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Juliano BellettiGetty

Juliano Belletti e il goal in finale contro l'Arsenal: l'unico col Barcellona

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Quando Juliano Belletti, a 29 anni, decide a 10 minuti dal termine di una finale di Champions League tesissima e zuppa d'acqua di sganciarsi dalla propria porzione di campo, seguire il movimento di Henrik Larsson, infilarsi in area e calciare a rete, probabilmente non pensa davvero che la palla possa varcare la linea di porta. Perché dovrebbe? In fondo lui il goal non sa cosa sia da un'enormità di tempo. Con il Barcellona, dove milita ormai da un paio d'anni, non è mai andato a segno, neppure una volta. Dovrebbe forse farlo proprio in una partita così importante, sotto lo sguardo delle telecamere di mezzo pianeta, diventando l'ennesimo eroe improbabile proposto dal mondo dello sport?

Quando il pallone calciato da posizione ravvicinata ma defilata viaggia verso la porta di Manuel Almunia, portiere dell'Arsenal, Belletti ancora non si fa illusioni. Tutto dura lo spazio di un attimo, una questione di centesimi di secondo. Poi, improvvisamente, un mondo si schiude davanti al brasiliano con il tabù delle porte avversarie. Il tiro, viscido e ballerino, entra davvero. Belletti si porta le mani sul volto, incredulo per quel che ha appena fatto. Si inginocchia e si getta a terra, i compagni festanti a sommergerlo. Il Barcellona conduce per 2-1 sui londinesi e, 10 minuti più recupero più tardi, alzerà al cielo parigino la seconda Champions League della propria storia.

Sono trascorsi ormai 16 anni dal 16 maggio 2006, dalla notte dello Stade de France, ma quell'impresa non se la dimentica nessuno. L'impresa del Barcellona, che sotto la guida di Frank Rijkaard in panchina e Ronaldinho in campo dà definitivamente il la all'epopea guardioliana dopo anni di anonimato europeo. E l'impresa di questo ventinovenne terzino paranaense, che in Catalogna ha collezionato una settantina di presenze in tre stagioni andando a segno solo una volta. In finale di Champions League, appunto.

“Non potevo crederci. Dopo che la palla è entrata ho tentato di rialzarmi per esultare, ma non c'era verso. Mi sono inginocchiato con le mani sul volto, perché era il mio primo goal con la maglia del Barcellona e l'avevo segnato in una finale di Champions League. Una finale che tra l'altro stavamo perdendo. Non potevo credere che l'avessi fatto davvero. Anche oggi, quando i miei figli rivedono quel goal, faticano a crederci. È bellissimo entrare nella storia del Barcellona in questo modo”.

La rappresentazione migliore di quanto accaduto, con lo stile scanzonato che l'ha sempre contraddistinto, l'ha data Ronaldinho, Pallone d'Oro in carica in quella stagione.

“La cosa più strana è stata vedere Belletti segnare un goal. Non ne aveva mai fatto uno...”.

Quella serata, flagellata da un diluvio che non dà tregua, comincia sotto i presupposti migliori per il Barcellona: al 17' Lehmann lascia in 10 l'Arsenal per aver steso Eto'o al limite dell'area di rigore. Ma la gara prende una strana piega quando, agli sgoccioli del primo tempo, Sol Campbell indirizza di testa in rete una punizione messa in mezzo da Henry, futuro azulgrana. A nulla sembrano servire gli attacchi del Barcellona nella ripresa: la porta dei Gunners pare stregata. Fino ai minuti della grande svolta: al 76' l'1-1 di Eto'o, all'80' il 2-1 di Belletti. Il terzino che, fino a quella sera, aveva disimparato il mestiere del goal.

