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Jens Todt Germany Euro 1996Getty/GOAL

La strana storia di Jens Todt: campione d'Europa 1996 convocato solo per la finale

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Breisgau-Brasilianer, i ‘brasiliani della Brisgovia’. Era questo il soprannome che il Friburgo si era guadagnato negli anni ’90. Una realtà che dal profondo sud della Germania, dalla Foresta Nera, si affacciava alla Bundesliga per la prima volta, proponendo un gioco divertente, d’attacco, con tanta qualità tecnica. Un gioco che al tempo poteva essere definito ‘alla brasiliana’, per l’appunto. Dal 1991 Volker Finke era l’allenatore di quella squadra: sarebbe rimasto alla guida del club fino al 2007, 16 anni. Un’eternità calcistica, ma non dovrebbe stupire particolarmente se si pensa che, ad oggi, Christian Streich ha tagliato il traguardo dei 10 anni da tecnico del Friburgo, il più longevo dell’attuale campionato tedesco. Continuità. Una realtà piccola, una cittadina di 300mila abitanti, che si è tolta la soddisfazione di portare anche un giocatore sul tetto del mondo, Matthias Ginter, a vent’anni: al Mondiale del 2014 in Brasile (e ritorna…), pur senza giocare nemmeno un minuto.

Un tratto comune anche ad un altro titolato “a metà” tra il Werder Brema e il Friburgo: JensTodt, campione d’Europa nel 1996 con la Germania, anche lui senza nemmeno un minuto a referto nella competizione. Anche perché la sua convocazione è stata particolare, per le tempistiche e per la modalità. Il mediano classe 1970 infatti è stato il calciatore numero 23 nel roster tedesco, nonostante il regolamento UEFA ne prevedesse un massimo di 22. È stato convocato con una deroga non ufficiale in caso di infortuni o di effettiva mancanza di un numero sufficiente di giocatori. L’allora CT Berti Vogts lo ha convocato solo per una partita. Solo per la finale. Gli è bastata per festeggiare un titolo storico.

Fino a cinque anni prima, Todt non aveva nemmeno giocato una partita di Bundesliga. Ha dovuto aspettare il 1993, nella sua seconda stagione al Friburgo dopo aver lasciato l’Havelse per volare nella Foresta Nera, con il suo allenatore, il sopracitato Volker Finke. É stato protagonista della prima storica promozione nella massima serie del club, con 11 goal, il suo unico anno in doppia cifra di marcature, anche perché parliamo di un mediano, più che un fantasista. Due anni dopo sarebbe arrivato ad uno storico terzo posto in Bundesliga, miglior risultato di sempre nella storia della società della Brisgovia. Le sue prestazioni non erano passate inosservate al CT Vogts, che lo aveva già coinvolto per delle le amichevoli tra il 1994 e il 1995. Tre presenze in nazionale, nessuna in gare ufficiali. Dopo la chiamata del ’96, non è stato mai più convocato, nonostante sia stato regolarmente titolare nel Werder Brema, prima di terminare la carriera nello Stoccarda.

A Brema, per la verità, ci si era già trasferito nel febbraio del 1996, prima dell’Europeo, diventato celebre soprattutto per l’errore dal dischetto di Gareth Southgate a Wembley che nella lotteria finale dei tiri di rigore aveva mandato la Germania in finale, gettando l’intera Inghilterra nello sconforto. Todt quella partita non l’ha vista dal divano di casa, ma dalla tribuna di Wembley. Insieme ai suoi futuri compagni del Werder, in una gita di piacere per sostenere la rappresentanza Grünweiss formata da Reck, Basler, Bode ed Eilts. In quel momento, comunque, Todt formalmente in alcuni documenti risultava ancora un giocatore del Friburgo — da cui il titolato “a metà” di cui sopra.

