, poi goal ed assist all'Atalanta (2-0), doppietta e assist al Franchi in Fiorentina-Milan 3-7 e doppietta al Meazza in Milan-Lazio 5-3. In Europa parte con una doppietta all'Olimpia Lubiana nel primo turno, seguito dall'assist per il goal di Maldini nella vittoria per 0-1 in Slovacchia nell'andata del 2° turno contro lo Slovan Bratislava.
Niente e nessuno sembra poter fermare lo strapotere tecnico e atletico del fuoriclasse olandese. Tanto più che il mese di novembre è ancora più esplosivo: l'8, in campionato, Van Basten annienta il Napoli al San Paolo con un poker di rara bellezza. Quindici giorni dopo si ripete facendo altrettanto in Champions League nel poker di San Siro contro l'IFK Göteborg. La ciliegina è il 3° goal, realizzato con una spettacolare rovesciata su cross di Eranio.
Poi altri due assist, uno in campionato per Lentini per pareggiare il Derby di andata con l'Inter, e uno in Champions ad Eindhoven contro il PSV per la prima rete di Rijkaard (1-2 per i rossoneri).
Tante prodezze non possono che portargli il Pallone d'Oro (il terzo in carriera) e il FIFA World Player, in entrambi i casi precedendo Hristo Stoichkov del Barcellona.
"Nel dicembre 1992 ero in cima all’Olimpo - ricorderà Van Basten nella sua autobiografia, 'Fragile. La mia storia', scritta a quattro mani con Edwin Schoon -. Sono stato eletto miglior giocatore del mondo e, per la terza volta (come Cruijff e Platini), migliore d’Europa. Avevo vinto tre coppe europee, segnando goal decisivi in due finali, avevo determinato un grande torneo per Nazionali e avevo realizzato quattro goal in una sola partita contro l’IFK Göteborg, un’impresa che non era ancora riuscita a nessuno nella Coppa dei Campioni".
PinterestMa qualcosa nell'universo dorato di Super Marco iniziava a preoccuparlo: nelle ultime 5 partite, 4 di campionato ed una di Champions, infatti, il numero 9 rossonero non va a segno e gioca ad un livello più basso dei suoi standard elevatissimi, condizionato da un fastidio crescente alla caviglia destra, la stessa già operata due volte, messa peraltro a dura prova da una botta che l'aveva costretto a lasciare il campo dopo il primo tempo contro l'Ancona il 13 dicembre 1992.
L'olandese sente fitte molto forti nel ritiro dell'Olanda e salta la partita di qualificazione ai Mondiali di USA '94 contro la Turchia, che si gioca a Istanbul il 16 dicembre, e si sottopone a degli esami a Milano, che evidenziano un'infiammazione tendinea.
Van Basten è molto ambizioso e determinato a giocare sempre al top, così va in Svizzera per fare un consulto dal Dottor Marti, non un medico qualsiasi, ma colui che era stato incaricato per dirigere un nuovo reparto del policlinico universitario di Amsterdam e che aveva già operato l'olandese alla caviglia sinistra, due volte alla destra e una volta al ginocchio.
"Potevo pensare di aver raggiunto il vertice, ma la mia fame di gloria non si era ancora placata. Tutt’altro! - scriverà nel suo libro - La caduta è stata dura, sono stramazzato quello stesso mese".
Marti consiglia a Van Basten una nuova operazione alla caviglia destra per rimuovere quei frammenti ossei che infiammano continuamente la caviglia e rischiano di danneggiare la cartilagine.
L'OPERAZIONE A ST. MORITZ E LE ULTIME PARTITE
Il Milan non è d'accordo sull'intervento e il medico sociale rossonero Giovan Battista Monti, detto 'Ginko' e il responsabile dei servizi sanitari, Rodolfo Tavana, avvertono il giocatore dei rischi che corre. Ma Marti convince Marco che non c'è nulla di rischioso. L'attaccante decide allora di seguire il consiglio dell'esperto chirurgo, approfittando anche della pausa invernale del campionato. Tanto più che il tempo di recupero previsto è di sole 4-6 settimane. Di quella decisione, invece, finirà per pentirsi per sempre.
