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Antoine Griezmann France Croatia 14102020Getty

Il film su Griezmann: ovvero il cammino del più vero tra i calciatori

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Il primo lockdown ha portato i tifosi a dover passare il tempo come mai prima. C'è chi ha trovato nuovi hobby, chi vecchi sbocchi. Chi per qualche ora ha riso per qualche ora davanti ai big del pallone, pronti a raccontare i più assurdi, ma veritieri, aneddoti della propria carriera. Un modo per essere più vicino al pubblico, per abbracciare da lontano chi aveva fame di storie, di racconti. Di fato e destino che si intrecciano. Le storie romantiche sono entrate nuovamente nell'immaginario collettivo, dopo che per anni sembravano spazzate via da negatività e disinteresse, dalla casta del pallone troppo in alto per essere raggiunta. Il boom ha così portato migliaia di persone ad interessarsi maggiormente alle vite dei calciatori, capendo che prima di essere privilegiati erano semplici sognatori, tra grosse difficoltà di vita, contesti difficili e lacrime. Si è tornati indietro, alla ricerca di maggiori dettagli sul passato.

C'è chi è andato il quanto più possibile indietro, scovando anfratti nascosti di giocatori del passato e chi ha optato per la terribile nuova generazione, quella tecnologica, quasi millenial. Poco prima del coronavirus il boom di serie tv e film sul calcio, passato però sottotraccia, prima di esplodere durante le quarantene in giro per il mondo. E così c'è chi ha scoperto per la prima volta, nonostante l'esistenza ormai consolidata e solida, pellicole leggendarie come Febbre a 90, cult come Hooligans e sopratutto i documentari sulle vite dei propri beniamini, quelli maggiormente pregni di aneddoti veri, senza la necessità di romanzare per far scorrere il racconto cinematografico. Il boost in alto l'ha ricevuto Griezmann: è nata una leggenda. Perchè? Per il suo essere autentico e realmente emozionante. Parla di un ragazzo che ce l'ha fatta, nonostante tutto, e si emoziona ancora, ancora e ancora. L'opposto del ghiaccio, il fuoco di chi si scioglie.

Chi è Griezmann? E' un attaccante che ha fatto la storia dell'Atletico Madrid. Ma anche un francese parte dell'eterno-essere secondi di Champions dei señores Colchoneros. E' quello che imita i balletti di Fornite e solleva la Coppa del Mondo. Un Petit Diable che gioca nel Barcellona e aspetta la scintilla per brillare anche in Spagna, dove tutto è nato. Ma questa è solamente la parte più famosa e celeberrima, mai nascosta, bombardata su social, campi da calcio e salotti tv. Dietro, un mondo. Vero.

Il film di Netflix su Griezmann ha una sceneggiatura, ovviamente, ma la stessa vita del ragazzo sembra essere una sceneggiatura. Più di quanto chiunque mai si aspetterebbe, prima di vedere la pellicola. Perchè a vederlo così, il francese può al massimo lamentarsi di aver perso due Champions League, ma nada mas. E invece, ha rischiato di non essere mai un calciatore. Di non essere il simbolo della rinascita della Francia.

L'emozione del film su Griezmann viene proprio da questo, il saper mostrare al mondo che uno dei calciatori più famosi e forti del pianeta è arrivato al top in maniera dura. Dopo una maratona, non dopo uno sprint. Non ha avuto tutto e subito, ha aspettato, figlio del calcio, figlio dei sogni:

"Da piccolo sognavo di essere un professionista, di allenarmi ogni mattina, di vivere di calcio. Era questo il mio sogno".

Una delle prime frasi che apre il film. Ok, quasi fatta, di quelle che si sentono nelle interessantissime (ma proprio tanto) interviste tra un tempo e l'altro, o nell'immediato post gara. Il troppo stroppia, dai. La realtà però stavolta è questa e se si riesce ad andare oltre il desiderio di mettere di cambiare film per un sentore di già visto, la pazienza viene premiata.

