GOALPer entrare nella storia basta un battito di ciglia, un’impresa fatta in una notte, in qualche minuto. Per entrare nella storia, però, ci vuole una buona preparazione, per farsi trovare pronti a quel momento, per saper cogliere l’attimo. Quello che ha vissuto Jerzy Dudek, che nel 2005, in una notte stregata per l’Italia ma fortunata per gli inglesi, entrò nella storia del calcio europeo.
Dudek nasce nel 1973 in una cittadina della Slesia, Rybnik, dove la cultura calcistica non è, fino a quegli anni, la principale delle preoccupazioni. Eppure, mentre Jerzy viene concepito dai genitori, Kazimierz Gorski conduce la nazionale polacca a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1972, poi alla medaglia di bronzo al campionato del mondo del 1974, trascinata dal capocannoniere del torneo Grzegorz Lato in quella che fu la prima Coppa del mondo Fifa, da nomenclatura che sostituiva la Coppa Rimet. Era un altro calcio, era un’altra Europa: quella che doveva vedere la Germania Ovest protagonista e che alzava il suo secondo trofeo battendo in finale i Paesi Bassi di Johan Cruyff. Quella Polonia, che dura fino al ’76, se la ricorda bene anche Fabio Capello, che era nell’Italia vicecampione del mondo in carica e che cadde, nel ’70, per 2-1 sotto le reti di Kazimierz Deyna. C’è questo scenario quando Dudek nasce e decide a 12 anni di giocare con la maglia del Concordia Knurow.
Knurow è una cittadina dell’alta Slesia, assorbita dalla vicina fama moderna di Katowice, che se ai tempi era nota come la città della musica oggi passa alla storia come il centro nevralgico dell’eSport mondiale. Dudek trascorre nel Concordia ben dieci anni, senza passare agli onori della cronaca, sia per la giovane età sia per la modestia del club. Arriva quando la società si chiama Gornik, se ne va che il nome torna a essere Concordia. Sono gli anni in cui la Polonia, come la conosciamo noi, non esiste ancora: d’altronde Dudek nasce nella Repubblica Popolare di Polonia, dipende dall’Unione Sovietica, è il paese comunista più popoloso del blocco orientale. A presiedere i club sono le istituzioni e a seconda di chi si trova in seno alla gestione si cambia nome: Gornik (minatori), o spesso Gorniczy Klub Sportowy (Il club sportivo dei minatori), fino ad arrivare al Concordia, nome col quale era stata fondato il club. Quelli sono comunque gli anni d’oro per il calcio a Knurow, perché nel 1995, l’ultimo anno di Dudek come portiere titolare della squadra, il Concordia sfiora la promozione nella seconda divisione, la Fortuna I Liga, la nostra Serie B, perdendo l’ultima partita utile contro il Varta Namyslow. Jerzy sigla il record di 416 minuti da imbattuto e si conquista le attenzioni del Sokol Tychy, club che milita nell’Ekstraklasa, la massima categoria del campionato polacco. All’età di 23 anni riesce a scendere in campo in circa 15 occasioni, vestendo i panni del dodicesimo.
Il palcoscenico della prima divisione polacca, però, gli garantisce le attenzioni dell’Europa: fino a quell’ora totalmente sconosciuto ai più, Dudek riesce a farsi notare in Olanda, più precisamente dal Feyenoord, che nel 1996 lo porta in Eredivisie. Il primo anno non gioca praticamente mai: davanti a sé ha la bandiera del Feyenoord Ed de Goeij, che però nel 1997 si trasferisce al Chelsea, lasciando scoperti i pali della società olandese. Questa è l’occasione che Dudek coglie subito al volo: Leo Beenhakker lo schiera titolare, per la prima volta, nella partita di qualificazione alla Champions League contro lo Jazz Pori. Ne subisce due, di reti, ma non importa: il Feyenoord ne fa 6. Da quel momento Dudek le gioca tutte: in campionato aiuta la squadra ad arrivare quarta e il 21 dicembre del 1997 si concede anche il lusso di fornire l’assist a Julio Cruz (sì, El Jardinero) per il momentaneo 2-0 al Willem II. In Champions League all’andata, nella fase a gironi, prende 5 gol dalla Juventus, ma al ritorno chiude la porta a Del Piero e Zidane, mentre Julio Cruz ne fa due ad Angelo Peruzzi.
L’anno successivo non cambia la sostanza: Dudek è sempre titolare in campionato e il Feyenoord si affeziona al primo posto, che afferra a novembre e non lascia più fino alla fine. A suon di gol Julio Cruz e Jon Dahl Tomasson portano Beenhakker sul tetto dei Paesi Bassi, vincendo anche la Johan Cruyff Shield contro l’Ajax. In questa stagione lo nota, finalmente, anche Janusz Wojcik, CT della Polonia, che decide di convocarlo e concedergli 45’ minuti. Subisce una rete, all’83’, che vale il 2-0 di Israele al Ramat Gan Nationalstadion, mentre a fischiare c’è Graziano Cesari, e per un po’ si allontana dalla selezione del suo Paese, per poi tornarci soltanto nel 2000, da titolare. Quell’anno Dudek vince anche il titolo di Portiere dell’anno dei Paesi Bassi, un titolo che mancava al Feyenoord dal 1993, quando a entrare negli annali era stato de Goeij. Dudek lo vince due volte di fila e interrompe l’interregno di Edwin van der Sar, diventando il primo straniero a incidere il suo nome nel palmares, in Olanda. La sua maturazione, a 27 anni, è sotto gli occhi di tutti: Jerzy Engel lo convoca in nazionale e gli affida le chiavi della porta polacca, fino alla Coppa del Mondo 2002.