Belletti Barcelona Arsenal

E dire che Juliano, quando muove i primi passi di una carriera che lo porterà a toccare vette altissime, gioca addirittura sulla trequarti con la 10 sulle spalle, dopo aver esordito in porta (!) in quella formidabile palestra di tecnica tutta brasiliana che è il futsal, il calcio a 5. Diventa lateral soltanto nel 2000, al San Paolo, appena dopo aver sfiorato la vittoria del Brasileirão con l'Atletico Mineiro. Il problema è che nel frattempo comincia a farsi una fama poco simpatica: quella di terzinaccio violento, autore di entrate da codice penale che, tra un cartellino giallo e uno rosso, non di rado lo piazzano nel mirino delle vendette avversarie.

“La mia carriera è stata macchiata – dichiara Belletti all'epoca – Sono conosciuto come un giocatore violento, per cui ho dovuto cambiare atteggiamento per cancellare l'immagine che tutti si sono fatti di me”.

“Belletti aveva avvertito il cambio di città e per questo sfogava il proprio nervosismo in campo – è l'opinione di Muricy Ramalho, suo allenatore al San Paolo, alla rivista PLACAR – Se non riusciva ad arrivare sul pallone, colpiva l'avversario”.

La riabilitazione non tarda ad arrivare. E con essa la gloria. Belletti raffredda i bollenti spiriti e diventa uno dei migliori terzini del Brasile. Il 2002 è l'anno della svolta: Scolari lo inserisce nei magnifici 23 che trionferanno in Giappone e Corea del Sud e il Villarreal decide di portarlo in Spagna. L'ascesa è continua: un anno più tardi a Juliano si interessa il Real Madrid, ma nel 2004 è il Barcellona a offrirgli la grande chance su un piatto d'argento. Sfruttata: 31 presenze in Liga il primo anno, 27 il secondo, due campionati vinti. Senza segnare, ovviamente.

Che Belletti sia una specie di amuleto, che porti vittorie ovunque metta piede, è del resto confermato da tutta una serie di episodi. Al Chelsea conquista due FA Cup e la Premier League del 2010 con Carlo Ancelotti in panchina. Passa nel luglio di quell'anno al Fluminense assieme all'amico Deco, con cui ha condiviso quasi tutti gli ultimi anni di carriera, e vince il campionato pure lì. Senza dimenticare la notte di Parigi, naturalmente, nella quale Eto'o segna l'1-1 proprio pochi minuti dopo l'ingresso in campo del brasiliano, lasciato inizialmente in panchina per far spazio a Oleguer.

“L'intenzione di Rijkaard era sfruttarmi per avere un po' più di spinta sulla destra, dovevamo rischiare di più. Nelle sue intenzioni dovevo andare sul fondo, crossare per i compagni. Non mi ha mai chiesto di segnare”, ha ricordato Belletti qualche anno fa tra le risate.

Juliano Belletti Barcelona Champions League 2005-2006Getty

Belletti come Fabio Grosso, come il greco Angelos Charisteas, come il portoghese Eder. Come coloro che, da anonimi pedatori, hanno toccato il cielo quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato. E che il suo nome sia scritto a caratteri cubitali nella storia del Barcellona, è confermato dall'incarico di ambasciatore all'estero conferitogli dal club tre anni e mezzo fa. Anche se Belletti giura che “il goal contro l'Arsenal ha la sua importanza, certo, ma se il Barça mi ha scelto per questo incarico è perché sono preparato per svolgerlo”.

Al contempo, però, pensi a Belletti e il collegamento con il 2006, con l'Arsenal, con lo Stade de France di Parigi, è inevitabile e immediato. La notte in cui Belletti sembra il classico imbucato che alla festa si diverte più di tutti, un tìzio passato lì per caso, l'uomo sbagliato al momento giusto. Uno baciato dalla fortuna, in sostanza. Ma è un'etichetta che il diretto interessato ha sempre voluto togliersi di dosso.

“Molti dicono che nella mia carriera ho avuto fortuna. Preferirei che si dicesse che ho lavorato tantissimo per arrivare dove sono arrivato. Ma so che non accadrà”.

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