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Leopoldo Luque Argentina World Cup 1978Wikipedia

Leopoldo Luque, lo sfortunato attaccante campione del Mondo nel 1978 con l'Argentina

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La storia del calcio è fatta sì dai grandi campioni, ma anche dai comprimari, che con il loro apporto e il loro lavoro di sacrificio hanno spesso permesso alle loro squadre di vincere grandi trofei. Fra questi va sicuramente ascritto Leopoldo Luque, centravanti dai grandi mezzi fisici che ai Mondiali del 1978 fu fondamentale per 'aprire' gli spazi a Mario Kempes, la stella assoluta di quel torneo, che si laureerà capocannoniere con 6 goal.

Se l'exploit del numero 10 mancino è piuttosto noto, non tutti conoscono però la vicenda umana e calcistica dello sfortunato Luque, che in quei Mondiali casalinghi visse l'apice della sua carriera calcistica ma anche un grave dramma personale, che non gli permetterà di festeggiare appieno lo storico titolo conquistato con la maglia dell'Argentina.

DAL CICLISMO AL CALCIO

Luque nasce a Santa Fe, in Argentina, il 3 maggio del 1949. Suo padre di mestiere fa il calzolaio ed è un ciclista professionista, mentre la madre è casalinga e si prende cura di Leopoldo e dei suoi quattro fratelli. Da ragazzo il futuro attaccante pratica le discipline più disparate: eccelle nel ciclismo, allenandosi con il papà, nella ginnastica e nella scherma.

La pratica di questi sport ne forma il fisico, rendendolo atletico e scolpito in un'epoca in cui la preparazione non era sicuramente ai livelli degli anni Duemila, e quando Luque 'si converte' al calcio grazie ad alcuni preti che lo praticano in un campo adiacente al percorso che Leopoldo fa ogni mattina in bicicletta, li permette di imporsi.

Con la palla a spicchi è amore a prima vista. Luque dopo alcune apparizioni con il Gimnasia Jujuy e il Central Norte inizia a giocare ad alti livelli con l'Unión di Santa Fe agli inizi degli anni Settanta. Deve però smettere per svolgere il servizio militare, ma il Rosario Central decide di puntare su di lui e nel 1973 lo fa debuttare in Prima squadra nella massima divisione argentina.

Dal 1973 al 1975 torna all'Unión, la squadra della sua città, e inizia a segnare goal pesanti in Prima divisione, ma il salto decisivo della sua carriera arriva nel 1975 con il passaggio al River Plate.

I SUCCESSI CON IL RIVER PLATE E LA NAZIONALE

Angel Labruna, il tecnico dei Millonarios, gli dà fiducia e ne fa il centravanti della squadra che spezza il digiuno di vittorie e conquista 5 titoli argentini in 5 anni: 3 campionati nazionali (1975, 1979, 1980) e due tornei metropolitani (1977 e 1979). Luque segna tanto e va in finale di Copa Libertadores nel 1976, ma gli argentini sono sconfitti in finale dai brasiliani del Cruzeiro.

La Nazionale argentina non può fare a meno di una prima punta con le sue caratteristiche e così Luque debutta con l'Albiceleste nella Copa America 1975. All'esordio fa subito tripletta al Venezuela. Le 3 reti, sommate ad una quarta realizzata sempre ai Vinotinto nella goleada del ritorno (11-0), gli permettono di laurearsi capocannoniere di quell'edizione del torneo.

Pur non avendo grandi qualità tecniche, i mezzi fisici permettono a Luque di essere un pericolo costante per le difese avversarie, unitamente alla grande abilità nel tiro, grazie alla quale vede spesso la porta anche da posizione defilata o dalla distanza.

Argentina Netherlands World Cup 1978 Final Match Leopoldo LuqueGetty

ARGENTINA '78: I GOAL E IL DRAMMA

'El Flaco' Menotti, il Ct. dell'Argentina, ritaglia a Luque un ruolo da protagonista nella squadra che affronta con ambizioni di vittoria i Mondiali casalinghi del 1978. L'iconico attaccante del River, che si presenta con un look tipicamente anni Settanta, con grandi baffi e i capelli lunghi fino alle spalle, è il centravanti di sfondamento nel 4-3-3 dell'Albiceleste.

Il suo compito è aprire i varchi per gli inserimenti offensivi della mezzala sinistra Kempes, la vera arma segreta di quell'Argentina, supportato dalle due ali, Bertoni o Houseman a destra, e Ortiz a sinistra. Il torneo si gioca in un clima surreale, sotto la dittatura della giunta militare del generale Videla.

Gli stessi giocatori argentini sono sottoposti a pressioni pesanti. Fra questi anche Luque, che proprio prima dei Mondiali viene rapito dai militari, come da lui stesso raccontato nell'estate del 2020. 

"Altro che giocare e vincere per loro - le sue parole al 'Clarín' - Abbiamo giocato e vinto per noi, non per chi ci comandava. Io ho rischiato di essere ucciso dalla polizia del regime, che un giorno, mentre guidavo, mi ha fermato, mi ha portato in una posto isolato di Buenos Aires e, dopo avermi fatto scendere dalla macchina, mi ha fatto voltare con le spalle verso gli agenti".

Luque vive istanti drammatici, ma i rapitori lo risparmiano, limitandosi a rapinarlo.

"Ho pensato che la mia vita sarebbe finita lì - rivelerà Luque - aspettavo solo il colpo di pistola che me l’avrebbe tolta. Invece, per fortuna, si sono limitati a rubarmi la macchina e i soldi, lasciandomi su quel prato tremolante, impaurito, ma vivo".