"Le cose non potrebbero andare meglio... Poi, però… ospedali e cliniche, per quanto siano efficienti, fanno sempre leva sulla fragilità del paziente - scriverà Marco nell'autobiografia -. Certo, gli ultimi quattro anni erano stati ricchi di successi, ma a fine partita la mia caviglia continuava a gonfiarsi. Soprattutto quando le temperature scendevano, con i campi che diventavano più pesanti, per i due giorni successivi non c’era scampo dal dolore".
"Ero stato io a insistere per questa operazione, nonostante il medico della società, il dottor Tavana, avesse provato a scoraggiarmi. Il club avrebbe preferito che rimandassi l’intervento alla fine della stagione, che portassi a termine quell’annata fantastica con Capello. Dal suo arrivo non avevamo ancora subito sconfitte. Ma io sono stato irremovibile. Non ne potevo più di quella caviglia dolorante".
"Visto che l’intervento precedente era andato a buon fine (, era parso logico rivolgersi di nuovo al dottor Marti. Conosceva la mia caviglia come nessun altro. Oltre a lavorare presso l’AMC di Amsterdam, il policlinico universitario, Marti era titolare di una clinica a Sankt Moritz, a meno di tre ore d’auto da Milano".
"L'idea era di 'ripulire' nuovamente la caviglia e liberarla dai frammenti ossei... [...] Volendo avremmo potuto temporeggiare, ma la sosta invernale mi era sembrata un buon momento, e Tavana sarebbe stato presente in sala operatoria a rappresentare gli interessi sia miei che del club".
Dopo aver ritirato il Pallone d'Oro il 20 dicembre, il giorno seguente Van Basten vola così a Sankt Moritz con il jet privato messo a disposizione dal presidente Silvio Berlusconi.
"È la mattina del 21 dicembre 1992 quando, sdraiato a letto attraverso gli ampi corridoi dell’ospedale, due suore mi conducono nella sala dell’anestesia - racconta Van Basten nell'autobiografia -. Marti viene a stringermi la mano, sprizza fiducia. Tavana resta più sulle sue, ma viene anche lui a darmi la mano, e mi augura buona fortuna".
Al risveglio, Marco riceve la visita di Berlusconi e dell'Avvocato Gianni Agnelli.
"Emana quiete e saggezza. È inusuale che mi abbia fatto visita, ma Agnelli ci tiene a dire: 'Abbiamo commesso un grosso errore. Nel 1987 avremmo dovuto prendere te, posso dirtelo senza problemi'. Esprime il concetto con grande calma, le sue parole sono piene di stima. Mi emoziono, Agnelli è un vero signore, e mi ha elogiato in quel modo".
L'intervento, come gli comunica il dottor Marti, è formalmente riuscito.
"Il giorno dopo sono sveglio da poco, e devo ancora riprendermi dall’anestesia, quando Marti mi annuncia che l’operazione è riuscita, che molti residui erano stati rimossi e che, per completare la pulizia, aveva dovuto segare un pezzo di osso. Aggiunge che per recuperare ci sarebbero volute probabilmente quattro settimane, ma che ha concordato con Tavana di parlare pubblicamente di sei settimane, così da avere un po’ di margine. A dir la verità non ci capivo un accidente".
"Trascorro un bel Natale in Olanda assieme ai miei amici e alla mia famiglia. Mi toccano le stampelle, ma va bene così. Non vedo l’ora che arrivi gennaio, conclusa la riabilitazione; a febbraio, potrò tornare in campo e ricominciare a fare goal a San Siro. Si rivelerà un’illusione".
Le cose vanno molto diversamente da come Marco, il Milan e il dottor Marti si aspettavano. La situazione, anziché essere migliorata, è peggiorata sensibilmente, e a spiegarlo è lo stesso Van Basten nel suo libro.
