Se sei nato a Torre Annunziata il 20 febbraio del 1990, circa 4 mesi prima dall’inizio delle notti magiche dei mondiali italiani, è difficile non essere cresciuto a pallone e asfalto per le strade e i vicoli della città. Attorno al Vesuvio le giornate di sole sono così tante e così belle che ti invogliano a uscire, a stare in giro, a godertele fino all’ultimo straccio di luce.
Ciro Immobile (oggi 31 anni) ha iniziato da piccolissimo a inseguire i suoi sogni e le sue passioni, che hanno risposto sempre e solo a un’unica parola: il pallone.
La “Torre Annunziata ‘88”, una piccola realtà sportiva che coccolava i sogni degli scugnizzi della zona offrendo loro campi, tute e scarpette, è stata la prima scuola calcio del piccolo Ciruzzo. “Arrivò da noi a 5 anni. Può sembrare banale dirlo, ma si vedeva che era diverso dagli altri - dice Bartolo De Simone, fondatore della Torre Annunziata ’88 - Lo rincorrevano tutti, mi chiamavano decine di squadre a settimana. Ho girato mezza Italia con lui”.
GoalSu quei campetti di terreno, pieni zeppi di ragazzini nell’era pre videogame e social, la mamma e il papà accompagnavano Ciro a ogni allenamento.
“Lo seguivano sempre, ma da loro non ho mai sentito una critica a Ciro, una polemica a un mister. Erano felici nel vederlo giocare, a loro questo bastava”, continua Servillo.
GoalDai 5 ai 13 anni alla Torre Annunziata ’88, poi gli allenamenti con la Salernitana, club con cui la scuola calcio collaborava, e, dopo il fallimento della società di Salerno, il passaggio al Sorrento, con un viaggio di 35 minuti A/R per 3-4 volte alla settimana dopo la scuola. Sacrifici più che sopportabili per un ragazzo che ha fatto della determinazione e della positività la base per sostenere le proprie ambizioni.
GoalDopo il Sorrento, con cui conquista il titolo di capocannoniere dei 3 gironi degli Allievi Nazionali, c’è il passaggio alla Juventus grazie alla volontà di Ciro Ferrara. Da lì in poi Immobile cambia nove squadre in sei anni, tra Italia, Spagna e Germania, per poi trasferirsi alla Lazio nel luglio del 2016. Il resto... “è storia”.
Una storia che Ciro Immobile, con semplicità e serenità, non ha mai avuto la superbia e la vanità di conquistare. Una storia che Ciro Immobile s’è trovato davanti dopo una vita passata ad andare sempre al massimo, senza mai fermarsi. Una storia che Ciro Immobile s’è meritato appieno: scarpa d’oro, davanti a due mostri sacri come Cristiano Ronaldo e Lewandowski, e record storico di Higuain per reti segnate in una singola stagione di Serie A eguagliato.
E nonostante un posto quasi indelebile nell’almanacco della storia sia dedicato a lui, Ciro resta sempre se stesso, con l’energia e la serenità di quel bimbo che girava la costiera sorrentina per inseguire i suoi sogni. Immobile non hai mai perso tempo a lottare con critiche e pregiudizi, ha sempre dedicato tutto se stesso al pallone, con la consapevolezza che, alla fine, avrebbe risposto lui al suo posto.
Tra gli attaccanti italiani degli ultimi 10 anni (ovvio, non i più belli della storia della Serie A), Immobile non è certo il più talentuoso, non è il più elegante, non è il più osannato. Ma è sicuramente quello più semplice, più vicino al calcio da strada.
Il calcio di Immobile, e qui rubiamo una citazione a Max Allegri, è una cosa semplice, fatta di sole tre cose: corsa, gol e abbracci ai compagni. Se, ragionando per assurdo, si dovesse raccontare Ciro Immobile a chi non l’ha mai visto giocare, sarebbe complicato. Difficilmente ci si ricorda di un suo colpo speciale, di un suo gesto caratterizzante. Di Immobile ci si ricorda solo che è sempre al massimo.
È che a volte cerchiamo forzatamente l’eccesso, quando la bellezza è nella semplicità. Nella semplicità di un ragazzo che partito in treno da Torre Annunziata è arrivato a scrivere la storia del nostro calcio.
Buon compleanno, Cirù!


