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Xherdan Shaqiri Wolfsburg Inter 2015Getty

La folla di Malpensa e il guaritore miracoloso: i "bizzarri" sei mesi di Shaqiri all'Inter

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Il 21 gennaio del 2015 qualcuno, tra i tifosi dell’Inter, deve aver pensato che forse, dopo anni di delusioni e meteore, il Dio del calcio aveva deciso di consegnargli il giocatore della svolta: finalmente. Ma l’interismo non si può spiegare, proprio come l’avventura di Xherdan Shaqiri in nerazzurro. Proprio come quel 21 gennaio del 2015.

La formazione allenata da Roberto Mancini è impegnata a San Siro, in una serata come al solito freddissima: un mercoledì di Coppa Italia di quelli che sbatte sui denti stridendo come poche altre cose al mondo. L’Inter, comunque, a San Siro vince 2-0: la rete del vantaggio, arrivata al 71’, è la sintesi di poche settimane incredibili che avrebbero irrimediabilmente illuso i tifosi nerazzurri per tutto il resto della stagione.

Shaqiri viene schierato in campo dal primo minuto in una trequarti, alle spalle di Mauro Icardi, completata da Mateo Kovacic e da Lukas Podolski. Ecco, l’altro elemento chiave per comprendere meglio questa storia: i due arrivarono sostanzialmente insieme, consegnando linfa vitale alle speranze di ripartenza dopo anni di delusione. Uno il 5 gennaio, il tedesco, l’altro il 9: entrambi, comunque, accolti nella stessa maniera. Folla oceanica all’aeroporto di Malpensa, cori e sciarpa al collo.

Per uno strano motivo, i loro destini si incrociarono sulla via che porta a San Siro, culminando il loro incontro proprio contro la Sampdoria: Shaqiri serve un pallone rasoterra per Podolski che lo stoppa in area e lo restituisce allo svizzero che batte Romero con il mancino. È, forse, la migliore azione dell’Inter vista su un campo da calcio in quella stagione: e questo la dice lunga.

Ritornando al 9 gennaio, le immagini presenti su YouTube sono sostanzialmente il miglior modo per finire stesi a letto con un po’ di nausea: non per la qualità, né per il girato, quanto per i movimenti a cui è stato costretto questo o l’altro cameraman, travolto dal fiume in piena di tifosi che volevano anche solo sfiorare Shaqiri. Che no, non era un giocatore normale.

Aveva vinto tutto con il Bayern Monaco, pur non essendo un titolare inamovibile: nel 2013, però, c’era quando la formazione di Jupp Heynckes, una delle più solide rappresentanti del 4-2-3-1 equilibrato, batteva il Borussia Dortmund a Wembley riportando la Champions League in Baviera, dopo una sola stagione dalla maledetta finale dell’Allianz Arena. C’era: era in panchina, ma in quell’edizione aveva segnato un goal contro il BATE Borisov ai gironi.

Mancino educatissimo, fisico dal baricentro basso, reso particolare dalla muscolatura imponente: sui social qualcuno scherzò subito riferendosi all’importanza dei suoi polpacci. Resta, anche oggi che gioca in MLS ai Chicago Fire, un giocatore fantastico.

Podolski Shaqiri Inter Sampdoria Tim CupGetty

Ecco, il 9 gennaio del 2015 non aveva ancora compiuto 24 anni, ma non si era del tutto ripreso dai numerosi infortuni muscolari che avevano caratterizzato, in negativo, la stagione 2013/14, passata più in infermeria e in panchina che in campo. Ci tornerà utile saperlo. Pep Guardiola, comunque, non lo vede: alla sua penultima in Bundesliga segna il quarto goal contro l’Eintracht Francoforte, sfruttando il quarto d’ora che lo spagnolo decide di regalargli, facendolo subentrare a Franck Ribery. Va praticamente per metà stagione quasi sempre così: pazienza.

"Là non ero totalmente felice e i dirigenti lo hanno capito: io ho necessità di giocare, solo così posso mostrare quanto valgo ed è per questo sono felice di essere qui. Ho parlato con Mancini: dopo averlo sentito ho avuto chiaro che la soluzione giusta sarebbe stata l'Inter", spiega in conferenza stampa

Le bandiere presenti a Malpensa disturbano i flash dei fotografi e i fari delle telecamere, puntate su un uomo di quasi un metro e settanta protetto da un servizio d’ordine che a fatica riesce ad arginare e respingere giornalisti e tifosi. Subentra al Castellani otto giorni dopo, poi segna contro la Sampdoria: è l’apoteosi.

Lo è anche perché quello di Shaqiri è uno schiaffo simbolico e morale a una Juventus che in quegli anni dominava il calcio italiano, in qualsiasi modo.

“Ho avuto altre offerte: la Juventus era una delle possibilità, ma io ho voluto l’Inter”.I tifosi nerazzurri quasi non ci vedono più.

C’è qualcosa che non va, però: l’esplosività dello svizzero non si vede. Non si nota. A metà febbraio mette in pratica la “settimana perfetta”, siglando due goal contro Atalanta e Celtic, tra Serie A e sedicesimi di Europa League, in pochissimi giorni. Poi scompare gradualmente dal campo: il 24’ della partita contro il Cesena del 15 marzo è sostanzialmente la parola fine e insieme la svolta in negativo della sua esperienza in nerazzurro.

Shaqiri lascia il campo anzitempo per un problema muscolare: salta il ritorno degli ottavi contro il Wolfsburg, temendo una lesione ai flessori della coscia sinistra, ma rientra a sorpresa contro Sampdoria e Parma. Forse troppo frettolosamente: anche perché da quel momento in poi di Shaqiri si sa sempre meno.

Mezz’ora in totale nel mese di aprile, poco più di 100 minuti a maggio: e fine dei giochi. Pochissimo, davvero: la formula del trasferimento obbliga l’Inter a sborsare 15 milioni di euro al Bayern Monaco. In estate passerà allo Stoke City: Shaqiri in Premier League rinasce, ma soprattutto si sbottona.

“Una volta ero infortunato e avrei dovuto essere pronto per la partita successiva, allora mi dissero che c'era un guaritore miracoloso che viveva in montagna”.

No, non è fantascienza. Il racconto dello svizzero a “Blick!” non è neanche il frutto di chissà quale “viaggio mentale”. È parte dell’esperienza all’Inter: incredibilmente.

“Mi son fatto mezz'ora di macchina per farmi manipolare da un vecchio signore, ma non mi ha aiutato per niente”.

A giudicare dai risultati e dal numero di presenze citate prima no, non è servito a molto. “Anche per questo dico che la scelta dello Stoke City è stata giusta: qui abbiamo sette fisioterapisti”, aggiungerà Shaqiri, forse esagerando. Con un "tiro mancino” eccessivo e fin troppo distante da quello che i tanti tifosi presenti a Malpensa avrebbero voluto vedere a San Siro con più costanza. Anche questo fa parte del misticismo attorno allo svizzero: un giocatore fantastico, frenato dai “se” e dai “ma” di una carriera stranissima. Guaritori miracolosi inclusi nel pacchetto.

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