Se vi dessero un’occasione – una sola, dopo la sconfitta, il dolore, un attimo prima di gettare la spugna – per sistemare le cose con il destino, avere una vendetta, anzi una rivincita, voi cosa fareste? La cogliereste al volo, tenendola stretta, i pugni serrati e le dita dei lucchetti, o mollereste la presa? E’ una questione di carattere, di ambizione, obiettivi.
Milan contro Liverpool parla di queste cose qui, che servono nella vita, come nel calcio, ma noi sappiamo fin troppo bene che il calcio è la cosa che circonda la vita come un Sistema Solare e da lì prendiamo la forza nei tendini per appassionarci tanto a questo gioco.
La partita di ieri, ad Anfield, è il terzo di quattro (almeno per ora) capitoli che scrivono il libro delle battaglie di queste due squadre, che in Champions League si erano sempre, clamorosamente, ignorate, fino a una notte di Istanbul del 2005. Sapete già come andò a finire: il più grande dramma sportivo della storia dei rossoneri e la notte del trionfo e del delirio dei reds. Sul palco a centrocampo Gerrard scuote la coppa, Maldini rimanda l’appuntamento con il destino. La rivincita. Atene, Giove e Minerva che scrutano dall’alto, assistono al riequilibrio astrale della situazione: a sollevare il trofeo è il Milan, mentre il Liverpool protesta per qualche secondo in meno di recupero. C’est la vie, direbbe Achille Lauro. Uno pari, palla al centro (questo lo direbbe chiunque, arrivato fin qui).
GettyE invece no, perché la sorte ha in serbo un disegno particolare per il ritorno del Diavolo in Champions League. Ancora Liverpool. Non c’è più Gerrard, ma Salah. Non più Benitez, ma Klopp, unita a tanta qualità e una rosa superiore a quella dei rossoneri. Eppure non importa. Milan contro Liverpool parla di nuovo di battaglia. E’ un tre a due che conta i feriti, i boati, gli spaventi, gli episodi, trame di gioco asfissianti degli inglesi che sembrano quindici in campo e gli italiani che imbeccano un paio di triangoli letali e gliene fanno due in due minuti, come a dire: se voi ce ne avete fatti tre in sei minuti, qualche anno fa in Turchia, siamo capaci di mantenere la media pure noi.
Finisce così, manca però ancora il secondo round a San Siro. Perché Milan contro Liverpool parla di infinito, parla di rivincita. Sempre e comunque. Fin quando ci sarà campo e il cronometro, in alto ai nostri televisori, dirà che manca un minuto, potrà succedere sempre qualcosa. Lo ha scelto qualcuno più in alto di noi, qualcuno che si diverte a giocare a dadi con gli uomini, i quali – appassionati, sciocchi, comuni mortali – altro non potranno che mettersi comodi e godersi lo spettacolo. Sette dicembre. Manca già così poco.