"Dopo l’operazione a Sankt Moritz, il dolore era cambiato. Era più acuto, più penetrante. Lo sentivo a ogni passo, prima dell’intervento non era mai stato così. Prima mi dava problemi solo dopo gli allenamenti o le partite, quando si gonfiava, ma adesso era perennemente arrossata, grossa e sudata. La cicatrice dei ferri di Marti, lungo tutto l’interno della caviglia, era ancora ben visibile pur essendosi rimarginata".
L'operazione di Sankt Moritz, che avrebbe dovuto segnare la fine dei problemi, riportando Van Basten al top della condizione fisica, sarà invece l'inizio per il centravanti olandese di un lungo calvario, che in meno di 3 anni lo avrebbe portato a dare l'addio al calcio giocato.
"Quattro ore dopo l'intervento il mio mondo sarebbe cambiato per sempre, anche se questo ancora non lo sapevo. Non avrei toccato mai più un pallone in modo decente, non avrei fatto mai più uno scatto, eseguito mai più uno stop perfetto, sentito mai più il magnifico fruscio del pallone che entra in rete, esultato mai più come un bambino dopo un goal".
Torna a disposizione di Capello oltre 4 mesi dopo l'intervento, a fine aprile, per giocare quelle che (in quel momento non poteva saperlo) sarebbero state le ultime partite della sua carriera da calciatore.
"Dopo l’operazione di fine dicembre ero sceso in campo soltanto due volte. Ci tenevano tutti moltissimo: Berlusconi, Capello, Tavana, e ovviamente io più di loro, ma come previsto dal medico del club la riabilitazione stava durando più del dovuto. Era estenuante, la caviglia era diventata ipersensibile, a ogni minimo urto iniziava a gonfiarsi. E da dicembre in poi il dolore era costante".
"Molto spesso non mi allenavo col gruppo, ma ero relegato in un altro campetto, o nella sala pesi. Avevo di nuovo la sensazione di essere un outsider, la stessa che avevo provato durante il mio primo anno al Milan. Per me era terribile non potermi allenare con gli altri, non poter giocare. Al secondo anno sulla panchina del Milan Capello aveva raggiunto la finale di Champions League, e naturalmente voleva che io ci fossi".
GettyMarco torna in campo il 25 aprile contro l'Udinese allo Stadio Friuli (0-0), gara in cui subentra al 52' al posto di Savicevic, e disputa da titolare le successive due partite contro l'Ancona il 9 maggio (1-3 per i rossoneri) e con la Roma il 16 maggio.
Ma Van Basten è stranamente impacciato e sofferente, non riesce più a muoversi e a calciare come prima. Segna però il 2° goal del Milan allo Stadio Del Conero contro i marchigiani, ormai destinati alla Serie B: su calcio d'angolo perfetto di Donadoni, svetta di testa per infilare Nista, lo stesso portiere cui il 13 settembre 1987 aveva fatto goal al suo esordio in Serie A.
Il cerchio idealmente si chiude, Marco allora non può saperlo ma quel goal, il 13° stagionale in campionato, sarà anche l'ultimo dei 125 realizzati con la maglia del Milan e l'ultimo della sua carriera. Ma c'è un'altra partita da giocare: la finale di Champions League contro l'Olympique Marsiglia, in programma il 26 maggio 1993, che il 'Cigno di Utrecht' non vuole perdere e per la quale Fabio Capello non vuole pensare di dover fare a meno di lui.
"Io non desideravo altro - confermerà Van Basten nel suo libro -, ma nelle due partite precedenti il dolore si era fatto sentire in maniera sempre più acuta, mi limitava nei movimenti e nella velocità di azione. [...] Non avevo fatto granché... Avevo pure segnato di testa su calcio d’angolo, e quel goal mi aveva rincuorato dopo i tanti problemi, ma al netto dei brutti presentimenti non avrei potuto certo sapere che quella sarebbe stata l’ultimissima mia apparizione".
Anche con il Marsiglia, francobollato da Bolì, VanBasten non è il giocatore che aveva impressionato il mondo intero appena qualche mese prima. Ha buone occasioni, ma le spreca. E il Milan perde 1-0, punito da un colpo di testa su calcio d'angolo proprio del difensore centrale francese. Per Marco, i compagni e tutti i tifosi rossoneri, una delle delusioni più amare dal punto di vista sportivo.
