GOALChi è Pep Guardiola? Facile. L'allenatore del secolo, per il Globe Soccer Award. Certo, un secolo un po' strano in termini di tempo. Il mago di Barcellona, l'uomo politico impegnato sul fronte catalano, il meme con le mani sul volto dopo la furia Lewandowski, il condottiero del Manchester, City. Ogni tanto, però, alle nuove generazioni viene sbattuto in faccia, quasi l'interlocutore cercasse di prendere in giro le giovani menti, che Josep da Santpedor - comune di 7000 anime in provincia di Barcellona - è stato anche altro prima di diventare allenatore. Un giocatore d'elite, colpito duramente da delle gambe soggette a continui infortuni. Il capitano blaugrana. Il sogno di Brescia.
Quando i ricordi vengono alla luce, traportati dal vento e dalle parole di chi quell'epoca l'ha vissuta, sembrano magici, perché abbelliti da ciò a cui la mente cerca di aggrapparsi. E così ognuno ha la propria storia di quando il capitano del Barcellona che da centrocampista, intelligente e di costruzione, aveva vinto ogni cosa, dalla Champions, allora Coppa dei Campioni, alla Medaglia Olimpica (sì, maiuscolo) scelse realmente di finire in provincia per proseguire la sua carriera. Al Brescia. Il passaggio successivo alla Roma sembrò quasi routine per alzare l'asticella, per uno come lui.
CAPITOLO UNO, IL SOGNO
Guardiola ha avuto tanto tempo per costruire la sua carriera da allenatore leggendario. Tanti infortuni lo hanno tenuto ai box per mesi nei momenti clou della sua avventura in Nazionale, ad esempio, vista la mancata partecipazione al Mondiale 1998 vinto dal mito Zidane (ci arriveremo dopo) e in quello 2002 in cui a fare la voce grossa e roboante fu Ronaldo e il suo triangolino in cima al cranio. Il millenium bug si rivela essere solo un insettino insignificante e le vite continuano anche dopo il nuovo millennio. Per il centrocampista del Barcellona il terzo, millennio si intende, fa rima con il scivolare sempre più verso un addio ad un team che ama alla follia. Senza essere più ricambiato. Ha appena compiuto trent'anni e si sente di poter dare ancora una mano nonostante tutto. Dal punto di vista del gioco, del marketing, dell'esperienza.
Si tuffano a capofitto le più svariate squadre europee e mondiali, decise a convincere Guardiola ad approdare nei propri lidi. Perché Pep deve giocare per evitare di saltare anche il Mondiale 2002, a cui in seguito dovrà dire addio causa infortunio leggermente citato qualche riga più su. Allora però, nell'estate 2001, Camacho prende da parte il classe '71 spiegandogli che per proseguire con la Nazionale iberica non può rimanere al Barcellona, dove ha perso il posto. Deve andare oltre, passare verso la luce, abbracciarla e allontanarsi dal caldo abbraccio della sua città.
Sono due i campionati che si avvicinano all'orbita di Guardiola. Uno è la Premier League, ben lontana dall'essere la calamita degli anni 2010, ma comunque sempre interessante per un giocatore di tale generazione. L'altra è la Serie A. Ad aprile 2001, a due mesi dal termine del contratto con il Barcellona, si parla di un pre-contratto già firmato con il Parma, in fumo solamente in caso di avanzata inglese o di mancato accesso dei gialloblù alla Champions. Nonostante l'intermediazione dell'amico fraterno Manuel Estiarte, campione di pallanuoto che ha sempre visto l'Italia come sua seconda casa, alla fine il Tardini salta. Per la seconda volta, visto che quattro anni prima il centrocampista arrivò ad un centimetro dall'essere allenato da Carlo Ancelotti. Poi Guardiola decise di proseguire a Barcellona, posticipando il suo arrivo in Italia.
