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Jens Petter Hauge GentGetty Images

L'Europa League a Francoforte, le panchine in Belgio: Hauge alla ricerca di sé stesso

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È il 24 settembre 2020, San Siro è vuoto e si gioca il turno preliminare di Europa League più tardivo di sempre. Il calcio è appena ripartito dopo il Covid, i soldi sono quelli che sono e la caccia al talento di grido low cost è apertissima. Quella sera il Milan batte 3-2 il Bodø/Glimt, ma soprattutto si invaghisce di Jens Petter Hauge, ala mancina di piede destro che segna pure un goal. Più che invaghirsi, si convince a puntarci: quel ragazzo neanche ventunenne aveva colpi che lasciavano il segno. Ed è per questo che oggi, due anni dopo quel giorno, è veramente paradossale pensare che faccia panchina al Gent, a metà classifica della Jupiler League belga.

Meglio andare per gradi. Hauge nel 2020 è uno dei grandi talenti della squadra che sarebbe diventata campione di Norvegia a fine anno. Nato e cresciuto a Bodø, fa parte della nuova generazione calcistica norvegese - la "generazione Haaland", potremmo dire. Lui, Solbakken, Botheim, tutti ragazzi che sono diventati grandi nel club che negli ultimi mesi si è fatto conoscere anche in Italia, diventando particolarmente popolare a Roma per aver anche inflitto 6 gol ai giallorossi. Traguardi difficilmente dimenticabili. Hauge però nel 6-1 rifilato a Mourinho non c’era, già da un po’.

Il Milan lo aveva acquistato subito e messo a disposizione di Pioli. Al suo primo e unico anno rossonero ha messo insieme 24 presenze e ha segnato 5 goal (3 dei quali in Europa League), molti entrando dalla panchina. Sembrava avere un ruolo definito nella squadra, seppur non primario. Il suo talento appariva comunque piuttosto evidente.

“Sono sicuro che non abbiamo visto ancora tutto il suo potenziale - diceva di lui Pioli a dicembre, dopo la rete segnata allo Sparta Praga in Europa League - ha fatto un goal bellissimo, ma nella prestazione sono sicuro che può fare ancora meglio. Ha tanti margini di miglioramento”.
Hauge - Milan Celtic - Europa League 2020/21Getty Images



Nonostante il ragazzo studiasse italiano da tempo, anche sugli aerei dopo le partite, la permanenza in estate sembrava un’ipotesi lontana dalla realtà e così è stato. A luglio è arrivata un’offerta dell’Eintracht Francoforte superiore ai 10 milioni tra prestito e diritto di riscatto, quasi non rifiutabile per il ragazzo che di fatto occupava lo stesso slot di Rafael Leao. Molti erano pronti a scommettere che le Adler e la Bundesliga fossero la destinazione ideale per il ragazzo, a cui di fatto mancava solo continuità in campo. I colpi c’erano.

C’era però anche un fattore da tenere in conto: il campionato norvegese si gioca normalmente da aprile a novembre. Il Covid nel 2020 ne ha ritardato l’inizio a giugno. Quando Hauge è arrivato al Milan, veniva da 4 mesi di calcio senza pause. E nemmeno al Milan ne avrà. Per questo ad un certo punto il suo minutaggio è crollato: gli è stato dedicato un percorso di preparazione fisica personalizzata. A Francoforte i frutti di questo lavoro si sono visti, almeno all’inizio.

“Hauge è arrivato quando la stagione stava per finire”, aveva spiegato Pioli nella primavera del 2021, “è fisiologico che abbia un calo, ma sta recuperando brillantezza”.