Sta di fatto che se il 26 giugno il nativo di Hameln era già a Londra, il 27 giugno intorno alle 20.30 si trovava insieme a sua moglie in un ristorante italiano di Brema. Quando sul suo cellulare, un “enorme Nokia”, come ha raccontato a ‘Sportbuzzer’, è apparso il nome del CT Berti Vogts.

“È andato dritto al punto, mi ha detto: ‘Jens, abbiamo grossi problemi di infortunio, l’Uefa ci permette di convocare un giocatore per la finale, sei tu. Il tuo volo per Londra parte domani da Brema alle 8.00’. La notte dopo ho anche dormito bene, non ero a letto con l’ansia”.

Todt ha pagato il conto, è tornato a casa, ha chiuso la valigia e la mattina dopo è andato in aeroporto. E via verso Londra.

Non è stata una chiamata casuale. La Germania era arrivata alla finalissima falcidiata dagli infortuni. Freund, Kohler, Basler e Bobic fuori per tutta la competizione, Reuter e Andi Möller squalificati. Klinsmann in fortissimo dubbio. Si dice addirittura che Vogts avesse fatto preparare le divise da gioco anche per i due portieri di riserva, Oliver Kahn e Reck, tanto che si trovava a corto di giocatori di movimento.

Anche la Repubblica Ceca, avversaria in quella finale, aveva avuto la possibilità di aggiungere un uomo, ma aveva declinato, senza però avanzare obiezioni rispetto all’aggiunta della Germania. Che rischiava persino di perdere Helmer e Ziege, i quali hanno stretto i denti. Alla fine il recupero di Klinsmann, in grado di giocare da titolare, ha permesso al CT di avere in panchina Schneider, Bode e Oliver Bierhoff. Todt non risulta nelle distinte ufficiali. Non c’è stato effettivo bisogno di lui: tre riserve di movimento per tre cambi. Il minimo indispensabile.

Paradossale, più o meno, che proprio dalla panchina siano arrivati i due goal che quella finale l’hanno decisa. A firma di Bierhoff, uno che in Bundesliga ci era soltanto passato. Un lungagnone che al 69’ aveva preso il posto dell’estroso Mehmet Scholl, mentre all’intervallo Marco Bode aveva preso il posto di Eilts, l’ennesimo infortunato della cavalcata diventata poi trionfale.

Germany 1996Getty

Grazie a Bierhoff, Jens Todt è a tutti gli effetti campione d’Europa. Senza nemmeno essere entrato nelle distinte di gara. Arrivato da un momento all’altro, ha fatto giusto in tempo a prendere parte alla festa selvaggia “nella quale si è distinto Basler” e con il cancelliere Kohl in mezzo a giocatori che bevevano e fumavano sigari nella vasca.

Una finale a cui l’oggi 52enne è legato da ricordi personali, ma non ‘ufficiali’: né foto di rito, né medaglie.

“Non sono neanche nelle foto insieme alla Regina sul palco col trofeo. Qualcuno è venuto da me, credo fosse Sepp Maier, e mi ha detto: ‘Dobbiamo stare attenti, non siamo sicuri che ci siano abbastanza medaglie. Non vogliamo permetterci alcun passo falso in termini di protocollo. Se la Regina si trova senza medaglia da darti è un problema. Faresti meglio a restare in campo’. Ho ricevuto la mia medaglia il giorno dopo. Purtroppo mi è stata rubata in casa negli anni seguenti.
Sono stato orgoglioso di essere diventato campione, mi sono fatto trovare pronto. Ma ovviamente so anche che il lavoro è stato fatto dagli altri. In ogni caso, sono molto contento che il CT abbia pensato a me per primo”.

La sua carriera, che rimarrà per sempre legata a quell’aneddoto oltre che al Friburgo, è proseguita con la vittoria di due DFB-Pokal, salvo poi chiudersi a 33 anni a causa di un grave infortunio alla caviglia. Nel frattempo era diventato poco più che una riserva a Stoccarda. Seppur con un titolo di campione d’Europa, nella maniera più clamorosa possibile. Miracoli della Foresta Nera.

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