Il montaggio di Griezmann: è nata una leggenda, compie grandi salti tra l'infanzia del ragazzo, il suo percoso per diventare fenomeno, e la preparazione al Mondiale 2018, quello, spoiler alert, vinto proprio dalla sua Francia. Nella descrizione del film, Netflix evidenzia come il giocatore abbia compensato "la sua bassa statura con la determinazione e la passione". Altra frase fatta, verissimo. Non rende giustizia alla pellicola, considerando come questa nasconda molto di più.

Una delle perle più importanti del film è sicuramente una delle frasi dell'agente che lo ha scoperto nella prima decade negli anni 2000, Eric Olhats, riguardo quanto ottenuto da Griezmann nella sua carriera:

"Per essere un ragazzo che ha mangiato della merda, tanto di cappello".

Griezmann, infatti, è stato rifiutato più e più volte con i classici le faremo sapere, rivolti al padre, durante i primi anni da giovane calciatore in cerca di squadra. Rifiuti che hanno quasi portato ad arrendersi giocatore e famiglia. Solo uno su mille ce l'ha fa, una frase che si impara, volenti o nolenti. Non quando si è bambini, quando Antoine, nel 1998, gioca per diletto, senza sapere che il mondo del calcio è sacrificio e selezione, non solo uno sport.

Il film mostra una accorata sceneggiatura, inferiore però a quella scritta dal fato per Griezmann. A sette anni Antoine si intrufola tra i suoi idoli, durante un evento della Nazionale francese. E' piccolo, biondo, sorridente. Con la casacca sette, guarda un po', e la casacca della Nazionale francese indosso, decisamente troppo grande per lui:

"Ero già il numero sette, era destino. Mi sono avvicinato a loro grazie all'aiuto di mio padre. Ero con un mio vecchio amico GB, siamo andati lì e ci siamo infilati tra le barriere di sicurezza".

C'è Titì Thierry Henry che lo saluta, per poi firmargli un autografo. Nel raccontarlo Griezmann quasi piange, in un leit motiv di emozione che andrà avanti per tutta la pellicola, mentre nel vecchio mondo del 1998, qualcuno sopra le loro teste, scherza, vedendo, seriamente, il futuro:

"La futura generazione".

Griezmann Real Sociedad 2012Getty Images

Tombola. Una previsione scherzosa, essenziale per far felici i bambini. Storia vera, un decennio dopo. Griezmann cresce e per lui è il momento dei provini, quelli utili ad entrare nelle migliori squadre del paese. Peccato che sia mingherlino e di bassa statura, qualcosa a cui il padre cerca di porre rimedio nell'unico modo possibile: continuando a provare. Del resto, la magia non esiste:

"A partire dai cinque anni non si è più staccato dal pallone. Non pensavo sarebbe diventato professionista, perchè tutti i club l'avevano respinto. Incontri l'allenatore alla fine della sessione e dice che riceverai una letta entro 15 giorni. Poi dopo due, tre settimane, dici a tuo figlio che la situazione non sembra buona. E' stata dura, non c'entra il calcio, i criteri sono che devi essere alto 180 cm e correre veloce. Per lui è stata dura, non era alto nè correva veloce. Siamo stati a Lens, a Montpellier, l'ho portato in tutti i campi della Francia. E' stata dura sentirsi dire sempre no".

Griezmann però insiste, insiste, insiste. Fino all'ultimo tentativo, in cui Olharts rimane estasiato:

"Vedemmo il Montpellier e un ragazzo con le calze diverse, si vedeva che era in prova. Era basso e biondo, insolito, non potevo non notarlo. Finiva spesso col sedere in terra perchè non era atletico, ma aveva una classe innata che non si impara".

E' il 2005, Griezmann si siede in tribuna con un paio di biscotti. Olharts ne chiede uno. Parlottano tra di loro, prima di disquisire con il padre del giovane Antoine. E l'inizio della leggenda, perchè a 14 anni, spaventato ma con il fuoco dentro, lascia Mâcon per i Paesi Baschi, per le giovanili della Real Sociedad.

