“Kennington, where it started” cantano gli Harlem Spartans, gruppo drill londinese, in uno dei loro brani più noti. Kennington, uno dei quartieri della capitale britannica con il più alto tasso di criminalità. Sulla linea della metropolitana Northern. Kennington, dove è iniziata la storia di JadonSancho. Un bambino che correva nel parco, dando calci al pallone. Sognava di diventare un calciatore professionista insieme al suo amico Reiss Nelson, che viveva poco più a ovest, a Walworth. Si sono conosciuti solo qualche anno dopo, a 10 anni. Ci sono riusciti. Nelson, classe 1999, cerca di ritagliarsi il suo spazio nell’Arsenal. Sancho, invece, è già uomo da cento milioni. Anzi, poco meno, 85. Quelli che ha pagato il Manchester United per il ragazzo d’oro del calcio inglese. Talento generazionale, probabilmente.
Kennington, dove tutto è iniziato. Prima iniziare a giocare nel Watford. Da sud di Londra a nord, fuori dall’area metropolitana della capitale. Ci aveva messo poco ad entrare nel settore giovanile delle Hornets, che lo avevano adocchiato nei tornei locali. Si vedeva: il ragazzo aveva qualcosa di speciale, solo da sviluppare. Il club convinse la famiglia - papà e mamma originari di Trinidad e Tobago - a trasferirsi. Credere nel sogno e nel talento del piccolo Jadon. Ripagato. A 14 anni, la chiamata del Manchester City. Il sogno che iniziava a prendere forma.
Con l’arrivo di Guardiola, nel 2016, per Sancho si erano spalancate nuove prospettive. Si parlava di promozione in prima squadra, di occasioni, di un nuovo contratto. Doveva iniziare la stagione 2017/18 in tournée con i grandi. Alla fine, non se ne fece nulla. Le trattative per il rinnovo naufragarono, si disse per una questione di minutaggio garantito in prima squadra. Alla fine di quell’estate, Sancho firmò con il Borussia Dortmund, che sborsò una decina di milioni di euro per assicurarselo. Una cifra elevata per uno che a livello professionistico non aveva mai giocato neanche un minuto.
"Eravamo arrivati a un accordo, ci eravamo stretti la mano - ha raccontato Guardiola qualche giorno dopo l'addio - Gli avevamo offerto una grande somma. Jadon voleva giocare in prima squadra, ma non posso garantire il posto a nessuno. Di ritorno dalla tournée negli Usa, lui, il padre e l'agente hanno cambiato idea. Cosa possiamo farci?”. Qualche anno più tardi avrebbe detto che “Sancho non ha accettato la sfida di farcela qui”.
Getty ImagesAl Borussia in fatto di giocatori di prospettiva sanno scegliere bene. E infatti. A ottobre gli concedettero di unirsi alla selezione Under 17 dell’Inghilterra per giocare il Mondiale in India, insieme ai suoi coetanei Foden, Brewster, Hudson-Odoi, Smith-Rowe. Una nazionale costellata di talento, della quale Sancho sembrava essere il più brillante. A Kolkata ci rimase giusto il tempo di giocare la fase a gruppi, segnare tre goal e portare i suoi agli ottavi. Poi, richiamato dal Dortmund. C’era bisogno anche di lui. PeterBosz lo voleva per la sfida di Champions League contro l’APOEL in Champions League. La FA non la prese benissimo, ma il club aveva il diritto di richiamarlo. E in ogni caso l’Inghilterra quel Mondiale lo ha messo ugualmente in bacheca. Sancho invece a Nicosia non sarebbe andato nemmeno in panchina.
Poco male. Tre giorni dopo, in trasferta a Francoforte, il super talento ha fatto il suo esordio con la maglia numero 7 sulle spalle. 6 minuti in campo, poi altri 10 col Bayern qualche giorno dopo. Con l’esonero di Bosz, l’arrivo di Stöger e una corsa al titolo ormai sfumata, Sancho iniziò a trovare più spazio. All-in. Titolare col Wolfsburg. Confermato pochi giorni dopo contro l’Hertha. Il primo lampo: parte a sinistra, salta difensori come birilli, offre il suo primo assist da professionista a Kagawa. Per il goal dovrà aspettare ancora tre mesi, passati un po’ in panchina e un po’ in infermeria. Contro il Bayer Leverkusen, la partita dell’esplosione. Da lì in avanti per un anno e mezzo non avrebbe più saltato neanche una partita. Nemmeno le due contro l’Hoffenheim, per lui più speciali di altre, perché sfidava il suo amico fraterno Reiss Nelson, che come lui aveva scelto la Germania per crescere, anche se solo in prestito dall’Arsenal.
Già dalla sua seconda stagione nei professionisti, con l’arrivo di Lucien Favre, è diventato un cardine del Dortmund. Dribbling, goal, assist, accelerazioni. A sinistra e a destra, indifferentemente. A volte mostrando quell’indolenza che caratterizza i talenti cristallini. Come nell’autunno 2019, quando Favre lo escluse dalla sfida col Barcellona e lo sostituì nel Klassiker con il Bayern Monaco dopo 36 minuti per scelta tecnica. In 15 delle 18 partite successive contribuì a 25 goal, tra marcature personali e assist. Ha chiuso con un doppio 17 alla voce goal e assist, il primo inglese a fare almeno 15-15 in una stagione dai tempi di Le Tissier (1995). Quest’anno è diventato il più giovane a raggiungere 50 assist in Bundesliga (in 99 partite). È stato anche il più giovane a tagliare traguardi come i 15 goal nel massimo campionato tedesco. Formalità.
A 21 anni, ha già sulle spalle quasi 140 presenze da professionista, 54 goal, 67 assist e un cartellino del prezzo da 85 milioni di euro. Quelli richiesti dal Dortmund e pagati dal ManchesterUnited che ne farà il grande colpo estate. Sancho sembrava pronto a partire l'estate scorsa, alla fine l’offerta giusta non è arrivata ed è rimasto. Forte di un accordo fino al 2023. Questa è stata l'estate dell'addio. In Germania ha dimostrato di essere un talento generazionale. Il prossimo passo è farlo nel suo paese. Non solo in PremierLeague, ma anche con la maglia bianca dei Three Lions — che ha già vestito in 23 occasioni segnando 3 goal. Anche con quel rigore sbagliato in finale a Euro 2020. Il più grande sogno di un bambino di Kennington. Dove tutto è iniziato.


