Sacrofano, comune situato nella periferia nord di Roma, conta meno di 8000 abitanti. Non è particolarmente celebre. Anzi, non lo è per nulla. Normale: si tratta di un paesino come tanti altri, in un posto come tanti altri. E pure nel calcio, la gloria è limitata a costanti e oneste partecipazioni ai campionati dilettanti locali. Con una punta di leggenda in mezzo a cotanto anonimato: Mané Garrincha.
La notizia, precedentemente sconosciuta, è uscita qualche anno fa. Garrincha, uno dei più grandi in assoluto della storia del calcio - non brasiliano, non sudamericano: mondiale - ha giocato nel Sacrofano. Possibile? Sì. Anzi: certo e confermato. Per poche partite, per carità. Quanto è bastato, però, per scrivere una delle storie più impensabili del pallone laziale.
Accade nel 1970: Garrincha si trasferisce in Italia con la cantante Elza Soares e sceglie il Lazio - Torvaianica, per la precisione - come residenza. Il calcio professionistico e le mirabilie tra Botafogo e Seleção sono ormai il passato: le presenze delle ultime stagioni si sono ridotte a una manciata e, giusto per complicare tutto, un incidente automobilistico con il calciatore alla guida provoca la morte della madre di Elza.
Però il pallone a Mané piace ancora. E così, mentre l'ala destra più forte di sempre cerca disperatamente di mantenere intatta la propria dignità prestandosi a una pubblicità di caffé, ecco che in suo soccorso arriva il Sacrofano, appena promosso in Prima Categoria laziale. Lo allena Dino Da Costa, l'ex Roma, ex compagno di Garrincha al Botafogo.
Una stretta di mano ed è fatta: Garrincha è del Sacrofano. 100000 lire a partite: questo è lo stipendio di Mané, rovinato anche economicamente dall'alcol e da uno stile di vita sempre votato agli eccessi. Non dura molto, ma le magie, sia in campo che in allenamento, non mancano. E lasciano esterrefatti compagni che, prima di lui, uno così non lo avevano mai visto.
Getty"Era un fenomeno anche in allenamento, ma chi lo pijava? La sera quando usciva per Roma gli capitava di giocare nelle piazzette del centro per allietare qualche fortunato spettatore inconsapevole. Si divertiva così".
Ecco, come ripetono i suoi ex compagni di squadra al blog 'the pegbie inside' - il primo ad aver scoperto tutto qualche anno fa - cosa provocava la vista di Garrincha. Come avere di fronte un alieno. Anche a quasi 40 anni e con le migliori primavere ormai dietro le spalle. La leggenda racconta che un quadrangolare lo ha vinto praticamente da solo, con tanto di doppietta direttamente da calcio d'angolo. Ci siamo capiti.
Garrincha rimane in Italia un paio d'anni, nei quali si allena anche con la Lazio, e poi, nel 1972, torna in Brasile per giocare con il piccolo Olaria. Non funziona. Il momento del ritiro definitivo è arrivato. E, con esso, la conclusione di un viaggio bello, appassionante, problematico e terribile allo stesso tempo. Un viaggio vincente, soprattutto, come sottolineano le due Coppe del Mondo (1958 e 1962) presenti nel palmares.
La vita di Garrincha, del resto, non è una vita: è un romanzo. Senza lieto fine. Mané morirà nel 1983, a soli 50 anni, devastato dall'alcol come già era toccato al padre. Oggi riposa in un cimitero di Rio de Janeiro, dove è nato e dove ha trascorso quasi interamente la propria carriera. Ma un pezzo di cuore è rimasto qui da noi, a Sacrofano.
