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Andriy Voronin LiverpoolGetty Images

Pupillo di Klopp, flop al Liverpool: Voronin, talento ucraino incompiuto

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Se Andriy Shevchenko non fosse stato così indissolubilmente legato alla sua maglia numero 7, avrebbe avuto titolo per chiedere e ottenere di indossare la 10 anche nell’Ucraina. L’ha indossata giusto all’inizio della sua carriera in nazionale, prima di cederla a quello che per una decina d’anni è stato il suo partner d’attacco, quasi come fosse la sua ombra. Senza la stessa fama e lo stesso talento da Pallone d’Oro. Almeno all’apparenza. Perché di Andriy Voronin magari si ricordano in pochi, ma chi lo ha allenato lo ha sempre descritto come uno dei più grandi talenti inespressi.

Andriy Voronin UkraineGetty Images

Prendiamone uno (mica tanto) a caso: Jürgen Klopp. Nel 2001 era appena diventato l’allenatore del Mainz in 2.Bundesliga passando direttamente dal campo alla panchina. In rosa aveva anche Voronin, alle sue prime armi. Lo aveva portato in Germania il Borussia Mönchengladbach quando era giovanissimo, appena 16 anni, senza mai trovare troppo spazio. Così è andato al Mainz. Ed era nella rosa dei Nullfünfer quando, il 28 febbraio 2001, Klopp passava direttamente dal campo alla panchina iniziando la sua leggendaria carriera.

“Un giocatore che vorrei avesse oggi 20 anni e che vorrei riavere in squadra è Voronin - ha rivelato ai canali ufficiali del Mainz - Se avesse saputo anche solo per un giorno quanto talento aveva sarebbe stato un calciatore straordinario. Un giocatore incredibile. Io con lui sono stato un po’ ingiusto. Quando ho iniziato ad allenare, lo facevo sempre partire dalla panchina. Una volta in ritiro è venuto ia chiedermi perché non giocasse mai titolare. Gli ho risposto: ‘Perché quando non giochi titolare non ti lamenti mai’. ‘Giusto’. E ha continuato a non giocare titolare”.

In effetti, nella prima stagione Voronin aveva giocato pochissimo, mentre nella seconda aveva disputato tutte le 34 partite, segnando 8 goal e fornendo 8 assist, ma la metà delle quali le aveva iniziate dalla panchina. Nella successiva si è guadagnato un posto nell’undici titolare anche complice la cessione di Nkufo. Ed è esploso, arrivando a quota 20. Capocannoniere del campionato.

Andrii Voronin Bayer Leverkusen 2006Getty

Non è riuscito a centrare la promozione in Bundesliga, clamorosamente sfumata proprio all’ultima giornata per la differenza reti, ma si è guadagnato la chiamata del Colonia al piano di sopra. Un anno senza brillare, solo 4 goal, nella squadra che sarebbe diventata di Podolski. E una chiamata inattesa: quella del Bayer Leverkusen, che cercava l’erede di Oliver Neuville e Yildiray Bastürk, due simboli.

In tre stagioni alla BayArena ha lasciato un ricordo meraviglioso: la coppia che componeva insieme a Dimitar Berbatov era garanzia di estro e di spettacolo. Due anni di magie, prima della cessione del bulgaro in Premier League. Voronin nella stessa estate era stato protagonista del Mondiale 2006, terminato con la sconfitta contro l’Italia ai quarti. Era tra i più attesi, ma ha deluso le aspettative. Zero goal, più il quarto di finale visto dalla panchina per un infortunio alla coscia. Danno e beffa.

La grande chance comunque sarebbe arrivata un anno dopo, nell’estate 2007: il Liverpool fresco finalista della Champions League. Di più: con la numero 10 sulla schiena. Quella di Owen, di Barnes, Era arrivato insieme a Torres, a Babel, a Benayoun. La responsabilità più pesante l’aveva presa lui. Eppure sotto Rafa Benitez non è mai riuscito ad emergere, nonostante all’inizio fosse una presenza sostanzialmente fissa in squadra. Poi tra infortuni, prestazioni deludenti e numeri al di sotto delle aspettative è finito dietro nelle gerarchie. Era partito benissimo, segnando nei preliminari di Champions contro il Tolosa la rete che aveva di fatto regalato la qualificazione al Liverpool.

ANDRIY VORONIN FC LIVERPOOLGetty

“Ha grandi qualità, è diverso dagli altri attaccanti che abbiamo: è intelligente, si connette bene coi compagni, può segnare tanto”, diceva Benitez di lui.

Previsione sbagliata: solo 6 reti all’attivo in 28 presenze, complici infortuni e panchine. Spesso tribune. Poi un anno di prestito all’Hertha Berlino per il rilancio - titolo sfiorato, 11 goal e le solite giocate di classe - e il ritorno ad Anfield, ancora con la 10 sulle spalle. La decisione di rimanere dopo aver parlato con Benitez. “Aspetta la tua occasione, va tutto bene, non ci sono problemi” le parole dell’allenatore dopo un colloquio faccia a faccia.

Occasione che non si è più presentata. 12 presenze verso l’inizio della stagione, perlopiù spezzoni, poi la fine del rapporto a gennaio con il trasferimento alla Dynamo Mosca, dove è rimasto fino al ritiro del 2014 e dove tuttora lavora, come vice di Sandro Schwarz, suo ex compagno proprio nel Mainz. La Nazionale l’ha lasciata nel 2012, insieme a Shevchenko, dopo un’ultima passerella all’Europeo di casa. L’ultima con l’Inghilterra, con la 10 sulla schiena, l’ha vista dalla panchina. Vecchie abitudini. Incompiutezza.

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