“Certo, ci sono posti peggiori dove fare calcio, ma io sono qui per lavorare, mica per piacere”, risponde così Francesco Moriero dalle Maldive. “Chi dice che il calcio maldiviano è di basso livello, parla senza conoscere, dovrebbe prima informarsi. Qui c’è tutto quello che serve ad un allenatore per fare bene, per insegnare calcio, e questo è quello che piace fare a me. Per questo, per me, è come essere in Paradiso. Al di là del mare e delle spiagge, che da uomo del Sud amo, qui si lavora duro, non sono venuto per divertirmi”.
Rivendica così, con grande orgoglio la sua scelta professionale di diventare CT delle Maldive Checco Moriero, che si è già immerso nel Paese che lo ospita e - completamente - nella cultura calcistica che dovrà in qualche modo forgiare, per almeno un anno. Sperando che l’avventura in Paradiso, come lo chiama lui, possa durare molto più a lungo…
Allora, mister, come è nata l’opportunità?
“Ero alla ricerca di un’esperienza all’estero, avevo deciso che per un po’ in Italia non avrei più allenato. Nuno Gomes (ex giocatore della Fiorentina dal 2000 al 2002, ndr) è venuto a sapere di questa possibilità e me l’ha proposta. Io l’ho valutata, ho parlato con i responsabili della Federazione maldiviana ed ho accettato con piacere questa sfida. Il tutto è successo ad agosto, avrei dovuto cominciare il primo settembre, ma poi causa COVID è slittato tutto ad ottobre. Ed ora, finalmente, eccomi qui…”.
L’ha scelta a scatola chiusa, dunque: è stato difficile dire di sì?
“A scatola chiusa direi di no, perché ho fatto tutti i colloqui, ho cercato di capire cosa si aspettassero da me, mi sono informato, ho navigato su internet e mi sono fatto un’idea ben precisa. E devo dire che non sono rimasto affatto deluso. Qui ci sono strutture adeguate, godo dell’appoggio della Federazione, il livello non è così basso come si vuol far pensare, si può proporre un buon calcio. Il rapporto con le istituzioni calcistiche maldiviane è quotidiano, se ho bisogno di qualcosa cercano di accontentarmi. Insomma, ci sono tutte le condizioni per fare bene”.
GettyCom’è stato il primo impatto?
“Bellissimo, stupendo, non può essere altrimenti. Da uomo del Sud amo il mare, ma non è solo quello. Mi sembra davvero di essere a casa: la gente è gentilissima, mi ha accolto molto bene, è ospitale, tranquilla, simpatica. Il calcio, poi, è lo Sport principale, dunque è molto seguito e amato dalla popolazione”.
C’è qualcuno che si ricorda di lei dai tempi dell’Inter di Ronaldo?
“Sembra incredibile, ma tutti si ricordano di me (ride, ndr). Qui sono pazzi per il calcio e soprattutto per quello italiano: è molto seguito ed apprezzato. Il fatto che mi riconoscessero per strada, devo dire la verità, mi ha sorpreso molto, ma mi ha anche fatto tanto piacere”.
Com’è il livello del calcio maldiviano?
“Non so che notizie circolino in Italia, ma chi dice che è di un livello basso, non sa di cosa parla. Ovviamente le scelte sono limitate perché ci sono solo otto squadre, il posto è piccolo e si concentra quasi esclusivamente nella Capitale Malé. Cercherò di visitare tutti i campi di allenamento, di vedere tutte le partite e di conoscere i calciatori il più possibile, ma da quello che ho visto il materiale sui cui lavorare c’è. A livello tecnico, c’è qualità, probabilmente bisognerà lavorare dal punto di vista fisico, perché il calcio moderno lo esige. La cosa più importante, però, è che ho visto grande disponibilità da parte dei ragazzi, un’apertura mentale che mi fa ben sperare: si sono messi subito a disposizione e ho visto grande voglia di migliorarsi. Poi, ovviamente, bisognerà procedere con calma, perché parliamo di semi-professionismo: questi ragazzi lavorano tutto il giorno e quindi non si può pensare di spingere troppo sull’acceleratore, ma il mio obiettivo è farli diventare professionisti nella testa, nell’atteggiamento. Così sono convinto che potremo arrivare lontano”.
Getty/GOALDunque, nessuno fa il calciatore per professione?
“No, al momento no, ma secondo me ce ne sono diversi che potrebbero diventarlo nel prossimo futuro. Abbiamo ad esempio Ali (Ali Ashaf, attaccante classe ’85, ndr) che a livello di statistiche non ha nulla da invidiare a giocatori più blasonati. Sono ragazzi seri, bravi, a cui forse è mancata solo l’opportunità. Io sono qui per insegnare loro la cultura del lavoro, per aiutarli nel loro percorso di crescita e sono convinto che qualcuno troverà il modo di farsi vedere e magari trasferirsi in campionati professionistici”.
Lei ha sempre dimostrato di avere coraggio: ha iniziato addirittura la carriera in Costa d’Avorio e prima di questa opportunità era in Albania: cosa ha trovato all’estero che in Italia le è mancato?