I Mondiali per l'Argentina e per Luque iniziano al meglio conun successo per 2-1 contro l'Ungheria il 2 giugno in cui il centravanti del River firma il primo goal dei suoi. La seconda partita si disputa il 6 giugno al Monumental contro la Francia di Platini.

Passarella apre le marcature su rigore, Platini risponde nella ripresa, ed è proprio Luque al 73' a regalare ai padroni di casa la seconda vittoria del torneo. Ma quella è una partita maledetta per il centravanti di Santa Fe.

"Dopo aver segnato, sono caduto a terra e ho sentito un dolore tremendo al gomito. - ha raccontato sempre al Clarín, ma in un'intervista del 2016 - I dottori si sono presi cura di me, mi hanno anestetizzato e bendato. Volevano portarmi nello spogliatoio e io mi sono rifiutato. Menotti aveva già fatto entrambe le sostituzioni e, anche se mi hanno chiesto di non rischiare, li ho pregati di farmi finire la partita. Sapete perché? Pensavo che la mia famiglia fosse allo stadio e non volevo che si preoccupassero del mio infortunio. Mentre rientravo sul campo di gioco, mi sentivo più calmo".

Fra gli oltre 70 mila spettatori ci sarebbero dovuti essere anche i famigliari di Leopoldo, ma la punta non poteva sapere che qualche ora prima suo fratello Oscar se n'era andato per sempre, vittima di un incidente stradale. Almeno secondo le fonti ufficiali.

“Proprio durante il Mondiale del ’78, prima che giocassimo contro la Francia, ho perso mio fratello Oscar, - racconterà - mi hanno detto per un incidente d’auto. Guidava il camioncino che gli aveva prestato un vicino di casa, c’era la nebbia… Ma mio fratello era un grande oppositore del regime. E aveva solo 25 anni".

I genitori decidono di non avvisare Leopoldo, che deve giocare una partita importante: "Non facciamolo preoccupare". Ma l'attaccante vive un vero dramma, quando, il giorno seguente, è informato dai suoi genitori dell'accaduto.

"La sua morte mi ha distrutto. Ho saltato la successiva partita con l’Italia, quella con la Polonia, ma dopo questa mio padre mi ha detto: 'Leo, devi tornare'. E io sono tornato in ritiro con la nazionale, ho giocato e ho vinto. Per il mio popolo, per mio fratello, non per loro".

Saltati i due successivi match con Italia e Polonia, dopo essersi occupato del riconoscimento del cadavere del fratello, carbonizzato, e della sepoltura, Luque torna in scena contro il Brasile, gara in cui non brilla. Ma contro il Perù, nella partita dei sospetti, legati alle origini argentine del portiere Quiroga, 'El Pulpo', come era stato ribattezzato dai suoi tifosi, per la capacità di arrivare su ogni pallone sul fronte offensivo, firma una doppietta, che lo porta a 4 goal nel Mondiale. 

UNA VITTORIA SENZA FESTA

Il 25 giugno 1978 si gioca la finalissima contro l'Olanda al Monumental. Luque gioca bene la partita più attesa, va vicino al goal personale e permette a Kempes di dare il meglio di sé con una doppietta. Nonostante il dolore e le lacrime nel cuore, è uno dei grandi protagonisti del 3-1 finale che matura ai tempi supplementari e permette all'Argentina di portarsi per la prima volta sul tetto del Mondo.

"Nella finalissima non si poteva perdere la Coppa in casa nostra. Contro l’Olanda fu una gara difficile che siamo riusciti a vincere. Al triplice fischio mi venne incontro Omár Larrosa, ci abbracciammo. Per un attimo ho pensato fosse uno zombie, con la testa ero lontano anni luce dal baccano e dal tripudio della folla. Pensavo solo a mio fratello Oscar. Ai festeggiamenti presi parte, vero: ma fui il primo ad andare via".

Nel momento peggiore della sua esistenza umana, Leopoldo Luque raggiunge invece l'apice della sua carriera calcistica. Continuerà a giocare con la Nazionale argentina fino al 1981, collezionando in tutto 43 presenze e 41 reti, e in campionato fino al 1985. Lascia il River Plate nel 1980 per rappresentare Racing Club e Chacharita Juniors, oltre al Santos in Brasile e al Tampico Madero in Messico.

LA MORTE CAUSATA DAL COVID

Appesi gli scarpini al chiodo Luque diventa allenatore e poi segretario allo Sport per la provincia di Mendoza. Dopo essere sopravvissuto a un infarto nel 2007, il 15 febbraio 2021 ha solo 71 anni quando una polmonite bilaterale legata all'infezione da Covid-19 ne provoca la morte. 

"Se n’è andato un grande del calcio, - dichiara Mario Kempes - grandioso amico e compagno, con il quale l’anno scorso avevo trascorso una giornata a Mendoza. Desidero formulare le mie condoglianze alla sua famiglia, alla moglie Claudia, a tutti gli amici e familiari. Vola alto, amico!".

"Grande persona, compagno formidabile e giocatore eccezionale. - gli fa eco Ubaldo Fillol, l'ex portiere dell'Albiceleste - È stato un esempio per tutta la squadra del 1978. Grazie, per tutto quello che hai dato al calcio argentino".

Nelle uniche partite senza Luque, l'Argentina in quei Mondiali ha perso contro l'Italia e vinto, senza convincere, con la Polonia. Senza il sacrificio dello sfortunato Leopoldo, di nuovo in campo nonostante il dramma familiare, forse quello storico titolo mondiale non sarebbe mai arrivato.

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