Ritornare con la mente a cinque anni fa per ogni fan del Bayer Leverkusen significa anche ripercorrere all'indietro la carriera di Julian Brandt, il giocatore che più di tutti insieme al suo grande amico Kai Havertz ha lasciato il segno nell'ultimo lustro del club tedesco. Nel 2016 si parlava del classe 1996 come un potenziale talento generazionale, con colpi di pura classe, un talento limpido, tanta eleganza. Nel giro di pochi anni, pensavano tutti, si sarebbe preso un posto tra i grandi. Non c'erano dubbi. Invece, nell'estate 2021, il nativo di Brema sta vivendo forse il momento più difficile della sua giovane, ma movimentata carriera.
Nel 2019 Brandt ha lasciato la BayArena per trasferirsi al Borussia Dortmund, per 25 milioni di euro, valore della clausola che era stata fissata un anno prima con un rinnovo del contratto molto discusso. Le voci su una partenza a zero si inseguivano e ovviamente anche quelle del Bayern Monaco, sempre attentissimo alle occasioni domestiche. Era stato un acquisto per certi versi sorprendente, arrivato sotto traccia. Un rinforzo importante per l'allora allenatore Lucien Favre, che doveva tentare il secondo assalto al Meisterschale dopo averlo solo sfiorato il primo anno: conteso fino all'ultima giornata, ma alla fine andato a Monaco. Ancora.
Le credenziali di Brandt in quel momento erano le migliori possibili. Veniva dai migliori sei mesi della carriera, sotto la sapiente guida di Peter Bosz. Il tecnico olandese era arrivato a gennaio a Leverkusen e aveva proposto una rivoluzione offensiva, con Havertz e Brandt mezzali di un 4-3-3 tanto spregiudicato quanto spettacolare. 6 goal e 10 assist in 16 partite nel girone di ritorno giocando di fatto da centrocampista, con il compito di legare il gioco, creare, sfruttare la sua visione di gioco per arrivare all'ultimo passaggio.
“L’ho visto giocare tante volte, giocava sempre sull’ala, ma io lo vedevo come centrocampista. È un giocatore bravissimo e bisogna dare la palla il più possibile ai giocatori come lui”, ha raccontato Peter Bosz.
Getty ImagesTanti tocchi di palla, tanta fiducia, tanta qualità. Fino a quel momento, tra i professionisti Brandt era sempre stato considerato un'ala, a volte un trequartista, comunque un giocatore che avesse bisogno di partire da posizione defilata, magari puntare in uno contro uno sfruttando il proprio dribbling. Aveva sempre dato il suo meglio da ala sinistra, il ruolo in cui si è imposto sotto Roger Schmidt. Comunque, aveva da sempre manifestato il bisogno di avere la palla tra i piedi. A farlo esordire era stato SamiHyypiä nella stagione 2013/14. Arrivato a gennaio dal Wolfsburg, dove non riusciva a conquistare occasioni in prima squadra. Doveva ancora compiere 18 anni, ma si vedeva già come un giocatore da Bundesliga. A febbraio lo è diventato, facendo il suo debutto.
In effetti il suo rendimento a livello giovanile, dove occasionalmente giocava anche da centrocampista, era decisamente sopra la media. Si è messo al collo due medaglie Fritz Walter: secondo miglior Under-17 di Germania nel 2013, miglior Under-18 l'anno dopo. A Brema, la sua città natale, se l'erano fatto sfuggire. Il Werder non ha mai approfondito il suo talento. Al Weserstadion ci è entrato, sì, ma solo come 'mascotte' quando era bambino tenendo la mano ai giocatori della Germania.
