Pierre Van Hooijdonk Feyenoord Getty

Le punizioni imprendibili e il '97' su calcio piazzato a PES: Pierre Van Hooijdonk

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Protesta, Alessandro Del Piero, chiedendo ad Antonio Lopez Nieto di controllare il punto di battuta. Urla, con i suoi compagni: tarantolato afferra Alessandro Birindelli e Alessio Tacchinardi, già disposti in barriera e li inverte con fare burbero, spingendo il primo al posto del secondo. Il numero “10” della Juventus sa bene che se c’è una cosa da non fare al “De Kuip”, contro il Feyenoord, quella è far calciare una punizione a Pierre Van Hooijdonk. Ma per quanto il capitano bianconero potesse dimenarsi, ergendo un muro in cemento armato, quella sera di metà settembre del 2002 non ci sarebbe stato nulla da fare. E infatti niente poté contrastare il destro dell’olandese: né tantomeno Gianluigi Buffon, immobile a guardare il pallone gonfiare la rete.

Che poi, in realtà, non si chiama neanche “Pierre”: semplicemente i suoi amici, al campetto, ma rigorosamente con il pallone sotto al braccio, non sapevano bene quale nome scegliere tra Petrus, Ferdinandus o Johannes e “Van Hooijdonk” non era ancora riconosciuto a livello mondiale a tal punto da poterlo usare come appellativo. Però aveva un dono, nascosto dietro la stazza da punta d’altri tempi: qualcuno, per uno strano e bizzarro sortilegio, aveva preferito la sensibilità e la delicatezza del suo destro all’eleganza stilistica, rendendolo di fatto un’icona.

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Persino Wesley Sneijder, il “cecchino di Utrecht”, uno che si è fatto strada calciando traiettorie insidiose alle spalle delle barriere d’Europa (e disegnando calcio, s’intende) ha ammesso l’importanza di quell’inesauribile fonte d’ispirazione che è stato, per anni, il destro di Van Hooijdonk.

“Ho cominciato a calciare le punizioni nelle giovanili: quando sono in Nazionale mi affido a Pierre Van Hooijdonk”: parole sue, mica lì per caso.

Ben al di là dell’intervista rilasciata alla UEFA dall’ex numero dieci dell’Inter si cela un pezzo della cultura calcistica olandese che su “Pierre” ha poggiato le proprie basi a cavallo tra la seconda metà degli anni Novanta e la prima dei Duemila. Sorprende, però, un dato tra gli altri: nonostante abbia qualcosa come 220 goal in carriera (in circa 400 gare complessive), ha preso parte solo a 5 gare nei maggiori tornei internazionali con la maglia dell’Olanda. In breve, 3 ai Mondiali del 1998, con 1 goal contro la Corea del Sud (spezzoni di partita, per lo più), 2 agli Europei del 2004.

Pierre Van HooijdonkGetty

Qualcuno potrebbe anche dire che gli Oranje non avevano poi così bisogno di Pierre Van Hooijdonk, in quel momento: ed effettivamente è stato così. Chiuso da Patrick Kluivert e Dennis Bergkamp in Francia e da Ruud Van Nisterlooy (o Roy Makaay) in Portogallo. Il fatto è che, comunque, tra le sgargianti maglie olandesi lui c’è sempre stato, quasi come la soluzione “fantasiosa” in momenti in cui una punizione poteva far la differenza. Non ve n’è mai stata occasione veramente, purtroppo.

Eppure quel 2002, l’anno della punizione alla Juve, era iniziato proprio male. Reduce da Euro 2000, l’Olanda si preparava a vivere uno dei momenti più tragici dal punto di vista calcistico della sua storia: a casa, sul divano, a guardare gli altri giocare i Mondiali in Corea del Sud e Giappone. Una batosta morale: per i club non sembrava andar meglio. Il 2001 si era chiuso con l’eliminazione, dalla Champions League, di PSV Eindhoven e Feyenoord, entrambe spedite ai sedicesimi di Coppa UEFA rispettivamente nel girone di Nantes, Galatasaray e Lazio (con i biancocelesti ultimi) e di Bayern Monaco, Sparta Praga e Spartak Mosca.

Dopo aver superato sedicesimi e ottavi, PSV e Feyenoord si incrociano nel più crudele scontro tra formazioni dello stesso Paese, in una competizione comunque alla portata: solo i calci di rigore riuscirono a decretare la formazione vincitrice, ovvero il Feyenoord. “Pierre” segna in entrambe le gare: all’andata, a Eindhoven, e al ritorno, a Rotterdam, realizzando anche il rigore decisivo. In semifinale c’è l’Inter nell’esatto momento in cui una stagione guarda in faccia una determinata squadra, decidendo di maledirla.

Pierre Van Hooijdonk Robin Van Persie FeyenoordGetty

A San Siro vincono gli olandesi grazie a un autogoal di Cordoba: al “De Kuip” finisce in parità: 2-2. E sì: Van Hooijdonk segna ancora. Ora, è giunto il momento di precisare due fatti: il Feyenoord non era una formazione qualunque, almeno in attacco. Il 4-2-3-1 di Bert Van Marwijk comprendeva, oltre a “Pierre”, altri 2 giocatori destinati a entrare prepotentemente nella nostra testa, influenzando i ricordi. Uno è Jon Dahl Tomasson, che a fine stagione sarebbe passato al Milan: l’altro è un certo Robin Van Persie. “Due per caso”, direbbe Mario Brega.

L’altro fatto da precisare, invece, è che per la finale di Coppa UEFA quell’anno venne scelto il “De Kuip” di Rotterdam: si gioca contro il Borussia Dortmund. Il Feyenoord vince 3-2: Van Hooijdonk fa doppietta. Il primo goal è su rigore, procurato dallo stesso Tomasson. Il secondo, indovinate un po’, è su punizione: magistrale, perfetta. Tale da sembrar opera di un fantasista prestato alla trequarti, al massimo alla regia: lui, quasi 2 metri, è invece una prima punta con buon senso della posizione e due gambe lunghe e magre da farlo sembrare più uno spilungone che un attaccante di peso. Non era Jan Koller, ad esempio, che in quella finale siglò il definitivo 3-2, dando speranze inutili ai gialloneri dopo il 3-1 di Tomasson. Il Feyenoord alza la coppa davanti ai suoi tifosi: i Mondiali? Pazienza: “Pierre” aveva comunque un motivo per festeggiare.

Pierre Van Hooijdonk Coppa UEFAGetty
“Era una stagione deludente, e il peggio sarebbe arrivato a giugno. Nessuno si aspettava qualcosa da una squadra olandese: eravamo stati eliminati in Champions League, ma all’improvviso eccoci in finale, con l’intera città alle nostre spalle”, ha raccontato ai microfoni della UEFA.

La sua carriera raccoglie alcune delle esperienze più strane e mistiche a livello europeo: romantiche, senza dubbio. Giocò al Celtic, vincendo: poi andò al Nottingham Forest. Una retrocessione e la promessa della promozione successiva: promessa mantenuta. Quindi al Benfica e al Fenerbahce: chiuderà la carriera al Feyenoord, però, nella maniera più dolce possibile.

Suo figlio, Sydney, ha raccolto l’eredità del padre: attaccante, passato anche lui dal NAC Breda, oggi è in forza al Bologna. Per un’intera generazione “Pierre” sarà colui che a PES aveva il “97” relativo alle statistiche su calcio piazzato. Una certezza romantica, per sempre.

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