Spesso si pensa che ad indirizzare le fortune di un club siano le decisioni che vengono prese in estate. Inutile negarlo: il mercato e le scelte in certi casi giocano un ruolo dominante. Nel 2018 per l’Arsenal è stato piuttosto l’inverno ad essere a suo modo game-changer. Via Giroud e Alexis Sanchez, dentro Aubameyang e Mkhitaryan. Era un momento chiave per la squadra che si preparava a salutare Arsène Wenger. Soprattutto perché il già citato Sanchez andava a scadenza di contratto e non voleva saperne di rinnovare. Per cui, ecco il ribaltone. E poteva essere ancora peggio.
L’1 febbraio 2018, i Gunners hanno annunciato il rinnovo di contratto di Mesut Özil. Insieme al cileno era l’uomo su cui si reggeva l’attacco, la superstar acclarata e acclamata. Non amato da tutti i tifosi, per la verità. Anzi, alcuni avrebbero visto di buon grado una sua partenza, ritenendolo troppo pigro. La sua fantasia però era davvero una chiave per l’attacco dei londinesi. E quel rinnovo (fino all’estate 2021) sembrava essere davvero un nuovo inizio, in positivo. Era difficile immaginare che sarebbe stato sì un nuovo inizio, ma l’inizio della fine.
ÖZIL E L’ARSENAL, UN FINALE DIFFICILE
7 marzo 2020, l’ultimo weekend calcistico in gran parte d’Europa prima dello stop causato dallo scoppio della pandemia. L’Arsenal ha battuto 1-0 il West Ham grazie a un goal di Alexandre Lacazette. Mesut Özil ha fornito l’assist decisivo, una sponda di testa. Probabilmente l’assist più facile dei 71 nella sua carriera londinese. Era diventato un titolarissimo dopo aver iniziato la stagione da epurato. Una decisione presa da Unai Emery, lo stesso che lo ha reintegrato. Ljungberg ad interim prima e Mikel Arteta in pianta stabile poi lo hanno rimesso al centro. Difficile escludere il numero 10, il principale ispiratore e l’uomo più pagato dello spogliatoio (si parlava di 20 milioni lordi l’anno).
Quel 7 marzo 2020, Özil ha giocato la sua ultima partita con la maglia dei Gunners.Nel post lockdown non ha mai più messo piede in campo. Un paio di panchine, prima dell’esclusione definitiva di Arteta, colui che lo aveva rimesso al centro, che gli aveva dato un ruolo da protagonista. Suo ex compagno, per giunta.
GettyDi fatto, nella restante parte del 2020 il fantasista tedesco si è segnalato soltanto per la querelle legata a Gunnersaurus, alla mascotte del club che era stata tagliata dalla società nell’ambito di un grosso numero di tagli al personale che hanno seguito la situazione Covid. Il numero 10 si era offerto di pagare lo stipendio di tasca sua. Non è ancora chiaro chi gli paga lo stipendio, ma la mascotte è tornata.
Dopo 10 mesi a guardare, a twittare e sostenere la squadra via social - per l’inizio della stagione 2020/21 era stato persino escluso dalle liste, non iscritto - l’addio. Al termine di un lungo braccio di ferro: il classe 1988 non voleva andarsene. Lo aveva ribadito anche il suo agente a 'Fanatik'.
“Ha ancora 6 mesi di contratto, di certo gli manca giocare, ma sta lavorando duro per indossare di nuovo la maglia dell’Arsenal. Niente cambia, completerà la sua stagione all’Arsenal, anche se ha ricevuto offerte da tutto il mondo”.
Il club, invece, voleva liberarsi del suo ingaggio. Compromesso raggiunto a gennaio, con il passaggio al Fenerbahce, il club del suo cuore in Turchia.
“Le ho provate tutte, gli ho dato più opportunità che potessi. Sono stato paziente. È un giocatore che appartiene al club, ma io devo fare le mie scelte”, ha dichiarato Arteta a 'Sky Sports' qualche mese prima dell’addio dell’ex numero 10.