In nazionale ci è arrivato nel 2016, senza però conquistare un posto all'Europeo. Si è consolato con le Olimpiadi, chiuse con la medaglia d'argento, perdendo in finale ai rigori col Brasile. Una decina di assist in tutto l'arco della competizione. Sarebbe andato al Mondiale due anni dopo, vincendo il ballottaggio con Leroy Sané. Al termine di una stagione conclusa nel peggiore dei modi: mancando la qualificazione alla Champions League che sarebbe dipesa solo dallo stesso Bayer. Contro l'Hannover servivano cinque goal. Tre goal dopo 55 minuti, poi una serie di errori clamorosi sotto porta. Compresi quelli di Brandt.
GettyLöw ha voluto credere nella sua voglia di riscatto, anche a costo di rinunciare a Sané. Attirandosi peraltro non poche critiche. Nella disastrosa campagna di Russia è stato uno dei pochissimi a salvarsi, se non l'unico. Ha giocato 20 minuti totali, subentrando sempre nel finale per dare la scossa. Non sempre ce l'ha fatta, ma probabilmente ha creato più occasioni da solo in quegli spezzoni che il resto della squadra in tutto il resto dei minuti.
Wolfsburg, Leverkusen, poi Dortmund. Un inizio in sordina con una collocazione difficile da trovare. Esterno a sinistra, trequartista, esterno a destra. Utilizzato anche da prima punta in Coppa di Germania contro il Borussia Mönchengladbach. Doppietta. Una nuova collocazione? Non proprio. Solo qualche apparizione. Poi il passaggio al 3-4-3 varato da Favre, una chance nel centrocampo a due insieme ad Axel Witsel. Sembrava un rischio, è stata una svolta.
Dopo tre mesi di alti e bassi, ha ritrovato la verve. Fino a fine stagione ha giocato da centrocampista, anche se a volte ha avanzato di qualche metro la sua posizione per giocare sotto punta. Libero mentalmente, in fiducia, si è rivisto il Brandt versione Leverkusen. Creativo, capace di rischiare la giocata. Tacco, no-look, filtranti millimetrici. Se Euro 2020 si fosse giocato nell'anno in cui effettivamente avrebbe dovuto, Joachim Löw difficilmente ne avrebbe fatto a meno.
A Euro 2020, quello vero, Brandt non ci è andato. Lo ha visto da casa. Dopo un'annata che rimarrà probabilmente nei libri come la peggiore della sua carriera, la più difficile. Ha rispecchiato l'annata generale del Borussia Dortmund. Tanti cambi di posizione in un sistema non più definito, pochissima energia positiva, ancora meno entusiasmo. Consapevolezza ai minimi termini. Nemmeno l'addio di Favre e la promozione di Terzic sono riusciti a scuoterlo. Ha avuto le sue occasioni, se le è giocate male.
Specchio della sua stagione la sostituzione dopo 63 minuti nella partita di DFB-Pokal contro l'Eintracht Braunschweig, allora nei bassifondi della classifica di 2. Bundesliga. Impalpabile. Un misero bottino di tre goal, un paio propiziati. Non è riuscito a credere nemmeno nel finale, quando Sancho e Haaland hanno trascinato il Dortmund alla vittoria della DFB-Pokal e al quarto posto, salvando una stagione. Non la sua. Spesso indolente, con un linguaggio del corpo negativo. Una costante nel corso della sua carriera, che a 25 anni lo ha già portato a giocare 350 partite.
Il suo valore è precipitato, ma a Dortmund con l'arrivo di Marco Rose sembrano potersi aprire nuove prospettive. Sicuramente, la nuova stagione per lui sarà un punto di ripartenza. Che sia in Germania o che sia altrove. Il suo talento ha bisogno di essere espresso. Si parla tanto della Lazio, anche il Milan ora lo ha messo nel radar e ne valuta l'acquisto, è stato accostato anche all'Arsenal. Il Borussia Dortmund, dopo la cessione di Sancho, potrebbe non aver bisogno di svendere. Rose dovrà prendere una decisione, Brandt pure. Con un fatto: in giallonero sanno come valorizzare il talento, anche quando sembra inespresso. A maggior ragione con Rose. Le vie del mercato, comunque, sembrano davvero infinite.


