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I 43 anni di Guy Roux sulla panchina dell'Auxerre, una leggenda del "vecchio" calcio

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Sulle tribune dello stadio “Abbé-Deschamps”, come anche nei vicoli di Auxerre, tra il 2011 e il 2012, non era poi così raro sentir invocare il nome di Guy Roux, seriamente o meno. Perché, in fin dei conti, questo si fa se per 32 anni consecutivi stai in Ligue 1 (o, prima, in Division 1) e d’un tratto ti ritrovi coinvolto in una cruda lotta per la salvezza in Ligue 2.

“Volevo coinvolgerlo nel progetto del club, ma nessuno ha voluto darmi ascolto: ho l’impressione che venga portata avanti una politica della terra bruciata. Non si tratta di rinnegare il passato, ma ci sono stati molti allenatori dal 2005”.

Sono passati pochi mesi dal suo esonero, ma quel che Jean-Guy Wallemme, tecnico dell’AJA per 10 gare di quella maledetta stagione 2012/13, non ha precisato, è che sì, è vero, dal 2005 sulla panchina dell’Auxerre si sono succeduti tanti allenatori, ma nessuno, proprio nessuno, è mai riuscito a sfiorare anche solo l’idea di poter raggiungere Roux.

Guy sembra, per tutta la sua carriera, un personaggio uscito direttamente da un cartone animato francese: il naso “importante” si impone su un viso caratterizzato da occhi piccoli e un sorriso buffo. La corporatura tutto fuorché agile suggerisce, al suo posto, un passato da centrocampista recupera palloni, terminato a 23 anni. Nulla da segnalare, in questo senso.

Nella storia dell’Auxerre, però, c’è un “prima” e un “dopo Guy Roux”: se è vero, com’è vero, che dei 117 anni del club della Borgogna 43 sono stati vissuti con l’allenatore di Colmar in panchina. Quasi un terzo dell’intera storia di una società calcistica, che dall’arrivo di Roux inizia a scalare le gerarchie del calcio francese. Il fatto è che a raccontarla, una roba simile, può apparire anche surreale, ma immaginate: nel ’61 Roux gioca ancora, al Limoges, ma non perde occasione per seguire qualche gara dell’Auxerre, compresa l’amichevole contro Crew Alexandra. Agli inglesi, però, manca qualche giocatore: per il buon Guy è insieme un buon modo per tenersi in forma e una maniera alternativa per allenarsi in uno stadio che conosce bene, avendoci giocato fino a qualche anno prima. Jean Garnault, presidente del club francese, pensa che sia una buona occasione per offrirgli di tornare all’AJA, ma Roux lo spiazza.

“Prendetemi come giocatore-allenatore: rinuncerò ai premi partita, mi accontenterò di un compenso di 600 franchi”.

Ha ancora gli scarpini allacciati quando prova a convincere Garnault, non convintissimo dell’idea “fuori tempo” di un ragazzo di neanche 23 anni. L’unico a comprendere il suo potenziale è Jean-Claude Hamel, membro del direttivo, che dopo aver letto la lettera di 6 pagine che Roux ha redatto descrivendo il suo progetto sportivo per l’Auxerre, convince la dirigenza a ingaggiarlo. Ovviamente per 600 franchi al mese.

Da un punto di vista simbolico si potrebbe dire che il destino calcistico di Guy Roux è stato scritto, e previsto, nel fortissimo legame con Frederic-Auguste Bartholdi, ma soprattutto con Colmar, vittà che ha dato i natali a entrambi. Bartholdi non è un uomo qualunque, per la storia dell’umanità: è il creatore della Statua della Libertà, donata dai francesi agli Stati Uniti. Ma questo rimando simbolico non rende ancora l’idea, almeno quanto la gara del 16 giugno del 1979 che, in qualche modo, muta la considerazione che il calcio francese aveva, fino a quel momento, dell’AJA: la squadra di Roux è al quarto anno assoluto in Division 2. Prima solo le categorie minori. Partecipa alla Coppa di Francia e supera Chaumont al primo turno: al secondo batte lo Stade Quimpérois, agli ottavi il Montpellier. È già un sogno essere arrivati ai quarti, ma l’Auxerre supera anche il Lille, pareggiando al ritorno in casa dello Strasbourg, con un 2-2 che gli apre le porte della finalissima del Parc des Princes.