Se però la Polonia si accorge del suo talento lasciato scappare dalle terre sovietiche, non da meno è la scoperta del calcio inglese. De Goeij aveva fatto intuire ai club anglosassoni che in Olanda ci fosse una buona fucina di estremi difensori e il suo trasferimento al Chelsea aveva offerto il preludio alla tratta Eredivisie – Premier League. È Gerard Houllier a perdere la pazienza con Sande Westerveld, che viene ceduto in Spagna, e a pretendere l’arrivo di Jerzy Dudek e Chris Kirkland, per dare nuovamente certezza ai pali del Liverpool. Il polacco costa circa 7 milioni di euro, mentre Kirkland viene acquistato per 8, ma è il primo a conquistarsi subito il ruolo di titolare, anche per l’esperienza dovuta agli anni, otto in più. La scelta premia Houllier, che riesce a portare il Liverpool al secondo posto, con 12 porte imbattute e appena 30 gol subiti: non basta per raggiungere l’Arsenal, ma il Liverpool arriva fino ai quarti di Champions League e Dudek viene inserito nel podio dei migliori portieri dell’anno per l’UEFA, alle spalle di Oliver Kahn e Gianluigi Buffon.
Sembra essere un fenomeno da osservare, quello di Dudek, perché le sue prestazioni lo spingono sempre più in alto negli indici di gradimento di Liverpool. La sua seconda stagione con i Reds, però, complice anche il Mondiale di Corea disputato nell’estate, non è esaltante come la prima. Resta comunque il titolare, ma le aspettative dell’estate vengono tutte disattese: il Liverpool termina quinto in campionato, viene eliminato ai gironi di Champions League e manca la qualificazione alla manifestazione dell’anno successivo. Dudek ha, però, il tempo di concedersi un colpo di coda insieme a tutta la squadra: la vittoria della League Cup contro il Manchester United in finale decisa dalle reti di Steven Gerrard e Michael Owen. Finisce 2-0, il duello con van Nilsterooy, che aveva infiammato l’Eredivisie fino al trasferimento di entrambi in Premier League, viene vinto da Dudek che porta a casa anche il premio di Man of the Match. L’anno successivo, dinanzi all’invincibile Arsenal dei record, il Liverpool riusce a entrare nelle prime quattro, guadagnandosi la qualificazione più importante di sempre alla Champions League: Dudek non chiude la saracinesca come suo solito, perché delle prime quattro della classifica i Reds sono quelli che subiscono più reti, ma dinanzi a quello che sta per accadere questi sono dettagli di poco conto.
“Quando giocai con la Polonia in Italia ebbi l’occasione di incontrare Papa Giovanni Paolo II. Il presidente della federazione polacca mi diede una maglia da donargli: c’era il nome del Papa con il numero uno sulla schiena. Non ricordo cosa mi disse perché non sono mai stato così emozionato nella mia vita”.
L’incontro col Papa e il significato che in Polonia ha avuto Giovanni Paolo II meriterebbero una storia a parte, per Jerzy Dudek e non solo, ma l’emozione che trasmette quel momento è come se spingesse l’estremo difensore del Liverpool verso l’odore di santità ad Anfield. La stagione 2004/05 inizia con il cambio di allenatore: arriva in panchina Rafael Benitez, fresco vincitore della Coppa UEFA con il Valencia. Dudek è sempre il titolare di quella squadra e il Liverpool supera i preliminari di Champions League non senza fatica contro il Grazer AK. Non sarà la Premier League a interessare ai Reds quell’anno, perché Benitez è lì per un altro compito: alzare la coppa dalle grandi orecchie. Superati i gironi, il Liverpool affronta il Bayer Leverkusen agli Ottavi: per Dudek è un replay di quanto accaduto alla sua prima stagione in Inghilterra, ma stavolta l’esito è diverso. Ai Quarti c’è la Juventus: all’andata finisce 2-1, con Dudek in panchina, ma al ritorno è il polacco a sancire il clean sheet. In semifinale tocca affrontare il Chelsea, ma l’evento che passa alla storia in quella partita è il famoso gol fantasma di Luis Garcia, convalidato dall’arbitro Michel, che scatena l’ira di José Mourinho, tecnico dei Blues. Benitez è in finale e dall’altro lato c’è il Milan di Carlo Ancelotti.