Arrivo in Italia che nel 2001 sembra fatto per la seconda volta, alla Juventus. Madama sa che Guardiola vuole giocare con Zidane, è il suo sogno. I bianconeri sono continuamente protagonisti in Europa, a livelli molto più alti del Barcellona anni '90. Moggi ci lavora su, ma le strade ogni qual volta stanno per congiungersi, arrivano ad un bivio oscuro in cui tutto viene rivoltato, tornando all'inizio della trattativa, ad un punto morto. E così c'è spazio per i sogni, che diventano realtà ancora una volta a Brescia. Gino Corioni ha già portato Roberto Baggio in città ed ora, un anno dopo, punta al bis:
"Guardiola è un sogno, ma sognare è bello. E il sogno più bello e realizzare i sogni. E' un obiettivo difficile, forse troppo grande per il Brescia, ma speriamo di prenderlo, sarebbe un gran colpo".
Se Parma e Juventus non diranno mai chiaramente di essere in contatto con Guardiola, il Brescia, tramite patron Corioni, ammetterà candidamente a metà settembre 2001, tra occhiolini, bastoni alle aspettative e carote alle speranze, di puntare il centrocampista. Il quale appena cinque giorni le dichiarazioni del presidente, firma con le Rondinelle un contratto annuale.
CAPITOLO DUE, LA REALTA'
Guardiola, capitano coraggioso del Barcellona deciso a giocare il Mondiale e giocare in Serie A dopo il mancato approdo alla corte della Juventus, sposa il Brescia. A Carlo Mazzone il compito di far coesistere i campioni in squadra, dal nuovo arrivato a Roby Baggio, fino a Federico Giunti, altro colpo di mercato approdato in città dopo aver lasciato il Milan.
Problemi per la troppa abbondanza? Al contrario, sor Carletto non vede l'ora:
"Il difficile è mandare in campo chi non sa giocare. Guardiola è un fuoriclasse di valore mondiale e, anche se nel ruolo eravamo già coperti con Giunti, vedrò di inventarmi qualcosa. Questo, del resto, è il mio destino: altri colleghi hanno tali e tanti giocatori che non possono sbagliare; io sono abituato ad aguzzare la mente per ottenere il massimo dal materiale che ho".
Lo stesso Giunti, allora, non può fare a meno di essere il sacrificato. Almeno in parte, visto che nelle idee di Mazzone continuerà a stare in campo, ma in una posizione diversa da quella occupata di solito. Davanti alla difesa c'è spazio solamente per un uomo, che fa rima con Pep:
"Inutile nasconderlo, io e Guardiola abbiamo caratteristiche simili, siamo abituati a giocare davanti alla difesa e a dare i ritmi alla squadra. È chiaro che per farci coesistere Mazzone dovrà inventare qualcosa e, dato che lui può giocare solo al centro, dovrò essere io ad adattarmi. La prospettiva non mi turba. Non possiamo metterci a discuterlo, secondo a nessuno nel suo ruolo quando è in forma".
E così arriva anche Guardiola, per settimane in silenzio, parla da giocare del Brescia. Raccontando di come in mezzo a tante voci, a tante discussioni con i dirigenti delle più svariate squadre, Corioni abbia toccato il suo animo, il suo orgoglio:
"Ho avuto offerte da alcune squadre, italiane e straniere, ma il presidente Corioni è stato più determinato ed è venuto a Barcellona per vedere come stavo e per conoscermi. Io sono qui perché il Brescia è la società che più di altre ha dimostrato di avere fiducia in me. Non so se mi metterei in campo dal primo minuto domenica prossima. Solo oggi ho rivisto la palla dopo tanto tempo: ho bisogno di qualche giorno per capire in quali condizioni sono. E poi devo parlare con Mazzone, che sta lavorando con il suo gruppo ed è normale che punti su quello".