La storia di Griezmann comincia così ad essere più alla portata di tutti. Gioca con il team spagnolo nelle giovanili fino all'esordio in prima squadra, dove si mette in mostra, conquista le grandi squadre e sopratutto l'Atletico Madrid, con cui vince l'Europa League dopo aver perso due Champions League. Vince la Coppa del Mondo, conquista titoli e titoloni, titoli di capocannoniere e nomination per i più importanti trofei di squadra. Sì ok, tutto bello, ma troppo mainstream e nell'olimpo in cui gli essere umani non sono ben accetti.

Quando gli Dei scendono tra i comuni mortali, sembra quasi strano. Dovrebbe essere la normalità essere come loro, eppure a volte non lo è. Nel film di Griezmann, però, l'idea è proprio questa, che il francese sia un volto celeberrimo, ma voglia essere umano, vista l'emozione che prova dentro e fuori dal campo, nei racconti, nel romanticismo di cui fa parte. Perchè si emoziona nel ricordare la famiglia, viene mostrato in lacrime sull'erbetta, nei ricordi positivi e in quelli negativi. Poco importa.

CAPTURA Antoine Griezmann France Uruguay World CupCaptura TV

Ha le lacrime facili Griezmann, è questo quello che si evince dal film. Forse, bombardati dal calcio in ogni minuto nella giornata, l'intimità dell'uomo prima che il calciatore, e non quella in cui le star si mostrano in ogni ora della propria giornata, è stata dimenticata. Ma qua no, è forte. Dal ricordo dell'amata sorella presente al Bataclan, fortunatamente salva nella terribile giornata parigina del 2015, all'amore per l'Uruguay, la pellicola è una sorpresa che mostra il vero Antoine, che può essere volto millenial nelle sue esultanze, ma anche il figlio di un calcio anni '70, del giocatore piccoletto ma campione, vicino alla gente e alle emozioni.

La Francia lo ha capito all'Europeo del 2016, quello casalingo perso in casa contro il Portogallo, in cui Griezmann divenne capocannoniere, ma secondo dietro Cristiano Ronaldo. Ha riavvicinato la Nazionale alla gente, lui, uomo del popolo. Non viene mai detto chiaramente, ma sembra quasi essere un giocatore operaio, non nel verso senso della parola, ma riguardo l'essere vicino alle masse più di chiunque altro. Perchè i transalpini si innamorano nuovamente della dimenticata rappresentativa di casa solamente quando lo vedono sbattersi più di chiunque da una parte all'altra, en pleurant sotto la pioggia.

Idolo di Francia, ma anche idolo d'Uruguay. Di quelli che ami e odi. Al Mondiale 2018 elimina i sudamericani ma non esulta, rispettoso di amici e maestri, dal fraterno Godin all'insegnante Carlos Bueno, che a suon di consigli e suggerimenti lo tenne sotto la sua ala nei primi tempi alla Real Sociedad. Talmente rispettoso da esultare con la bandiera dell'Uruguay dopo la vittoria del torneo russo, ricevendo anche l'invito del presidente di tal paese, desideroso di averlo a Montevideo per ringraziarlo pubblicamente e bonariamente bacchettarlo per l'eliminazione.

Sembra quasi fuori posto, nel mondo del calcio, Antoine Griezmann. Per la statura, per i modi, per le lacrime. O forse no. Sembra essere tutto attorno a lui, fuori posto il mondo del pallone. Lui, almeno per un'ora di film, ne è il fulcro. E' lo sport che si fa uomo. Facile dirlo, verrebbe da rispondere.

Davanti ad una sceneggiatura, tutti diventano così, buoni, idoli, simboli. E invece no. Tornando all'inizio della storia, serie tv e pellicole sul calcio, racconti e aneddoti nelle dirette e nelle storie di Instagram oramai sono la moda, il presente e il futuro. Risate, tante. Occhi sgranati, continuamente. Ma vere emozioni, linee parallele di sport e ascese che si incontrano, quelle latitano. L'eccezione che conferma la regola, la sorpresa dell'essere emozione, trasfigurata in pallone.

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