Due gol solo ad agosto, alla prima e terza giornata. Hauge è entrato facilmente nella formazione titolare di Oliver Glasner, anche lui appena arrivato in Assia e ancora alla ricerca di un’identità tattica per la sua squadra. Il norvegese giocava perlopiù a destra, posizione a cui non è proprio abituato ma in cui si adattava abbastanza bene. All’inizio. Poi, alla lunga, qualcosa è iniziato a mancargli. Il tecnico austriaco ha varato il 3-4-2-1, nelle rotazioni dell’attacco gli venivano stabilmente preferiti Kamada, Borré e Lindström, che nella seconda parte di stagione sono diventati titolari inamovibili, specie nella cavalcata che porta alla vittoria dell’Europa League.

Qualche panchina, alcuni infortuni muscolari, poca continuità della squadra. Sta di fatto che le reti contro Dortmund ed Arminia Bielefeld restano le uniche in Bundesliga, a cui si aggiunge un centro in Europa League a inizio novembre. Un po’ poco. I mesi finali, in primavera, sono accompagnati da alcune buone fiammate e altre partite decisamente insufficienti. Diventato a tutti gli effetti una seconda linea, seppur sia di fatto il primo cambio sulla trequarti. 

“Parliamo di un giocatore molto diligente in allenamento così come in palestra, quando entra in campo porta slancio, è dinamico, determinato. Sono felice che sia qui” diceva di lui Glasner.
HaugeGetty Images

Gioca, dispensa un paio di assist, vince l’Europa League giocando in finale, ma da potenziale “fan favourite” come sembrava essere potenzialmente all’inizio è diventato quasi inviso ai fan. Non per una scarsa volontà, ma semplicemente perché le gambe non sembrano andare più e nemmeno la testa: pochi cambi di passo, tanta confusione, spunti rimasti in canna. Un giocatore diverso da quello che si ricorda al Milan.

11 partite da titolare su 38 complessive, un discreto minutaggio ma con un ruolo che non gli si addiceva. Forse per colpa di una posizione un po’ centrale rispetto alle sue abitudini in cui non poteva esprimere la sua progressione e doveva più che altro giocare nello stretto, forse perché molto spesso è stato utilizzato sul lato destro del campo anziché sul sinistro, dove certamente si trova meglio, forse perché fisicamente non ha ancora trovato un ritmo, il suo ritmo. Si è messo l’Europa League in bacheca, ma restava il senso di insoddisfazione e incompiutezza generale.

Per questo non è giunta come una sorpresa la decisione del club di mandarlo in prestito al Gent per mettere minuti nelle gambe, avere continuità e provare anche a cambiare aria, in quella che secondo il ds dell’Eintracht Markus Krösche era una “destinazione ideale per il suo sviluppo e per trovare continuità”. Lo stesso Krösche ad aprile aveva detto che in Hauge vedeva “un grande potenziale” e che voleva “tenerlo a tutti i costi”.

In Belgio però le cose stanno andando ancora meno bene. Nonostante una squadra senza una rosa ricca di stelle, con molti talenti giovani e veterani, Hauge non è affatto riuscito ad avere un approccio positivo nella sua nuova avventura.

Mai titolare in campionato, finito anche in tribuna in un paio di occasioni, titolare soltanto in Conference League con la sensazione che sia più che altro una sorta di “contentino”. Il suo allenatore Vanhaezebrouck è un cultore del 3-4-1-2, modulo da cui raramente in carriera si è discostato, un modulo che non prevede ali e in cui Hauge rischia di fare fatica a trovare una collocazione tattica ideale.

“La sua esperienza e il suo nome contano, ma devi dimostrare qualcosa in allenamento, gli serve tempo per abituarsi a un tipo di calcio difeso. Il campionato belga è diverso, deve fare lo switch mentale. Spero che possa dimostrare qualcosa di più presto, di modo da poterlo reinserire molto presto”.

Se lo augura il Gent (che gli ha affidato la maglia numero 10), ma se lo augura anche l’Eintracht, che sul ragazzo ha fatto un investimento rilevante che per ora non ha ancora portato i frutti sperati: quelle fiammate nel San Siro deserto non sono mai sembrate così lontane come sono oggi.

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