E pensare che nacque tutto con un "Grazzie a tutti", con due zeta. Che alla luna di miele perfetta sembrava potessero partecipare tutti: i tifosi del Manchester United, ancora in beffarda festa per averlo strappato ai rivali del City, gli spettatori neutrali e chi, ferito e deluso, aveva ancora in bocca il sapore del goal annullato a Udine nell'ultima uscita con la maglia della Juventus. Tempi andati, ormai.
Dire che la stagione di Cristiano Ronaldo non stia andando secondo le aspettative equivarrebbe, ovviamente, a dire un'eresia punibile con la giusta dose di indifferenza: più semplicemente, solo guardando l'aspetto numerico, i 14 goal in 23 gare con i Red Devils (24 con quella disputata in bianconero) basterebbero, anzi, avanzerebbero per chiudere il discorso in una manciata di minuti. Se il calcio fosse fatto solo di dati e mere statistiche, però. Perché dal ritorno in Inghilterra del portoghese c'è stato molto altro.
La tendenza alla "normalizzazione del campione" a cui siamo stati abituati negli ultimi anni non può in alcun modo far prescindere l'analisi dal rendimento in termini di costanza mostrato negli ultimi anni: questo ci dice, inequivocabilmente, che l'attuale momento di Cristiano Ronaldo, seppur positivo (14 goal sono pur sempre 14 goal), è il peggiore da quando ha lasciato Madrid, nel 2018. La media di 0,58 reti a partita è la più bassa delle ultime quattro stagioni, considerando che nelle precedenti alla Juventus i dati hanno registrato una media di 0,9 (2020/21), 0,76 (2019/20) e 0,59 (2018/19).
Ma visto che il calcio, come detto, non è solo numeri e voti, come la vita non è tutta rose e fiori, parliamo d'altro: di quel che è stato, il ritorno a Old Trafford contro il Newcastle, e di quel che ancora non è stato, ma non solo per questioni che lo riguardano da vicino.
A volerlo scrivere meglio, un copione perfetto per la gara del nuovo esordio con lo United non è proprio fattibile: entra e tutti, ma proprio tutti, hanno qualcosa che rimanda al suo passaggio sulla terra. Un semi-Dio, non un giocatore: sciarpe, striscioni, maglie, maschere. Bandiere con il suo volto. Smartphone accesi: "clic" di qua, "clic" di là. Figuriamoci: il Re è tornato. E ci sta.
Segna un primo goal nel recupero del primo tempo, ne segna un altro al 62', riportando in vantaggio la formazione di Ole Gunnar Solskjaer in quella che aveva tutta l'aria di essere una giornata spartiacque nei destini dei cuori rubati a metà della città di Manchester.
L'amore non basta: Ronaldo diventa sì, com'è normale che sia, il leader della formazione dell'allenatore norvegese, ma allo stesso tempo il suo più grande problema, soprattutto quando per una, due, tre volte fa gli straordinari per riprendere il risultato, caricandosi sulle spalle i compagni che, dopo un primo e poco attento sguardo iniziale, non sembrano proprio essere quel che sembravano, quando un insieme di talenti da purificare.
Segna in tutte le gare di Champions League, risolvendone tre: contro il Villarreal in extremis, contro l'Atalanta poco prima del 90' e sempre contro la Dea, al Gewiss Stadium, pareggiando i conti nel recupero. Poco da aggiungere, da questo punto di vista: se diventi l'unica soluzione di una squadra, però, qualcun altro potrebbe essere visto come l'ingranaggio arrugginito.
A farne le spese è Ole, sostituito dopo un 4-1 subito contro il Watford di Claudio Ranieri: c'è chi si aspetta Antonio Conte, ma arriva Ralf Rangnick. Non certo il tipo con cui puoi metterti a discutere di gerarchie prestabilite.
Che poi, per carità, Ronaldo rimarrà ad essere titolare: nulla da dire. Ma Rangnick non è il primo che passa: non è l'allenatore giovane che deve fare esperienza. E, soprattutto, sa come gestirti.
A Brentford Cristiano Ronaldo non sta benissimo, pur giocando dal primo: non segna, non gioca neanche una grandissima partita e il tecnico tedesco lo sostituisce.
"Perché io? Perché mi hai fatto uscire?".
Si dice che la tensione, la polemica, a volte sia l'espressione più pura della voglia di far bene, di incidere: di non essere indifferenti a ciò che accade. Quel che il portoghese dice a Rangnick una volta seduto in panchina, però, va a incastrarsi in un momento in cui le voci sul futuro dell'ex Juventus sono fin troppo insistenti e ingombranti. Qualcuno, in Inghilterra, parla addirittura di un addio a fine stagione in caso di mancato raggiungimento della qualificazione in Champions League. A complicare ulteriormente le cose ecco un rigore sbagliato e la clamorosa eliminazione in FA Cup. Le solite storie, insomma.
Storie che riportano indietro le lancette del tempo, e neanche troppo: Cristiano Ronaldo non è cambiato. Continua a segnare e trasformare quasi tutto ciò che tocca in oro, persino a 37 anni. Una macchina progettata per vincere che quando non ottiene ciò che vuole sbotta: il campione che tutti vorrebbero, meno, forse, qualche allenatore. Uno dei più grandi, chiamato a risollevare la piazza che lo ha portato in alto, prima di terminare la sua missione: per adesso ci è riuscito a metà. Quasi come il cammino dantesco: dall'inferno dei Red Devils al paradiso. La strada è ancora lunga.