Guardiola non cerca una pensione d'oro, anche perché a Brescia le cifre sono ampiamente più basse rispetto all'ovest, leggasi Juventus, o al nord, inteso come campionato inglese. Vuole giocare, vuole rilanciarsi, vuole provarci:
"Ho volutamente firmato un contratto annuale: se tutto andrà bene, non avrò problemi a fermarmi ancora. Se, invece, qualcosa andrà storto, non sarò un peso per la società. Al Barcellona mi hanno insegnato a giocare sempre per vincere: in allenamento come in partita".
Il 30 settembre Guardiola, fermo da due mesi dopo la fine del contratto al Barcellona, non è ancora al meglio per poter scendere in campo contro l'Atalanta, alla quinta giornata. Deve recuperare il ritmo partita, confrontandosi con Mazzone e il Brescia per valutare al meglio il suo ritorno in campo. Alla settima, finalmente al centro, davanti alla difesa, con Tare e Baggio in attacco, Giunti e Filippini ai suoi lati. 2-2 contro il Chievo, in cui non sfigura, mentre il Divin Codino illumina con un goal e un assist.
Pian piano Guardiola, settimana dopo settimana, prende confidenza con la sua nuova realtà, la sua, quella dei tifosi del Brescia. Con lui in campo Mazzone ottiene otto punti in cinque gare, abbattuto solamente dalla Lazio. Tutto sta andando per il meglio, Camacho già segna il suo nome per il Mondiale. Le Rondinelle volano, Pep ha già dimenticato il vecchio sogno Juventus: quello attuale sembra essere ancora meglio. Poi, il buio.
GettyCAPITOLO TRE, IL CASO DOPING
E' il novembre 2001, e per due gare consecutive Guardiola viene sorteggiato all'anti-doping. Prima contro il Piacenza, dunque contro la Lazio. In entrambi i casi, è positivo. Nandrolone troppo alto e polemiche, mentre lui si difende, proclamandosi innocente. Non verrà mai creduto da nessuno al di fuori di Brescia. Corioni è assolutamente convinto, invece, della sua buona fede:
"O i controlli da noi sono molto più severi che nel resto d'Europa, il che farebbe comunque molto onore all'Italia, oppure i prodotti assunti da Guardiola provenivano da una partita avariata. Una cosa sola è certa, ed è l'assoluta buonafede del giocatore, che non è certo arrivato in Italia con il bisogno di costruirsi una storia calcistica. Da che assume quegli integratori, tra Barcellona e Nazionale, Pep avrà fatto almeno una trentina di controlli antidoping, e non è mai risultato nulla di anomalo. Che bisogno avrebbe mai avuto di venire al Brescia per cominciare a far qualcosa di sbagliato. Credo che l'involontarietà del giocatore sia ampiamente dimostrabile, e il fatto che sia stato trovato positivo anche dopo Piacenza-Brescia lo dimostra una volta di più".
La bolla che Corioni spera si possa sgonfiare in pochi giorni invece esplode a mo' di vulcano e la procura antidoping del Coni chiede un anno di squalifica per Guardiola, oltre ad una multa salatissima e controlli a sorpresa dopo il ritorno in campo. Giacomo Aiello, capo della procura, ascolta il medico sociale del Barcellona, Ramon Segura, che ha fornito a Pep gli integratori. Analizzati, questi non avranno riscontro. Cioè, al loro interno, non verrà trovato niente di illegale.
Guardiola si dichiara innocente, ma la collaborazione totale con la giustizia, come dichiarerà Aiello, porta ad una richiesta inferiore di squalifica. Pep è sospeso in attesa di giudizio finale, che arriverà a gennaio 2002: quattro mesi di squalifica e ritorno in campo solo a marzo. Secondo la procura il giocatore non sapeva di assumere sostanze illecite, ma è comunque doping colposo. E dunque squalifica.