"Più si avvicinava il giorno della partita e più mi convincevo del fatto che non avrei potuto giocare senza antidolorifici. Di comune accordo con i medici del Milan e con Capello presi una decisione radicale. Per la prima volta nella mia vita feci un’iniezione prima di giocare. Per tutta la partita la caviglia aveva perso completamente sensibilità. Non toccai molti palloni, solo un paio di cross e un tiro in porta. Feci alcune azioni discrete, ma per il resto non avevo né eleganza né potenza. Fu strano giocare con la caviglia narcotizzata".
Van Basten non conclude nemmeno la gara, sostituito a cinque minuti dal termine con Stefano Eranio.
"All’ottantacinquesimo Capello mi richiamò in panchina - ricorderà Marco -, in altre occasioni non lo avrebbe mai fatto. In quel momento non ho capito il motivo, non mi aveva mai sostituito fino ad allora, con lui non avevo mai perso una partita. E invece quella sera accadde. Ero completamente demoralizzato, per quel risultato, perché in campo non ero riuscito a fare quasi nulla, perché mi aspettava un’altra operazione. In quel momento non potevo saperlo, ma sarebbe stata l’ultima volta che avrei camminato su un campo da calcio in una partita ufficiale".
Nel teatro dell'Olympiastadion di Monaco di Baviera, dove 5 anni prima aveva conquistato gli Europei con la Nazionale olandese e si era consacrato fuoriclasse mondiale, Marco saluta per sempre, in maniera del tutto inconsapevole, il calcio giocato.
"Il caso volle che quella finale si sia giocata nello stesso stadio in cui avevo vissuto uno dei momenti più belli della mia carriera - rifletterà Marco nel suo libro -. L’Olympiastadion di Monaco. Il destino tira brutti scherzi. La mia luce nel mondo del calcio ha iniziato a brillare qui, e qui si è spenta. Strana la vita. Tutto questo, in meno di cinque anni".
IL QUARTO INTERVENTO E LE NUOVE SPERANZE
Smaltita l'amarezza per la sconfitta, i tifosi rossoneri si rialzano pensando che ci saranno altre vittorie e che Van Basten si rifarà presto. Ma Marco, con una caviglia destra in quelle condizioni, non è in grado di giocare. Ancora prima della finale di Monaco, l'olandese aveva incontrato un altro luminare della chirurgia, il belga Marc Martens, che lo aveva operato nel 1989 al menisco e aveva seguito l'altro olandese del Milan, Ruud Gullit, per i suoi problemi al ginocchio.
"Non sembrava ci fossero miglioramenti in vista quando saltò fuori l’idea di contattare il belga Marc Martens. [...] Durante il nostro incontro ad Anversa, ancor prima della finale di Coppa dei Campioni, Martens fu in grado di dirci con precisione dove Marti aveva sbagliato. Ci disse che avrebbe provveduto lui a mettere a posto la mia caviglia, e che dopo la finale mi avrebbe operato".
A inizio giugno, dopo un esame esplorativo, Martens decide di procedere ad un nuovo intervento di pulizia dell'articolazione, sia a livello capsulo-sinoviale sia a livello cartilagineo. È la quarta operazione per Marco alla caviglia destra. I primi segnali sono incoraggianti e si inizia a pensare ad ipotetici tempi di recupero. Intanto, il 21 giugno 1993 Marco vive un momento di grande gioia e sposa la fidanzata Liesbeth van Capelleveen.
Il Milan, come uneterno innamorato, decide di aspettarlo e li rinnova la fiducia.A metà di ottobre del 1993Martens dà il via libera a Van Basten per tornare ad allenarsi con i compagni in modo progressivo.
