Ganso FluminenseGetty Images

La parabola di Paulo Henrique Ganso, il "misto tra Zidane e Kaká" finito nel dimenticatoio

Archivio Storie
“Per i tecnici brasiliani è il fenomeno del futuro. Un misto tra Zidane e Kaká”.

Dicembre 2010. La 'Gazzetta dello Sport' pubblica un ritratto dell'uomo nuovo del calcio brasiliano. Ha da poco compiuto 21 anni e con un pallone tra i piedi fa praticamente quel che gli pare. Un fenomeno, appunto. Si chiama Paulo Henrique Chagas de Lima, ma nessuno lo conosce con il suo vero nome. Poi nomini Ganso e si spalanca un mondo. Ah, sì. La promessa mancata. Il talento mai esploso. L'ex obiettivo di mercato del Milan, ma non solo. Lui.

Perché oggi Ganso è parzialmente sparito dai radar. Almeno se per "radar" si intende l'Europa. Il futuro dietro le spalle, un passato di gloria fugace già finito in un triste dimenticatoio. Milita nel Fluminense, in Brasile. E dal 2022 è finalmente rinato, grazie soprattutto all'arrivo in panchina di Fernando Diniz, il Guardiola sudamericano, che lo ha messo al centro del proprio progetto. Solo che è tardi per sperare in un super ribaltone della carriera. PH si è trasformato negli anni nel più classico dei potenziali craques passati al rango di calciatori comuni, a volte addirittura mediocri (non nel suo caso, proprio no). Un rimpianto per chi ha assistito alla sua ascesa precoce e in lui scorgeva la reincarnazione del futebol di qualche decennio prima, tutto qualità e ritmi compassati e carezze al pallone.

Il Ganso degli esordi è uno schiaffo potente, una frustata a un calcio – quello brasiliano, appunto – che si appresta a perdere la propria esotica identità bailada. Gioca nel Santos assieme a Neymar e, senza esagerazioni, è uno spettacolo di quelli che ti fanno rimanere a bocca aperta. Per un semestre, il primo del 2010, il Peixe dei Meninos da Vila (ovvero i ragazzini fatti e cresciuti in casa, alla Vila Belmiro) è semplicemente irresistibile per chiunque. Vince il Paulistão, fa il bis con la Copa do Brasil. E a trascinarlo sono proprio quei due, Ganso e Neymar, più il cavallo di ritorno Robinho e il centravanti André, un altro che ben presto ha smesso di mantenere attese enormi.

Ganso e Neymar, Neymar e Ganso. Uno è il cervello del Santos, l'altro la leggerezza fatta calciatore. Ai tempi non sono pochi a lasciarsi andare a un pensiero che, oggi, sembra un'eresia: il più bravo tra i due, quello destinato a un avvenire di sicuri successi, è Ganso, mica Neymar.

“Secondo me Ganso era più forte, ma di parecchio, rispetto a Neymar – ha detto qualche tempo fa al canale YouTube 'Vamo pro jogo' l'ex compagno dei due Tiago Alves, che oggi ha 30 anni e gioca in Giappone – Ad ostacolarlo sono stati gli infortuni. Ne ha avuti molti. Alcune cose lui riusciva a farle e Neymar no. Se diceva che ti avrebbe messo davanti alla porta, lo faceva”.

Ganso Neymar gfxGoal/Getty Images

Non è sempre stato così. All'inizio, pare che Ganso debba precocemente accantonare il proprio sogno di diventare un calciatore. Svolge un provino nel Santos, ma fatica. È timido e un po' spaesato. Lo vede il magazziniere del club, Otávio Rodrígues Oliveira detto Tatá. Oggi sono amici, in casa ha una maglia del calciatore autografata e incorniciata. Ma ai tempi lo prende in giro, come fa con tutti i nuovi arrivati: “Ecco che arriva un'altra oca”. In portoghese, appunto, "ganso".

“L'ho chiamato io così per la prima volta – ha raccontato anni dopo Tatá – Evidentemente gli è piaciuto e ha deciso di trasformare uno scherzo nel suo marchio”.

Non sono anni facili, neppure quando il Santos decide di promuovere Ganso in prima squadra. Gli allenatori dell'epoca non si accorgono immediatamente delle sue potenzialità. Lo osservano, storcono il naso, lo rispediscono nelle giovanili. Giusto per complicare ulteriormente la situazione, nel 2007 si rompe crociato anteriore e menisco laterale del ginocchio destro. Ganso inizia a non vedere più un futuro davanti a sé e quasi abbandona il pallone per lo studio.

