Un eroe è un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze. L’aforisma di Joseph Campbell calza a pennello con quanto accaduto esattamente dieci anni fa durante il 'Derby della Lanterna' numero 104. Probabilmente il manifesto più eloquente della contrapposizione tra gioia e dolore proiettate su un campo di calcio. E’ l’8 maggio del 2011 e allo Stadio "Luigi Ferraris" va in scena una stracittadina dall’alto tasso adrenalinico tra due formazioni che si presentano al terzultimo appuntamento dell’anno con umori e prospettive di classifica diametralmente opposte.
Da un lato c’è il Genoa che dopo un inizio shock condito da undici miseri punti nelle prime dieci giornate ha ritrovato la retta via, esonerando Gian Piero Gasperini, e recapitando una squadra tutta da ricompattare nelle sapienti mani di Davide Ballardini. Il normalizzatore per eccellenza. Sotto la guida dell’allenatore romagnolo i rossoblù cambiano marcia, si stabilizzano a centro classifica e mettono in banca una salvezza senza grossi patemi.
Decisamente più delicata la situazione sul versante blucerchiato: in casa Sampdoria quello che si sta consumando ha tutti i connotati dello psicodramma. Una stagione nata con ambiziose mire continentali - nonostante il beffardo ko contro il Werder Brema nei preliminari di Champions League - si trasforma in un vero e proprio incubo: i doriani vengono risucchiati da un vortice di negatività e, soprattutto, dal fondo della classifica che assomiglia tanto ad un groviglio dal quale è impossibile divincolarsi. Di Carlo salta e per il rush finale subentra Alberto Cavasin, chiamato a salvare capra e cavoli con sole dieci partite a disposizione.
La ‘Doria’ è una creatura malata, fragile, da maneggiare con cura. Al derby si presenta con l’inquietante biglietto da visita da 13 sconfitte nelle ultime 20 partite disputate e la sfida che doveva mettere in palio "soltanto" la supremazia cittadina si scopre inevitabilmente ultima spiaggia. Giocarsi il tutto per tutto contro la storica rivale è un bivio. Se vinci tocchi il cielo con un dito e riempi i polmoni di ossigeno, se cadi sono guai veri. Basta questo per sovraccaricare di tensione una sfida che – questioni di classifica a parte – banale non lo è mai stata.
La spasmodica attesa della vigilia viene fomentata da sempre più diffusi spifferi riguardanti una presunta combine tra le due squadre. Ciò che si vocifera nei meandri del capoluogo ligure è che un pareggio avrebbe fatto comodo e piacere a tutti. Un segno “X” ininfluente sulla stagione del Genoa, a pieno agio nella side A della graduatoria, e allo stesso tempo vitale per le speranze salvezza della truppa blucerchiata.
Le voci si rincorrono, le indiscrezioni si sprecano ma ciò che conta è che alle ore 20.45 testa e cuore di una città intera siano completamente settate su “Marassi”. La testa ce la mette soprattutto Antonio Floro Flores che allo scadere del primo tempo corregge in rete la precedente spizzata di Palacio su corner calciato da Milanetto. Il Genoa è avanti. Nella ripresa Eduardo la combina grossa sul tentativo velleitario di Palombo e Nicola Pozzi ribadisce in rete la corta respinta del portiere portoghese, firmando il conto pari.
Sul parziale di 1-1 la partita scivola via senza grossi colpi di scena. In un certo senso viene meno anche la tipica atmosfera che solo un derby sa regalare, rimpiazzata da una placida quanto annoiata attesa del triplice fischio finale. Qualcuno, pensate, abbandona addirittura il proprio seggiolino con qualche minuto d’anticipo. Robe dell’altro mondo se si pensa al valore che questa partita racchiude per chi a Genova campa a pane e pallone. All’82’ Ballardini concede passerella persino a Mauro Boselli, oggetto misterioso arrivato nel mercato di gennaio in prestito dal Wigan.
Un cambio che passa del tutto inosservato quasi quanto il cartellino rosso sventolato nei confronti di Mesto che lascia il Grifone in dieci per il segmento finale di partita. Nemmeno questo episodio sembra in grado di alzare le frequenze di un faccia a faccia sempre più indirizzato verso un'equa divisione della posta.
Scocca il 90’ e il quarto uomo solleva la lavagna luminosa per indicare i sei minuti di recupero che precederanno il sipario finale. E proprio al 96’ succede l’incredibile: break di Milanetto e tocco in verticale per il neo entrato Boselli: controllo spalle alla porta, girata e diagonale all’angolino. Goal. 2-1 per il Genoa.
Marassi impazzisce. La gioia delirante dell’inaspettato vincitore e il dramma di chi è appena finito al tappeto fanno da sfondo ad un quadro che è tutto un contrasto di colori, emozioni e sentimenti. E la pennellata finale l’ha piazzata proprio chi, fino a quel momento, aveva collezionato la miseria di sei presenze con un solo centro realizzato nella sconfitta per 5-2 rimediata contro l’Inter.
Cinque mesi all’insegna del nulla cosmico vengono spazzati via in poco meno di un quarto d’ora di pura gloria. E non potrebbe essere diversamente. Perché quando decidi un derby – il tuo primo derby - all’ultimo secondo e la tua rete equivale alla definitiva condanna della tua acerrima rivale, sei destinato ad a imprimere il tuo nome nella storia. Boselli ha fatto esattamente questo e il popolo genoano non lo ha mai dimenticato.
“Lo ricorderò per sempre. Per quello che ha significato, quel goal è sicuramente tra i più importanti che ho segnato. È stata anche una rete molto bella, col pallone che è finito vicino al palo dopo un tiro di sinistro, che è il mio piede debole. Con quel gol ho mandato la Sampdoria in Serie B e ho conquistato l'amore dei tifosi del Genoa per tutta la vita. Non potevo più uscire per strada. La gente mi faceva regali, mi offrivano la spesa e non mi facevano pagare nei negozi. Diversi ragazzi hanno chiamato il loro figlio Mauro per me. D’altra parte però ho anche ricevuto insulti quando incontravo i tifosi blucerchiati, e ho vissuto dei momenti poco piacevoli”. Il dolce ricordo dell'attaccante argentino, oggi in forza al Cerro Porteno in Paraguay.
“Boselli non lo sapeva" diventa la hit più gettonata della curva del Genoa, quasi a voler ironizzare su quegli spifferi di combine, in realtà emersi durante le indagini della procura sportiva nell'estate catalizzata dallo scandalo calcioscommesse.
“Ricordo le esultanze in spogliatoio, eravamo al settimo cielo”. Disse il calciatore un paio d’anni più tardi smentendo con forza l'ipotesi che dietro a quella partita ci fosse qualcosa di più oscuro e non propriamente legato al rettangolo verde.
Una notte che non si dimentica. Boselli, poche settimane più tardi, non venne riscattato e salutò il Genoa e proseguendo il proprio percorso. Una breve apparizione in quel di Palermo prima di fare la spola tra centro e Sud America, dove vestirà le maglie di Leòn, Corinthians e, appunto, Cerro Porteño. Qui le cose andranno ancora meglio soprattutto dal punta di vista realizzativo. Dopotutto 232 goal da professionista non si fanno mica per caso.
Nel cuore, però, rimarrà quell'incredibile notte di maggio di dieci anni fa. La notte in cui fece semplicemente la cosa migliore che si chiede ad un attaccante. Quello che proprio non poteva sapere è che gli sarebbe valsa un posto nella storia rossoblù.