I TANTI INUTILI TENTATIVI DI RECUPERO
Si procede con i piedi di piombo, ma la speranza di un ritorno al calcio giocato di Van Basten si trasforma in incubo nel giro di un mese: il dolore si riacutizza, c'è un nuovo controllo e Martens vede che dopo sei mesila cartilagine tra la tibia e l’astragalo non si è formata. Segue un nuovo stop di ulteriori tre mesi, intanto Marco le prova tutte per migliorare la condizione della sua caviglia destra e tornare a giocare.
"Martens era sicuro del fatto suo, almeno così sembrava. Ma neanche dopo il suo intervento la situazione era migliorata granché. Aspettavo ormai da un anno, sperando in qualche progresso, ma invano. Nel frattempo continuavo a fare tentativi, anche con metodi alternativi come l’agopuntura".
"Sulla Biltstraat a Utrecht c’era uno studio specializzato dove ero stato alcune volte con Ted Troost. Gli aghi nella caviglia, le applicazioni con i carboncini l’avevano fatta un po’ sgonfiare, calmando il dolore. Il tizio cinese mi dava anche delle erbe, a casa le dovevo mettere nell’acqua calda e poi tenerci il piede in ammollo per mezz’ora. L’ho fatto alcune volte anche a Milanello. Giravo con una busta con dentro quella specie di minestrone, mentre gli altri si allenavano. Qualche beneficio c’era: la caviglia era meno gonfia, ma con il movimento continuava a fare male".
All'improvviso si registra un miglioramento, tanto che il Ct dell'Olanda Dick Advocaat vorrebbe inserirlo come 22° convocato per i Mondiali di USA '94.
"Ci fu, poi, un breve squarcio di speranza: nel maggio 1994 notammo un leggero miglioramento con le suolette, il dolore era diminuito - racconterà Marco nell'autobiografia -. Per brevissimo tempo ipotizzammo addirittura una mia partecipazione ai Mondiali in America. Ma era un’assurdità, un miraggio".
L'orgoglio lo spingerebbe a dire di sì, ma a farlo desistere è un colloquio con Adriano Galliani.
"Ho capito che le ragioni del Milan sono più che legittime - dirà Marco alla stampa -, che gli interessi della società sono i miei interessi ed ho deciso di far prevalere il ragionamento sull' entusiasmo e continuare il mio lavoro di preparazione qui".
"Pensavo davvero che fosse possibile lavorare con i miei compagni di Nazionale, con la possibilità di ritrovarmi tra un mese molto avanti. Ma il Milan è stato categorico. Io del resto non ho la prova di essere al cento per cento, altrimenti anche la minaccia di una controversia legale sul contratto non mi avrebbe trattenuto. Non sono sicuro fino in fondo di essere guarito, quindi resto a Milanello, continuo a lavorare e il 21 giugno andrò dal professor Martens per la visita di controllo già programmata".
I timori si rivelano fondati, e la caviglia destra di Van Basten torna a non dargli tregua. Finché nel nuovo controllo del giugno 1994 arriva la proposta di Martens.
"Un anno dopo il primo intervento di Martens non s’intravedeva la minima prospettiva di miglioramento, finché un giorno, nel giugno 1994, lui mi disse: 'Allora, ci resta una sola altra possibilità: l’apparato di Ilizarov. Viene applicato alle persone affette da acondroplasia, il nanismo. Per far allungare gli arti. Vengono infilati nelle ossa dei sottili perni tenuti insieme da una struttura esterna. Ogni giorno si gira una rotellina che allontana leggermente i perni e nel giro di un paio di mesi anche le ossa, gradualmente, si allungano' ".
"Nel mio caso erano coinvolti tibia e malleolo. Tirando le ossa in direzione opposta, si sarebbe creato uno spazio dove avrebbe potuto generarsi del nuovo tessuto connettivo, in grado di fungere da cartilagine. Questo tessuto alla lunga avrebbe potuto sostituire la cartilagine danneggiata, perciò il dolore sarebbe diminuito e avrei potuto di nuovo muovermi meglio e fare sport. L’idea era questa. Prima dell’intervento, Martens disse chiaramente: 'Peggio di così non può andare, non hai niente da perdere' ".
Marco si lascia convincere ancora una volta.