“Dopo quell'infortunio, ho avuto voglia di portare avanti gli studi in medicina – ha raccontato al portale 'Terra' – Se non avesse funzionato nel calcio, mi sarei laureato in Educazione Fisica. Oggi ho un'idea precisa: una volta conclusa la mia carriera ho intenzione di laurearmi e lavorare nella medicina sportiva”.

Una volta ristabilitosi, però, Ganso finalmente comincia a risalire la china. E nel 2009 entra in pianta stabile nella prima squadra del Santos, che da sempre punta sui prodotti fatti in casa. I meninos da Vila. Di cui fa parte anche Neymar. I due si conoscono già, esplodono praticamente in contemporanea, diventano una coppia di fatto in campo e amicissimi fuori. Gli ostacoli lungo il cammino non mancano, come quando Ganso si fa parare due rigori nella stessa partita, contro il Flamengo nell'ottobre di quell'anno. Ma ormai tutti hanno capito di avere a che fare con le stelle nascenti del calcio brasiliano.

Ganso tocca l'apice del proprio rendimento nel primo semestre del 2010, assieme all'amico Neymar e a Robinho. Lo chiamano “il quadrato magico”: Ganso, più Neymar, più Robinho, più André, il centravanti, uno che ha completamente tradito le aspettative. È un Santos semplicemente sensazionale, una delle più belle espressioni di calcio del nuovo millennio in Brasile. Una máquina di calcio e spettacolo. Il club si mette in bacheca sia il Paulistão che la Copa do Brasil. L'anno seguente si isserà sul tetto del Sudamerica conquistando la Copa Libertadores.

Sono anni in cui Ganso incanta e colleziona numeri di altissima scuola. È il re degli assist, intanto. Come sostiene Tiago Alves, “se voleva metterti davanti alla porta, stai sicuro che lo faceva”. Il top è un colpo di tacco smarcante per Neymar nella finale statale contro il Santo André, arte allo stato puro. Ma non mancano nemmeno le reti da show: un missile all'incrocio contro il Grêmio, un cucchiaio zuccherino da fuori area contro la Catanduvense. E via così. Nel 2012 segnerà di tacco al Bolivar in Libertadores, mandando in estasi il telecronista della tv brasiliana: “Genio! Genio! Genio!”. Quasi 30 anni dopo il canto di Victor Hugo Morales per Diego Armando Maradona.

“Ganso è un genio – ha detto Neymar nel 2010 a 'Esporte Espetacular', programma della domenica mattina della Globo – Gli dico sempre che è uno Zidane 2. Anzi, credo che diventerà migliore di Zidane ”.

“Ganso ci fa piangere per l'emozione – si è esaltato il giornalista Vitor Diniz in un articolo per il 'Blog do Juca' – c'è un sapore magico nei suoi tocchi raffinati”.

Nel 2010, la rivista Placar gli dedica una copertina assieme ad Alexandre Pato. Entrambi indossano la maglia verde e amarela del Brasile, entrambi rappresentano il futuro di un paese calcistico che si sta già preparando per il grande evento della Coppa del Mondo casalinga di quattro anni più tardi. Nell'articolo vengono definiti “la base della Seleção per i Mondiali”. Ganso esordisce ad agosto in un'amichevole contro gli Stati Uniti, parteciperà a Copa America e Olimpiadi. Mai a un Mondiale.

Neymar Pato Ganso Brazil 07092015

Il destino, del resto, è in agguato. Perché proprio nel 2010 Ganso vive la prima svolta della propria carriera. Deve operarsi in artroscopia al ginocchio destro e poi, ad agosto, rimedia un grave infortunio al menisco del ginocchio sinistro in una partita di campionato contro il Grêmio. Sette mesi di stop, stagione già finita. Torna all'inizio del 2011, ma inizia lentamente a non essere più lo stesso. Anche perché stavolta sono i guai muscolari, alcuni particolarmente seri, a non dargli tregua. Gioca comunque da titolare la finale di ritorno di Libertadores contro il Peñarol, alzando il trofeo più importante da protagonista.

Mentre Neymar vola verso la gloria, l'amico che doveva diventare più bravo di Zidane rimane piantato a terra. Però l'Europa continua a guardare nella sua direzione con particolare interesse. Ganso viene accostato praticamente a chiunque: all'Inter, al PSG, al Real Madrid. Ma soprattutto al Milan. In quei tempi diventa una sorta di tormentone di mercato, una infinita telenovela. Complicata da una clausola di 50 milioni di euro che spaventa ogni pretendente. Il 'Corriere dello Sport' azzarda un accordo a partire dal gennaio del 2012, lui smentisce pubblicamente: “L'Italia è un sogno, ma al momento non c'è nulla”.