GoalLa gara di Istanbul è fissa nella memoria di tutti, soprattutto dei milanisti. Dudek entra negli spogliatoi all’intervallo con tre gol subiti, ma queste sono le situazioni in cui nessuno deve alzare bandiera bianca, perché nel calcio, anche dopo un 3-0, nulla è scontato. Nella ripresa Dudek dice ‘no’ a Shevchenko, che su punizione cerca il 4-0, e un minuto dopo Gerrard, capitano dei Reds, supera Dida. Poi Vladimir Smicer fa il 3-2 e tre minuti dopo Gattuso atterra Gerrard in area di rigore: Xabi Alonso va dal dischetto, Dida gli para il primo tiro ma nulla può sul secondo. Si va ai supplementari e Dudek compie un doppio miracolo su Shevchenko, che colpisce a botta sicura a pochi centimetri dalla porta, col portiere sbilanciato dal primo intervento sempre sull’ucraino: Altafini, dal box in tribuna, dice che Jerzy non ha mai parato come sta facendo a Istanbul, ma è evidente che è la prima volta che lo vede giocare. Quella parata diventa il più grande momento della competizione, secondo un sondaggio dell’Uefa, più della rete di Zidane nel 2002 al Bayern Leverkusen, più della rete di Solskjaer nel 1999 contro il Bayern Monaco. Si va ai rigori e Dudek decide di entrare nella storia con la spaghetti legs.
Un veloce passo indietro: è il 1984, Liverpool e Roma stanno per contendersi la Champions League ai rigori: nessuna squadra, fino a quell’edizione, ha mai vinto la Coppa dei Campioni dal dischetto. In porta per i Reds c’è Bruce Grobbelaar, che vede Bruno Conti muoversi nei pressi del pallone quasi come in una danza e decide di rispondere per le rime. Inizia a ciondolare sulla linea di porta, mette le mani sulle ginocchia e inizia a incrociare le gambe: in quegli anni vige la regola del dover tenere i piedi sulla linea fino a quando il giocatore non ha calciato il rigore e Grobbelaar così fa, distraendo sia Conti che Graziani e regalando ai Reds la quarta Coppa dei Campioni. Dudek la storia la conosce, probabilmente anche Benitez, e decide di rispettare i ricorsi storici di Vico: i piedi sulla linea non li pianta, rivede leggermente la spaghetti legs e danza dinanzi a Shevchenko sul risultato di 3-2, dopo quattro rigori ciascuno. Il goal gliel’ha negato più volte durante la partita e prova a distrarlo. Balla, danza, si agita, si lancia alla sua destra, mentre l’ucraino calcia centrale: con la mano sinistra, di richiamo, Dudek devia quanto basta il tiro e chiude la pratica. Il Liverpool è campione d’Europa per la quinta volta, per la seconda volta grazie al suo portiere.
Dudek è il terzo polacco a vincere la Champions League dopo Zbigniew Boniek e Jozef Mlynarczyk, viene nominato come portiere dell’anno per la seconda volta e un gruppo di tifosi di Liverpool incide una canzone intitolata “Du the Dudek”, che entra nella top 40 delle hit del Regno Unito. Liverpool è sua, l’Europa è sua. Il calcio, però, è un susseguirsi di eventi strani e mentre il Milan si dispera per la sconfitta, Benitez decide di sostituire Dudek: nel Merseyside arriva Pepe Reina, che diventa il nuovo titolare dei Reds.
“Benitez prese un nuovo portiere quando ero nel mio momento migliore e non mi ha lasciato andare via. Avrei voluto dargli un pugno: se lo avessi fatto mi avrebbe lasciato andare”.
La carriera di Dudek si spegne clamorosamente, finendo a fare il secondo di Reina al Liverpool e con il tecnico che nel 2006 gli nega il trasferimento al Colonia, in Bundesliga, più vicino alla sua Polonia: chiusa la porta dei Reds, però, si apre quella del Real Madrid. Sa che si ritroverà a fare il vice di Iker Casillas, ma giocare con le merengues è il premio per la sua carriera, è il premio per quello che ha fatto fino a quel momento: chiede solo di non indossare la numero 13, perché in Polonia non è usanza per i portieri. Quando viene chiamato in causa risponde presente, riveste il ruolo perfetto del vice. La sua ultima apparizione in campo, appena la seconda nella Liga, è contro l’Almeria: il Real sta vincendo 7-1 e al 77’ Dudek entra in campo per ricevere una standing ovation da parte del pubblico e dei compagni di squadra. L’amore, il rispetto, l’affetto nei confronti di un giocatore che in maniera silenziosa si è accasato tra i grandi campioni e viene tributato dall’applauso di Cristiano Ronaldo, Karim Benzema e Xabi Alonso, un altro eroe di Liverpool.
Quella di Dudek è stata una grande carriera, iniziata in una città di minatori, durante le difficoltà dell’Unione Sovietica e terminata sotto i riflettori del Santiago Bernabeu. Una carriera fatta di momenti, di attimi, costruiti con attenzione e con fatica. Un uomo che ha lavorato sodo per raggiungere la vetta e sfruttare quell’attimo che gli ha permesso di guadagnarsi l’eternità e il rispetto di tutta la Kop.