"Il 14 giugno 1994 mi hanno applicato l’apparato alla gamba. Ventidue fili che mi attraversavano le ossa, nella tibia e nel malleolo. Dovevo pulirlo da solo tre volte al giorno con alcol e ovatta. I punti in cui i fili uscivano dalla gamba, attraverso la pelle, potevano fare infezione e andavano disinfettati. Un compito sgradevole. Erano ferite aperte, usciva pus in continuazione".
"In quei tre mesi la gamba si è completamente infettata all’incirca tre volte - racconterà l'olandese -. Nel giro di un paio d’ore mi saliva la febbre a 40 e dovevo precipitarmi ad Anversa, all’ospedale in cui lavorava Martens, per i farmaci e restare lì in osservazione. Con quell’affare intorno alla gamba non potevo guidare, perciò toccava a Ted e Liesbeth farmi da autisti".
"Eppure tutte le mie speranze, dopo un anno e mezzo di tribolazioni, erano riposte in quel fissatore. Perciò volevo andare fino in fondo. Dopo sei settimane uno di quei fili si ruppe, provai un dolore terribile. Anche in quel caso dovetti correre ad Anversa per farlo risistemare nell’osso".
"Lì per lì avevo detto a Martens che volevo smetterla. 'Ormai sei a metà strada - rispose lui - tieni duro. Ne vale la pena'. E allora strinsi i denti, anche se dormivo malissimo, era quasi impossibile muoversi con un’impalcatura del genere intorno alla gamba. Dovevo azionare io stesso il meccanismo che allungava le ossa, due giri alla piccola manovella dell’apparecchio che tirava le ossa in direzione opposta".
"Il periodo precedente all’applicazione dell’apparato di Ilizarov era già stato un incubo, ma i tre mesi con quell’affare nella gamba furono un vero inferno. Dolore costante, notti insonni, la pulizia e ciò nonostante le infezioni, il filo rotto e la febbre. Quando finalmente Martens mi tolse il fissatore ad Anversa, ero convinto che il peggio fosse passato. Invece la situazione si era aggravata. Dopo aver rimosso l’apparecchio non potevo più poggiare il peso sulla caviglia. Non potevo più camminare. Non potevo più fare niente".
Van Basten vive i mesi più drammatici del suo lungo calvario: fa fatica persino ad alzarsi dal letto la notte per andare in bagno. Trascorre le giornate a casa a guardare la televisione e l'unico sfogo che ha è una vecchia cyclette che tiene in mansarda e che all'improvviso diventa sua compagna inseparabile. Per il resto può muoversi solo con le stampelle.
"È stato in assoluto il momento peggiore per me, avevo male da tanto tempo e non riuscivo più a camminare normalmente. Dovevo cercare di tenermi in forma meglio che potessi, ma le mie condizioni fisiche erano drammatiche, specie per un ragazzo che tre anni prima aveva il mondo ai suoi piedi. E che ora doveva trascorrere la giornata senza troppo dolore con una serie limitata di cose che riusciva a fare, per via di un impedimento fisico. Quello che potevo fare era andare in bicicletta. Dentro casa, ma a volte anche fuori".
Nonostante una situazione sempre più insostenibile, Marco non si arrende, e le tenta tutte per tornare ad essere un calciatore.
"Sono stato dappertutto, medici, fisioterapisti, agopuntori, lettori dell'aura, medium, podologi, ipnoterapisti, pranoterapisti... Chi più ne ha più ne metta. Ho avuto una serie infinita di consigli in campo medico, alternativo e magico. Ma nessuno ha saputo alleviare il dolore. Tutti hanno cercato di aiutarmi, con tanta buona volontà. Tranne due chirurghi che si credevano un po' troppo importanti. E giocavano a fare Dio”.
Subentrano anche i cattivi pensieri: Marco, che vede la sua vita da grande campione di colpo svanita nel nulla, deve fare anche i conti con la depressione.