“A me piace insegnare calcio, mi piace lavorare con ragazzi che abbiano voglia di imparare. Quando giocavo io a calcio, non ho mai sentito parlare di tattica, ma oggi l’allenatore è fondamentale, perché la qualità è scarsa, soprattutto in Serie A. Ma non ci sono molti posti dove poter lavorare serenamente e trasmettere le tue idee di calcio. Io ho sempre cercato posti così, al di là di dove fossero. Mi sono sempre adattato e ho sempre pensato che il calcio fosse uguale dappertutto ed è così anche alle Maldive”.
C’è un modello di allenatore al quale si ispira?
“Ne ho avuti talmente tanti che è difficile nominarne uno. Ovviamente, si cerca di apprendere da tutti, poi ci sono quelli con cui leghi di più ed altri meno. Di certo non puoi copiare. Io devo dire che ho avuto dei grandi maestri come Carlo Mazzone e Gigi Simoni, che erano davvero bravissimi nel rapporto umano, a gestire lo spogliatoio e il gruppo”.
Getty ImagesQuesta per lei è la prima Nazionale: è molto diverso il lavoro da CT?
“E’ sicuramente diverso, ma è comunque un’esperienza affascinante. Io sono abituato a dare tutto me stesso quotidianamente. Mi manca il lavoro di tutti i giorni sul campo con i ragazzi, ma siamo in costante contatto, li sento praticamente ogni due giorni. E quando li avrò a disposizione per i raduni, che dureranno 15-20 giorni, darò il 200%”.
Quali sono, invece, le principali difficoltà?
“Non ce ne sono di particolari, se non la lingua. Molti di loro si esprimono in inglese, io un po’ lo parlo, e nel frattempo lo sto studiando, ma spesso bisogna comunque tradurre nella lingua locale, per cui ho un interprete costantemente al mio fianco. Nulla comunque di insormontabile”.
Ci faccia invidia, come occupa il tempo quando non è impegnato come CT?
“E’ chiaro che visto da fuori può sembrare tutto meraviglioso, e lo è, non lo nascondo ma, come ho già detto, io non sono qui in vacanza. Ho ricevuto molte telefonate da colleghi che mi invidiano, che mi chiedono informazioni e scherzano, ma ci sono anche i lati negativi. Sfido chiunque a fare gli allenamenti costantemente con 30° e oltre. Poi, è evidente che nelle mezze giornate libere cerco di approfittare di questo Paradiso, ma non sono certamente qui per divertirmi”.
Tornando al campo: l’esordio è stato per “cuori forti”, come si fa a passare da un 4-0 al 4-4? Cosa ha detto ai suoi giocatori dopo la partita?
“Ho fatto loro i complimenti per come abbiamo giocato, perché la partita poteva finire 12-0. Ero soddisfatto perché ho visto che i ragazzi hanno cercato di seguire le mie indicazioni, si sono applicati e lo hanno fatto anche bene. Poi, ci sta che sul 4-0 ti rilassi un po’, capita anche ad altre squadre più blasonate, figuriamoci se non può capitare a questi ragazzi. Siamo stati puniti su errori individuali, ma io sono qui proprio per questo, per evitare che questi errori si ripetano. Ad ogni modo, sono convinto che se avessimo vinto quella partita contro lo Sri Lanka, avremmo vinto anche il torneo. Invece nella seconda partita contro il Bangladesh, abbiamo perso un po’ di sicurezza e siamo andati sotto 2-1, ma anche in questo caso per alcune sbavature di singoli, dopo aver avuto il 70% di possesso palla. Cose che capitano, ma ho visto aspetti positivi sui quali si può lavorare”.
Getty ImagesQual è l’obiettivo che le è stato chiesto alla firma e qual è quello personale che lei si è posto quando ha accettato?
“Mi è stato chiesto di cambiare un po’ la cultura del lavoro del calcio maldiviano, ma ovviamente è un percorso lungo, che va fatto con calma, perché uno non può arrivare in un posto nuovo e pensare di stravolgere tutto. Cerco di parlare con i ragazzi, fargli capire perché secondo me bisognerebbe fare le cose in un certo modo, vorrei farli diventare professionisti nell’animo, prima ancora che nella vita. Quello che mi piacerebbe fare, è parlare anche con tutti gli allenatori, perché sono convinto che comunque avrò anche da imparare e, magari, qualcosa posso anche trasmettere. Per quanto mi riguarda, vorrei alzare il livello di tutto il movimento e riuscire a portare la squadra a qualificarsi per la Coppa d’Asia”.
Come se lo immagina il suo futuro invece?
“Il mio futuro è oggi. Lavoro in un ambiente stupendo e spero di restare qui a lungo. Per ora abbiamo deciso di conoscerci, e quindi abbiamo firmato solo per un anno, ma la speranza è che loro siano soddisfatti del mio lavoro e che si possa prolungare. Qui mi trovo benissimo e posso insegnare calcio, questa è la cosa che mi rende più felice”.
Poterlo fare in Paradiso, poi, è “semplicemente” un sogno…