Davanti agli uomini di Roux c’è il Nantes di Jean Vincent che un anno dopo si sarebbe laureato laureato campione di Francia: al termine dei 90 minuti il risultato è di 1-1, con la rete di Mesonès che pareggia quella di Pècout e illude l’AJA. Ai supplementari finirà 4-1 per “les canaries”. C’è di più, comunque, in questa impresa. Un anno prima lui e alcuni giocatori dell’Auxerre vengono scelti da Jean-Jacques Annaud come parte del cast di “Coup de tete”, il racconto immaginario dell’AS Trincamp, una piccola squadra destinata a vincere la Coupe de France. Il caso, visto il cammino della formazione di Roux, fa sorridere. Ha donato la "libertà" di sognare.

Guy Roux AuxerreGetty

È un segnale forte, comunque: il preludio a qualcosa di grande. Alla stagione successiva, quella della promozione in Division 1, conquistata arrivando a pari punti con l’Avenir Avignonnais. Non è un uomo semplice, Guy: adora l’arte, segue gli altri sport, soprattutto il ciclismo. Viaggia tanto, soprattutto per formarsi: segue i Mondiali in Inghilterra, nel 1966, finanziando il suo viaggio lavorando come corrispondente per “L’Yonne Republicaine”, anni dopo è in Argentina per i Mondiali del 1978. Insomma: si ciba di calcio. E, soprattutto, non lascia in pace i propri giocatori.

“Vorrei dirti che è un segreto professionale, ma sì, è vero, seguivo i miei giocatori in discoteca. Come facevo? Leggevo i loro contachilometri. Andavo a casa loro alle 8 di sera e leggevo il contachilometri. Scrivevo la cifra: poi tornavo alle 7 del mattino e sapevo dove erano stati”, ha raccontato nel 2021 a Brut.

Sotto la sua guida ha avuto giocatori incredibili: Eric Cantona, Jean-Marc Ferreri, Taribo West e Djibril Cissé sono solo alcuni della lunga lista, tutti gestiti nella stessa maniera. Con cura e attenzione: e qualche pedinamento.

“Quando arrivavo in discoteca il DJ metteva una canzone che conoscevano: era un segnale, la metteva e loro si nascondevano in bagno o nel retro del locale”: anche questo fa parte di un calcio “vecchio”, ma efficace.

Non si vince per caso, ma con cura. Guy Roux è stato anche questo: nell’aprile del 1996 si presenta dinanzi a uno stregone che giurava di poter guidare il pallone con lo sguardo, a suo piacimento. L’allenatore lo piazza in tribuna per tutte le gare, portandoselo a sue spese: qualche mese dopo l’Auxerre alza al cielo sia la Division 1, per la prima volta nella sua storia, che la Coupe de France, battendo in finale il Nimes. È un sogno che si realizza, ma anche il culmine del progetto sportivo di un uomo che, con il cappellino di lana in testa, aveva previsto tutto, scrivendolo in una lettera di 6 pagine spedita 35 anni prima alla dirigenza.

Nel 2000, dopo 39 anni di fila, decide di prendersi un anno sabbatico perché “stanco”: cela malamente un problema al cuore che si presenterà un anno più tardi, costringendolo a un’operazione d’urgenza con conseguente bypass coronarico. Il tutto, però, dopo essere tornato sulla panchina dell’AJA. Ci rimarrà fino al 2005, dopo aver sfiorato più volte la guida della Nazionale francese: terminati i 43 anni sulla panchina dell’Auxerre Guy Roux non può più allenare. Lo dice il regolamento: superati i 65 anni non si può.

Il fatto è che in Francia Guy non sarà mai un tecnico come tutti gli altri: lo vuole il Lens, nel 2007. Vengono interpellati sia il Comitato olimpico francese che il presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy. La Federcalcio gli concede lo status di allenatore, ma la sua avventura dura solo 7 partite. Giusto il tempo di ricordare a tutti che se avesse voluto avrebbe potuto cambiare le sorti di un altro club, come quelle dell’Auxerre, che dal 2005 invoca ancora il suo nome, pur essendo tornato in Ligue 1 (al termine della stagione 2021/22) dopo un vero e proprio calvario, ripartendo dalle macerie di quello che aveva costruito Guy Roux. L’allenatore “padre” e “padrone” più longevo e fedele della storia del calcio.

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