"Tutto i miei tentativi non hanno portato a niente. Oggi (nel 1995, ndr) zoppico quando mi alzo, zoppico quando cammino, per non parlare di attività sportive o altri allenamenti intensivi. Perciò sono alle prese con la 'mente'. È tutto poco tangibile. Molti pensieri mi tormentano, così tanti e veloci che ho pensato: meglio mettere tutto per iscritto. [...] All'epoca ero inquieto, non potevo scaricare la mia energia. Non potevo giocare con i miei figli, spesso me ne stavo disteso a guardare la televisione. Scrivere in un certo senso era piacevole [...]".
L'ATTESA DEL MILAN, IL NUMERO 25 E IL RITIRO
Viste le condizioni precarie della sua caviglia, Van Basten, pur facendo formalmente parte della rosa del Milan, nelle stagioni 1993/94 e 1994/95 non scende mai in campo. Si inizia a mettere in dubbio il fatto che possa recuperare dalle condizioni malandate della sua caviglia destra.
Ma Berlusconi e Galliani continuano ad avere fiducia che possa rientrare. E fin dall'estate 1994, dopo il quarto intervento, il club rossonero gli rinnova il contratto, in scadenza nel 1996, per altre due stagioni, senza percepire stipendio, a compensazione delle stagioni trascorse a recuperare dall'infortunio.
Un giorno di quella terribile per lui Primavera 1995 riceve una telefonata dal dottor Tavana. Chiede se c'erano miglioramenti tangibili: Liesbeth, la moglie di Marco, fa sapere di no.
"Penso ogni tanto al mio contratto con il Milan - rivela Van Basten - [...] È tutto molto nobile da parte della società, ma dalla settimana scorsa penso sempre più spesso che non voglio approfittare un’altra stagione della generosità di Berlusconi, visto che la ripresa è tanto lontana. Alla finale di Champions League contro l’Ajax, il mese scorso, ho fatto una breve apparizione. È stato doloroso, anche se non l’ho dato a vedere".
Mentre Marco inizia a prendere coscienza di essere costretto al ritiro, il Milan non molla e lo convoca regolarmente per il ritiro estivo della stagione 1995/96. È il primo anno in cui i giocatori possono portare sulle spalle le maglie personalizzate, e nell'estate in cui approdano a Milanello Roberto Baggio e George Weah, a Van Basten viene ufficialmente assegnata nel giugno 1995 la maglia numero 25.
È la riprova che la società non si è ancora rassegnata a perdere il suo campione. Ma il dolore alla caviglia continua ad essere insopportabile e gli impedisce qualsiasi ipotetico rientro. Un episodio di vita familiare, poi, lo porta a prendere la decisione finale, dopo due anni e mezzo di tentativi di recupero che non hanno dato risultati:
"Una volta, di ritorno dal mio giro in bici, nostra figlia Angela mi è venuta incontro. Avrà avuto 4 o 5 anni. È venuta a salutarmi, il suo papà era tornato a casa. E mentre stavo scendendo dalla bicicletta, si è avvicinata e mi ha portato il più velocemente possibile, in modo che non sentissi dolore, le stampelle. È uno di quei momenti che non scordi più, perché ho pensato: non è così che funziona, non sono i miei figli a doversi prendere cura di me".
"È stata una sensazione forte: no, non è così che dev’essere, e basta, avevo proprio toccato il fondo. Perché io avrei dovuto esserci per i miei figli. È stata una cosa carina quella che aveva fatto Angela, ma per me è stato il momento in cui mi sono detto: 'Sì, cazzo. Adesso basta' [...]".
Van Basten in quel momento decide di gettare la spugna e chiede al Milan di convocare una conferenza stampa "da uomini". Il club ne prende atto e la conferenza è convocata il 17 agosto 1995.
“La notizia che devo darvi è corta - dice ai giornalisti - semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore. Grazie a tutti quanti".
Qualcuno dei presenti gli chiede allora se avesse qualche rimpianto.
"Probabilmente non mi metterei più nelle mani dei chirurghi - rivela - dopo ogni intervento la caviglia anziché migliorare peggiorava".
