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Rivalità Inter Juve HD GFXGoal

Inter-Juventus, storia di polemiche, liti e tensioni

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Se non è così in termini assoluti, quel che stiamo per scrivere siamo sicuri si discosti poco dalla realtà. Ognuno di noi ha almeno un ricordo, un frammento, anche il riflesso di un pensiero remoto appartenente, strettamente, alla dimensione del periodo tra l’infanzia e l’adolescenza che richiama o che ha per oggetto la partita tra Inter e Juventus.

Anzi, ci spingeremo anche oltre: per molti è stata proprio “la partita”, più di altre. Persino più di quelle della propria squadra, giustificata, forse, dall’aura mistica che ha sempre contraddistinto e accompagnato l’avvicinamento all'evento stesso, dal clima certo e consueto.

Più semplicemente, dalla consapevolezza che una gara così non può non regalare spunti di discussione da sciorinare, con leggerezza o meno, a scuola il giorno dopo. Tra polemiche innocenti e principi di ideologie calcistiche ben definite.

Il “Derby d’Italia” non è una partita semplice: non lo è mai stata. Non può esserlo. Per la storia calcistica e per qualcosa in più: per quel che abbiamo scritto, ben radicato nel vissuto di ognuno di noi, e per l’impatto mediatico e l’influenza che ha avuto su intere generazioni. Seriamente plasmate da goal indimenticabili, liti, polemiche ed episodi destinati a fare la storia.

Persino dal tema politico-sociale che ha caratterizzato la sfida: dalle filosofie aziendali delle famiglie in ballo per tanti, tantissimi anni. Gli Agnelli e i Moratti, a confronto.

È fin troppo banale, forse, individuare nella linea temporale che segna lo scandire delle stagioni calcistiche il punto esatto in cui la rivalità tra Inter e Juventus si è inasprita a tal punto da diventare più iconica di quanto lo fosse già. Il 27 aprile 1998 è una data che la Serie A non ha ancora scordato, per motivi del tutto diversi a seconda della prospettiva: la storia di uno Scudetto segnata da un contrasto in area tra Ronaldo e Mark Iuliano al Delle Alpi e da quello ben più ampio, mediatico, che per poco non fece scoppiare una crisi istituzionale in Federcalcio. Se se ne parla ancora, e se ne parla davvero ancora, un certo peso deve averlo avuto, quell’istante che ha segnato il declino di una “Pax” apparente, ma dal latente fervore.

In verità si è solo trattato di una sorta di reciproco, ma scostante rispetto fondato più sul lato puro del calcio che altro (sassaiole a parte). Anche perché un episodio d’innovativa polemica, in anni in cui l’onore risaltava sull’orgoglioso clamore mediatico, si era consegnato alla storia già diversi anni prima: quando l’azzurro della maglia dell’Inter era talmente chiaro da apparire ben distinto persino sulle pellicole in bianco e nero almeno quanto le fossette sulle guance di Sandro Mazzola o l’oro dei capelli di Giampiero Boniperti.

Tra il 16 aprile e il 10 giugno del 1961 andò in scena uno dei periodi più memorabili con protagoniste Inter e Juventus. I bianconeri guidano la classifica con 2 punti di vantaggio, quando durante la gara di ritorno al Comunale di Torino l’arbitro decide di sospendere il gioco per motivi di sicurezza, a causa di un’invasione del pubblico. Ai nerazzurri il successo a tavolino: il campionato andò avanti, l’Inter scivola più volte, perdendo anche a Catania nel match passato alla storia come quello del “Clamoroso al Cibali” e il 3 giugno la Federcalcio, che aveva come presidente Umberto Agnelli, primo dirigente della Juventus, accoglie il ricorso del club bianconero di rigiocare la partita sospesa e poi vinta a tavolino dagli uomini di Helenio Herrera.

La gara viene fissata per il 10 giugno, ma l’Inter non ci sta: in segno di protesta scende sì in campo, ma con la formazione Primavera, perdendo per 9-1 con 6 goal di Omar Sivori. Nel giorno in cui i destini di Sandro Mazzola e di Giampiero Boniperti si incrociarono: per l’esordio in Serie A del primo e l’addio al calcio del secondo.

Il “Derby d’Italia” ha avuto persino la strana e prepotente forza simbolica che lo ha reso, di fatto, un confronto astratto, lontano dal senso stretto di una partita disputata da 22 giocatori su un prato verde: basti pensare al concetto di “5 maggio” e a tutto ciò che accadde, pur a distanza, in quella folle domenica di Serie A, o a “Calciopoli”, aspetto decisamente slegato dal contesto che ha spostato il tifo fuori dalle aule dei tribunali. Fino a oggi e chissà per quanto altro tempo. Anche in questo senso, sì: quello tra Inter e Juventus rappresenta un unicum del genere, una partita talmente profonda da non potersi permettere limiti canonici.

È, per sempre e in epoca recente, anche il confronto tra Karl-Heinz Rummenigge e Michel Platini, quello tra Del Piero e Ronaldo: il cambio maglia, a distanza di anni, di Roberto Baggio, amato da entrambe le tifoserie, o di Aldo Serena e Marco Tardelli e gli altri. I tradimenti sportivi più o meno lontani, quello di Zlatan Ibrahimovic, o vicini, culminati nel gesto tra panchina e tribuna all’Allianz Stadium tra Antonio Conte e Andrea Agnelli.

Forse quest'ultimo episodio offre anche lo spunto necessario per comprendere al meglio il valore ciò che non fa la vita, nella risoluzione di questioni personali irrisolte, lo fa Inter-Juventus. Nel bene o nel male, è persino una gara salvifica

Del Piero Ronaldo Juventus Inter Serie A 1998Getty.

È stata anche parte delle polemiche altrui: quelle del Napoli, ad esempio, che nel 2018 ha guardato in hotel l’Inter-Juventus passato alla storia più per la decisione di Daniele Orsato di non espellere Miralem Pjanic che per la rimonta della squadra di Massimiliano Allegri, o le lacrime finali di Mauro Icardi.

E, fortunatamente, i tanti goal iconici: tre in particolare, di recente. Quello di Francesco Toldo allo scadere, diviso con Christian Vieri, o quello su punizione di Alessandro Del Piero, con tanto di linguaccia. E quello di Maicon: sì, forse uno dei più belli stilisticamente. Palleggio, piccolo sombrero, palleggio e destro al volo, imparabile.

Perché poi, in fin dei conti, non importa quasi più il tifo: Inter-Juventus è qualcosa in più persino dei colori. Né conta dove stia la verità, in uno o più episodi: anzi, se possibile, lo spazio della soggettività quasi assoluta aiuta la costruzione e la narrazione di una delle rivalità più sentite della storia.

È la partita attesa da una giornata, il momento trascorso con il proprio caro, seduti sul divano: i ricordi che rimangono. L’attesa degli highlights in TV, quando i diritti erano questione di pochi e per pochi. La radiolina accesa e le chiacchierata a scuola: al bar o al lavoro. Insomma: una parte di noi.

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