Ganso il Santos lo lascerà effettivamente nel settembre del 2012. Ma per rimanere in patria. Va al San Paolo, uno dei rivali del Peixe. La presentazione al Morumbi, prima di una partita contro il Cruzeiro, è di quelle che si riservano ai più grandi. Sono in 40000 ad applaudirlo. Lo chiamano tutti “maestro”. Ma il vecchio Ganso non c'è più. Nei suoi anni sãopaulini si limita a lampeggiare, fa coppia con Kaká in un altro quadrato magico comprendente anche Luis Fabiano e Pato, estrae dal cilindro un paio di numeri impressionanti rimasti nella storia: un doppio tunnel di suola contro il River Plate che manda in estasi pure gli argentini, un altro contro il Botafogo quasi sulla linea di fondo, con successivo tocco morbido a spegnersi contro il palo più lontano. Meraviglie. Roba che nemmeno Zidane.

“Sì, però oggi non potrebbe giocare in Europa – dice un paio di giorni dopo averlo sfidato Clarence Seedorf, ai tempi al Botafogo – Ha un talento incredibile, ma deve mettere più intensità nelle sue giocate. Ganso si ferma, gioca, si ferma. Poi è chiaro, quando ti fa quegli assist di prima intenzione il suo talento lo noti subito”.

È quel che pensano in molti, del resto. Ganso assomiglia a quei campioni degli anni 80 che giocano a una velocità ridotta, quasi camminando. Ma il pallone è cambiato. E il “maestro” se ne rende conto quando, finalmente, lo chiama l'Europa. Il Siviglia lo mette sotto contratto nel 2016. L'allenatore è Jorge Sampaoli, è lui che lo ha voluto fortemente. Ma vorrebbe arretrarne il raggio d'azione: da trequartista a centrocampista puro. Non ha più il passo per veleggiare tra le linee, pensa l'argentino. Ganso dice pubblicamente di essere “disposto a giocare dove mi chiederà il tecnico”, ma in realtà non ha alcuna intenzione di cambiare ruolo. La rottura si consuma rapidamente. Nell'aprile del 2017 il "maestro" segna una doppietta al Granada alla prima presenza da titolare, ma non è che un'illusione. L'ennesima.

Il fallimento è certificato. Ganso viene prestato al piccolo Amiens, in Francia. Gioca dodici spezzoni di partita in Ligue 1, appena cinque da titolare, e non incide mai. Poi, nel 2019, rescinde il contratto e torna in patria al Fluminense. Il sogno europeo è già svanito.

"Ganso è uno di quei giocatori che ti stupisci se non trionfano in Europa – ha detto a GOAL il direttore generale del Siviglia, José Maria Cruz, nel settembre di quell'anno – Però non ti sorprendi completamente, perché ha un profilo molto sudamericano, molto brasiliano. Ed è un peccato, considerando la sua magia. Io credo di essere stato colui che lo ha difeso più di tutti all'interno del club. Dopo Luis Fabiano è stato il giocatore con la tecnica individuale più spiccata che abbia visto al Siviglia negli ultimi anni”.

Quindi, il Fluminense. Il travolgente entusiasmo dei tifosi, che il giorno del suo arrivo a Rio de Janeiro affollano l'aeroporto Santos Dumont, per tre anni viene ripagato solo a tratti in campo. Anche se tutto sembra far credere al contrario: il primo goal in maglia tricolor, ad esempio, il mancino lo segna con... la pancia, come Renato Portaluppi in un celeberrimo Fla-Flu del 1995. Una coincidenza che rimane tale. Ganso vivacchia, mostra qualche lampo di classe, gioca poco e fa tanta panchina, viene penalizzato dai soliti problemi fisici. Per un triennio è andata così.

Il 2022 è stato, sì, il suo anno. Contro ogni previsione. Tanto che gran parte della tifoseria e una fetta di stampa hanno chiesto a gran voce al ct Tite di chiamarlo per i Mondiali: sono rimasti inascoltati. Poco male: Ganso, oggi, è il 10 del Flu di Diniz. Anche se le sue belle pause di rendimento, compresi problemi fisici che in estate lo hanno stoppato per qualche settimana, continua ad averle. Poco male: il Tricolor è in finale di Copa Libertadores. E il 4 novembre, 12 anni dopo, Ganso potrà tornare sul tetto del Sudamerica.

Pubblicità