Adriano Galliani, che lo affianca in sala stampa, dichiara senza tentennamenti:
"Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci".
Il giorno seguente, il 18 agosto, in occasione del Trofeo Berlusconi, c'è lo straziante saluto ai tifosi a San Siro. Vestito in borghese, con jeans, camicia rosa e giubbotto marrone scamosciato, Marco prima del calcio d'inizio di Milan-Juventus effettua un giro di campo per congedarsi da chi lo aveva sempre amato e applaudito.
"Avanzo e in effetti procedo abbastanza sciolto. Avanzo correndo, voglio dire. Certo, a passo lentissimo, eppure… Ho iniziato camminando - dieci, venti, trenta metri -, poi ho accelerato. E adesso mantengo la velocità. È passato un bel po’ di tempo e il percorso non è breve, tutto sommato è solo un giro, ma faticoso. E stranamente non sento alcun dolore. Faccio un passo dopo l’altro, corro come se fossi in trance, quasi in automatico".
"... [...] Mentre procedo, ogni tanto alzo entrambe le mani. E faccio un applauso. Anche quello è un movimento sciolto, fluido. Ripeto l’applauso un paio di volte, mentre continuo a correre. So che è così che si fa, e così lo voglio fare. Malgrado conosca bene questo posto, mi sento a disagio. Malgrado l’applauso assordante, mi sento solo. Provo una sensazione di vuoto, ma proseguo il mio giro come penso di dover fare. Non ci vorrà molto".
Come in un requiem doloroso, il mondo del calcio piange la morte sportiva del 'Cigno di Utrecht', 'il Nureyev del Pallone', uno dei centravanti più forti che il calcio abbia conosciuto. Tristezza e commozione pervadono i giocatori in campo e i tifosi sugli spalti e davanti alla tv. Per tutti è difficile non piangere.
Marco si tiene tutto dentro e resta composto: non versa lacrime, anche se vorrebbe farlo.
"In realtà non vorrei affatto essere qui, non è così che dovrebbe essere. Non dovrei correre in abiti civili mentre loro sono lì fermi, a centrocampo. Dovrei essere qui a scattare, soprattutto a segnare reti, ancora per anni. A fare magie sul prato di San Siro. Il mio prato. Non voglio questo, non ancora. Ho così tanto da dare, così tanti gol da mostrare al mondo. Posso vincere ancora così tanto. Questo era solo l’inizio. Mi sento circondato dal silenzio, malgrado gli ottantamila tifosi e il loro applauso, anche se li sento scandire il mio nome e vedo gli striscioni".
"Sotto gli occhi degli ottantamila, sono testimone del mio addio. Marco van Basten, il calciatore, non esiste più. State guardando uno che non è più. State applaudendo un fantasma. Corro e batto le mani, ma già non ci sono più... Il calcio è la mia vita. Ho perso la mia vita. Oggi sono morto come calciatore.Sono qui, ospite al mio funerale".
Il tre volte Pallone d'Oro deve rinunciare ad una seconda parte di carriera ricca di altri grandi successi. La maglia numero 25 gli resterà formalmente assegnata per l'intera stagione 1995/96, anche se il campione, di fatto, si è ritirato prima che la stessa iniziasse. Troverà sollievo alla sua condizione soltanto un anno più tardi, quando il nuovo specialista mondiale in fatto di caviglie, Van Dijk, gli fisserà l'articolazione alla tibia con delle viti.
Il dolore sparirà, e progressivamente Marco si lascerà alle spalle i periodi più bui e riprenderà in mano la sua vita, anche se non potrà più giocare a calcio, lo sport che tanto amava. Tornerà nel suo mondo negli anni Duemila nelle nuove vesti di allenatore.
"Se non mi fossi infortunato - assicura Van Basten nella sua autobiografica 'Fragile. La mia storia' -, sono abbastanza certo che avrei giocato al Milan fino agli anni Duemila. Non avevo motivo di andar via, nessuno al mondo. Ero felice lì, nonostante il richiamo del Barcellona di Cruijff, potevo giocare a calcio come piaceva a me".