ÖZIL, LA SEPARAZIONE CON LA GERMANIA
Se quello con l’Arsenal è stato un addio doloroso, ancora peggiore è stato quello con la Germania. A fine maggio 2018 una sua foto insieme al presidente turco Erdogan scattata ad un evento benefico ha provocato polemiche. Un mese dopo, la Mannschaft avrebbe vissuto uno dei peggiori fallimenti della propria storia calcistica con l’eliminazione ai gironi al Mondiale di Russia 2018, uscendo contro Svezia, Messico e Corea del Sud, non di certo tre armate. Di quelle tre partite, Özil due le ha giocate dal primo minuto, le due sconfitte contro Messico e Corea. Nella seconda ha anche fornito una decina di key passes che non si sono mai trasformati in assist. È stata l’ultima delle sue 92 presenze.
Un mese dopo, verso fine luglio, il calciatore ha pubblicato una lettera aperta sui propri profili social in cui manifestava la propria volontà di lasciare la nazionale, non sentendosi più orgoglioso di vestire quella maglia. In poche righe Özil ha sparato a zero contro gli alti dirigenti della federazione tedesca, compreso il presidente Reinhard Grindel.
“Era molto più interessato a parlare delle sue idee politiche e sminuire la mia posizione. Sapevo che mi voleva fuori squadra dopo quella foto, ma Löw e Bierhoff (allenatore e team manager della nazionale, ndr) sono stati dalla mia parte. Recentemente ha dichiarato che avrei dovuto spiegare le mie azioni e mi ha additato come il colpevole dei risultati ottenuti in Russia. Per Grindel sono tedesco quando vinciamo, sono immigrato quando perdiamo. Criticarmi e prendermi di mira per le origini della mia famiglia significa andare oltre il limite”.
GettyPer colpa di quella foto con Erdogan (“Non mi importava chi fosse il presidente, mi importava che fosse il Presidente”) Özil ha subito anche ripercussioni pesanti come la cancellazione di diverse attività benefiche, anche nelle scuole, per “paura dei media e delle ripercussioni”.
Il suo addio era stato accolto con solidarietà da alcuni compagni di squadra come Jérome Boateng, mentre altri lo avevano criticato, su tutti Toni Kroos, ma anche l’allenatore Joachim Löw aveva raccontato di “una telefonata che mi ha promesso e che Mesut non mi ha mai fatto”.
IL FENERBAHCE, GIOIE E DOLORI
“Questo è un club che amo, darò il mio massimo, spero che tutto vada per il meglio”.
Con queste parole nel gennaio 2021 Özil aveva salutato il suo arrivo nel Fenerbahce, la sua prima esperienza in un club turco, il paese d’origine della sua famiglia. È nato e cresciuto in Germania e ha sempre rappresentato la nazionale tedesca, ma non ha mai nascosto l’amore verso la sua terra di origine. Ha scelto il numero 67, le prime due cifre del codice postale di Zonguldak, la città da cui proviene la sua famiglia.
Le sue prestazioni, per la verità, non sono state particolarmente brillanti. Per il suo primo goal ha dovuto attendere 8 mesi. Ha segnato contro l’Adana Demirspor - la squadra di Balotelli - con un semplice tap-in interrompendo 18 mesi di digiuno. Il goal decisivo per vincere la partita, anche una sorta di liberazione. Si è ripetuto in altre due occasioni, compresa la gara di Europa League contro l’Eintracht Francoforte. Una partita ovviamente speciale, perché giocata in Germania. Un paese con cui i rapporti, dopo quello strappo del 2018, non si sono mai ricuciti nonostante la volontà di Löw e dell’ex presidente della DFB Fritz Keller di provare a mettere una toppa.
GettyLe controversie non sono in realtà finite, anzi. Il 3 ottobre è rimasto in panchina per 90 minuti contro il Kasimpasa essendo in fase di recupero da un’influenza che lo aveva tenuto fermo anche nel match contro l’Olympiakos di pochi giorni prima. Si è riscaldato per 40 minuti, ma l’allenatore Vitor Pereira non lo ha mai chiamato per entrare in campo. Non l’ha presa benissimo, visto che a fine partita avrebbe lanciato la pettorina verso il suo allenatore. Per riportare l’ordine è intervenuto il presidente Ali Koc, che ha dichiarato che “il più grande desiderio di Özil è aiutare il Fenerbahce”.
A 33 anni, l’ex star del Real Madrid continua nella sua discesa, alternando colpi di classe (sempre meno) a giornate da dimenticare. La continuità non è mai stata il suo forte. Ma da quell’1 febbraio 2018, qualcosa è cambiato. E ormai è già troppo tardi per far tornare tutto come prima. In Inghilterra in molti si domandano se Özil per l'Arsenal sia stato una star o un rimpianto. Forse la risposta sta esattamente a metà.
