In fondo, sarà bello vederlo altrove, con un'altra maglia, a trasmettere quanto già ampiamente comunicato con gesti e piedi a nuovi tifosi, in un Paese diverso: è giusto così. E' giusto nel senso profondo della chiusura del cerchio ideale, quello calcistico, che va ben al di là della schematica ricerca del record, prigione dorata e buco nero delle emozioni. Lionel Messi al Barça ha rappresentato il punto di rottura in un calcio ormai votato all'artificiale e non al talento puro.
In un certo senso, però, ci abbiamo sperato tutti. Un po' per l'idea di vedere l'argentino infrangere, in un mese, il secondo tormentone legato alla sua carriera, quel "Ha giocato solo in blaugrana, dovrebbe misurarsi con altri campionati" seguito solo dal "Non vince mai niente con la sua nazionale", schiantato nella serata del Maracanã contro il muro d'emozione eretto dalla vittoria della Copa America. Un po' per spontanea curiosità
La storia d'amore termina qui, dunque: perfetta nel senso romantico, dall'inizio alla fine, epica per definizione. Il bambino che dalla firma su un tovagliolo, frettolosa quanto simbolica, ha raggiunto la vetta quasi insormontabile dell'Olimpo calcistico, andando persino oltre. Il gusto del bello associato alla spontaneità del dribbling, puro elogio della classe umana e della danza delle anime legate a questo sport, e del goal.
Messi al Barça è stato il sogno di ogni bambino che si approccia a un pallone, l'ideale di costanza e perseveranza ricercato nei momenti di difficoltà, l'esultanza emulata dai ragazzi nei campetti, in giro per il mondo. E stato' il "Recuerda mi nombre" dello spot Nike che ha rispettato le premesse.
E' stato, e continuerà ad essere, il confronto infinito con Cristiano Ronaldo, i 672 goal in 778 presenze, i goal nelle finali di Champions League e i Palloni d'Oro vinti, l'espressione del tiki-taka di Pep Guardiola, il prosieguo concettuale dell'epoca di Ronaldinho, in blaugrana.
Messi al Barcellona è stato questo, ma anche molto altro: è stato la certezza e la conferma che il bene può trionfare sul male, quest'ulimo rappresentazione di uno sport che cerca di allontanarsi sempre di più dalla gente e dalle strade, luogo metaforico e concreto da cui proviene l'argentino. Messi al Barça siamo stati noi, siete stati voi: un pezzo importante delle vite di tutti gli amanti del calcio che rinnovano di giorno in giorno il proprio sentimento di devozione.
E lui, che della devozione ai colori del Barcellona ha fatto il motivo ricorrente della sua carriera, è stato anche una delle ultime bandiere viventi del pallone che si scontra con la triste realtà dei conti associati al calcio. Che non può e non potrà mai essere solo uno sport, come Lionel Messi per il Barcellona non può e non potrà mai essere solo un giocatore.
Sarà sempre il "di più" associato all'uomo che corre tra le linee, calcia, alza le dita al cielo per poi togliersi la maglia blaugrana e mostrarla al pubblico. Con quel numero dieci che continuerà ad essere esposto sulla sua casacca, ovunque andrà: il numero perfetto e l'espressione del talento calcistico per eccellenza. In altre parole, la Pulce. Alle soglie del futuro, ma autore, insieme al Barcellona, di alcuni dei momenti più importanti delle nostre vite.