CAPITOLO QUATTRO, NIENTE COME PRIMA

Fermo nuovamente per mesi, Guardiola non riuscirà più ad ergersi a condottiero del Brescia che nel frattempo senza di lui e l'altro indisponibile Roby Baggio, k.o in autunno, ha vinto solamente tre gare in diciassette match. In primavera segnerà persino due goal, da titolare imprescindibile, senza però ottenere prime pagine e grandi titoli, come invece accaduto durante il caso doping. Perché si sa, la negatività di un evento, attrae molto di più.
Accusato, squalificato, fatto fuori anche dalla Nazionale spagnola, che non può convocarlo per Giappone-Sud Corea 2002 dopo così tanti mesi di inattività in cui altri interpreti hanno preso il suo ruolo. L'esperienza italiana dunque fa anche rima con ultime gare ufficiali con la rappresentativa. Il contratto con il Brescia si chiude e Guardiola sceglie di allontanarsi, per esorcizzare quella negatività che ha soppiantato l'iniziale positività.
Lo sceglie la squadra più in voga del momento, la Roma di Capello che solamente un anno prima ha vinto il suo terzo Scudetto e pochi mesi addietro ha chiuso il torneo al secondo posto, in quel 5 maggio bianconero di trionfo e neroazzurro di lacrime. Rispetto alle due precedenti stagioni, però, il giocattolo si è rotto e la Lupa non riesce a ripetersi, terminando il campionato all'ottavo posto.
Guardiola è una delle ultime scelte per mister Capello, tanto che il suo utilizzo in giallorosso sarà limitato a sei gare ufficiali: contagocce in Serie A, contagocce in Coppa Italia, contagocce in Champions, con un gettone due anni dopo l'ultima volta. La sua ultima partita in campo europeo, prima del ritorno al Brescia e della chiusura di carriera in Qatar prima e Messico poi.
CAPITOLO CINQUE, RITORNO A BRESCIA E ADDIO
L'era giallorossa dura appena sei mesi, fino a gennaio. Ok, il Mondiale è andato, ok la Spagna è andata, ok il passato da leggenda è ormai un ricordo. Ma Guardiola ha ancora voglia di giocare, di essere felice. E a Roma non può essere nè uno, nè l'altro. Decide così di sposare nuovamente Brescia. Si è sempre trovato bene in città, Mazzone è diventato in poco tempo un maestro con cui vuole ancora lavorare. Non c'è motivo per cui non tornare. Trova braccia aperte e porte spalancate nel gennaio 2003, quando si rituffa per la seconda volta tra il popolo del Rigamonti.
Sulla carta è tutto facile, ma sulla carta del contratto romanista non c'è nulla di facile. Cavilli e clausole per liberarlo dalla Roma, un'infinità. Alla fine però i nodi vengono sciolti, la matassa sbrogliata e lo stipendio abbassato. A 32 anni è ancora leader e lo dimostra. Pulisce in modo sublime i palloni per servirli agli avanti, recupera la sfera, lotta e si sbatte senza avere pensieri, senza dover aspettare qualcuno o qualcosa. Si diverte, col sorriso sulle labbra, attorno a chi nel giro di un anno e mezzo lo ha subito adottato come figlio.
Il contratto con il Brescia, il secondo della sua vita, è ancor più corto del primo, di pochi mesi. Mesi in cui Guardiola riuscirà ad assimilare però le tattiche di Mazzone e quelle di altri maestri italiani della panchina, vedendoli da vicino, studiandoli tra un contrasto e l'altro. Nell'estate 2003 la Serie A lo saluta con la mano in silenzio, in sordina, come vecchio campione che ha provato ad essere quello del passato, riuscendoci solo in parte. Quando lascia la Serie A per l'Al-Ahly, la sua penultima squadra della carriera prima dei Dorados in quel di Sinaloa, Messico, nessuno si aspetterà di dover raccontare, dieci anni dopo, le storie dell'allenatore più quotato del pianeta, tra le vie di Brescia. Un periodo, più che nero o bianco, figlio di una scala di grigio.


