
Un calcio diverso, e neanche così lontano. Non completamente fuori dalle righe in confronto agli standard attuali, ma differente, più vero, meno patinato, autentico. Più sport semplicemente. Gli anni '90 del pallone, secondo molti l'ultimo grande decennio della sfera, ancora bianco e nera, ancora semplice. Ora, impossibile. Il mondo è cambiato, più piccolo, più grande, ad ognuno il suo.
Rio Ferdinand ha vissuto tanti mondi calcistici. E ha saputo comportarsi di conseguenza, plasmando la realtà attorno a sé e sì, riuscendo ad andare oltre momenti che avrebbero messo k.o chiunque. Non lui, colosso in campo, tenero fuori per forza di cose. Spintosi al limite per sua scelta, spinto al limite per il destino beffardo. Calciatore in tre decenni diversi, prima di diventare letteralmente madre e padre per i suoi figli, a causa del triste male che si è portato via l'amore della sua vita.
La moglie Rebecca Elisson è scomparsa nel 2015 dopo una lunga battaglia per un cancro al seno, e lì Rio Ferdinand ha vacillato per l'ultima volta. Perché il terribile lutto lo ha riportato sulla lastricata via dell'alcol, a cui ha cercato di aggrapparsi. Il demone liquido l'ha avuto con sé per tanto tempo durante la sua carriera da calciatore, tornato a bussare alla sua britannica porta per affrontare la morte.
Rio Ferdinand ha confessato in passato di aver avuto bisogno della bottiglia per superare il male assoluto. Poi però, la consapevolezza di dover badare ai figli Lorenz, Tate e Tia, lo ha definitivamente allontanato da quella parte negative della sua vita, come ha raccontato in un documentario sulla sua vita trasmesso dalla BBC:
"Per combattere il dolore ho bevuto parecchio per tre o quattro mesi. Quando mi capitava di leggere storie del genere pensavo 'come si fa ad essere così egoisti da volersi suicidare o provare a farlo?', ma adesso li capisco".
"Io sono stato fortunato, perché ho avuto una cerchia di persone attorno a me pronte ad aiutarmi e il pensiero dei miei figli mi spingeva ad alzarmi ogni mattina e far sì che riuscissi ad andare avanti, ma altri non possono contare su queste cose e finiscono per lasciarsi andare"
Rio Ferdinand ha dovuto riorganizzare il suo mondo, diventando a tempo pieno mamma e papà per il bene dei suoi tesori. Opinionista e commentatore televisivo sì, ma principalmente genitore. Toccato il fondo di chi non sapeva da dover partire per rinascere, volete o nolente, ha cominciato a parlare del suo passato con l'alcol con consapevolezza, su come il passato sia passato.
Celeberrimo per i tempi al Manchester United, Rio Ferdinand ha però brillato inizialmente con la casacca del West Ham, nella sua Londra. Fine anni '90, il calcio fa rima con bicchieri di plastica con birra oscillante negli stadi. Di vetro, nei pub. Anche in mano a lui, poco più che ventenne:
"Quando ero più giovane, ero un pazzo. I ricordi della mia carriera sono confusi, la gente parla di alcuni momenti di gioco, io mi siedo e annuisco. Non ho idea di che cosa stiano parlando, non ricordo con precisione. A quei tempi esageravo spesso. Potevo superare otto, nove, dieci pinte di birra. Poi passavo alla vodka.
Sarei potuto andare avanti a bere tutto il giorno. A quei tempi c'era una cultura diversa rispetto ad oggi. Quando io ero al West Ham pensavamo al calcio, ma anche a bere e ai nightclub. Alle persone che mi chiedono se ho qualche rimpianto da giocatore, dico che non avrei dovuto bere alcolici. Sono stato fortunato, ho avuto una capacità naturale per superare quel periodo della mia vita".
Solamente il terribile lutto subito lo ha riportato brevemente nella triste strada del bere per dimenticare. Ma non ha dimenticato come ai tempi del Manchester United (i più gloriosi della sua carriera, abbastanza per renderlo uno dei centrali simbolo del nuovo millennio) si conteneva rispetto a quelli di Londra. Non completamente però, anzi:
"In estate, bevevo per due settimane intere, fino a scoppiare, ma continuavo a bere. Poi sono arrivato a un punto in cui dovevo prendere una decisione ed essere più professionale".
Più che elegante e soave nei movimenti a rubar palla, ci si ricorda di Rio Ferdinand come braccio armato, potente, fisico, deciso in campo a strappare la sfera con modi non proprio gentili. Parte dello sport. Lo sport già, il calcio, ma non solo. Perché in giovane età è stato ballerino, per poi provare a diventare pugile dopo l'era calcistica, senza riuscirci. Altra storia.
Ha avuto tante vite Rio Ferdinand, triste, felice, accompagnata da demoni liquidi. Vite che l'hanno portato a diventare genitore responsabile, impegnato nel sociale. Come esempio. Esempio di chi si è reso conto della vita di tutti i giorni, del lutto e della consapevolezza dello stesso. Di chi ha capito di dover cambiare il proprio stile, per essere professionista. Per ricordare e non dimenticare.
