Dal tennistavolo al calcio, dalla fredda Svezia, via Portogallo, all'Italia, dove sceglie di ripartire per provare a consacrarsi, affrontando "il campionato più difficile al Mondo" dopo aver vinto ed essersi imposto anche a livello internazionale con club e Nazionale.
A Glenn Peter Strömberg il coraggio, nelle scelte e in campo, non è mai mancato. Ala destra tattica (ma capace di giocare anche a sinistra), quello che oggi verrebbe definito un tuttocampista, in grado di macinare chilometri e di essere efficace sia in fase di non possesso, sia nella transizione offensiva, approda in Italia dopo 3 goal segnati agli Azzurri di Bearzot in Nazionale, per accasarsi all'Atalanta di Nedo Sonetti.
Superate le difficoltà di ambientamento, dimostra di essere fin da subito un giocatore molto utile alla causa della Dea. Nel 1987, però, i nerazzurri retrocedono in Serie B. Ma nulla avviene per caso e proprio l'anno fra i cadetti sarà quello della svolta per il gigante svedese, che con Emiliano Mondonico diventa il capitano e leader della squadra, che conduce al ritorno in Serie A e alla semifinale di Coppa delle Coppe.
Ai lunghi capelli biondi giovanili, per i quali era spesso preso in giro dai tifosi avversari con il nomignolo allusivo di "Marisa", aggiunge la barba e i baffi, che gli fanno assumere un'aria da duro e lo rendono uno dei giocatori più iconici della Serie A di quegli anni.
Ribattezzato da tutti 'Il Vichingo', sotto la scorza apparente da duro rivela un cuore tenero e, rinunciando ad ingaggi più importanti, sceglie di restare a Bergamo fino al suo ritiro, che avviene nel 1992, consegnandosi all'eterna leggenda.
DAL TENNISTAVOLO AL CALCIO
Strömberg nasce a Brämaregården, distretto di Göteborg, il 5 gennaio 1960. La sua è una famiglia di sportivi: il papà è infatti un calciatore, mamma una nuotatrice e il nonno era stato campione dei Pesi medi di pugilato.
Il giovane Glenn si appassiona inizialmente ad un'altra disciplina: il tennistavolo, cui si dedica con profitto assieme agli studi, tanto da diventare uno dei migliori giocatori del suo Paese. A 16 anni partecipa anche al Torneo di qualificazione olimpico, ma in lui intanto si era fatto strada anche un altro amore: quello per il calcio, in quel momento sicuramente lo sport dove brillava di meno.
Dall'età di 8 anni e fino ai 16 anni gioca senza troppe pretese nelle Giovanili del Lerkils IF, una società dilettantistica di Vallda, paesino che dista 30 chilometri da Göteborg. Ma quando nel 1976 decide di trasferirsi in città, la sua vita e la sua storia cambiano e Strömberg da possibile campione di tennistavolo diventerà invece una leggenda del calcio.
"Da ragazzino ero fortissimo nel tennistavolo - ha confermato qualche tempo fa in un'intervista al 'Secolo XIX' -, tra i migliori in Europa, poi ho scelto il calcio. Ormai non ci gioco praticamente mai, ma quelle poche volte che ho preso la racchetta in mano ho sempre vinto: meglio non sfidarmi (ride ndr)".
I TITOLI CON L'IFK GÖTEBORG DI ERIKSSON
Strömberg entra a far parte del Settore Giovanile dell'IFK Göteborg, e nel 1979 c'è l'incontro che cambia la sua carriera: sulla panchina della squadra svedese approda infatti un giovane tecnico, Sven-Goran Eriksson, che ha appena 31 anni ed è un grande cultore della zona.
Il nuovo allenatore resta colpito dalla fisicità e dalla personalità di Glenn, nonostante la tendenza alla giocata individuale. Il gigante biondo, un metro e 91 centimetri per 85 chilogrammi di peso forma, sotto la cura di Eriksson migliora a vista d'occhio e viene da lui lanciato in Prima squadra a 19 anni.
La rosa dell'IFK Göteborg non è una rosa banale e priva di talento: fra gli altri ci giocano anche il difensore centrale Glenn Hysen e l'attaccante Dan Corneliusson, che calcheranno anch'essi i campi della Serie A. Strömberg però ha la caratura del leader, e ci mette poco per diventarlo.
Eriksson lo rende un calciatore 'totale': capace di recuperare palloni in fase di non possesso, ma al contempo di dettare i ritmi del gioco offensivo e di finalizzare l'azione con improvvisi inserimenti in attacco. Inizialmente, nelle prime due stagioni, l'ossessione tattica del giovane allenatore porta ad una perdita di spettatori allo Stadio Ullevi, con la media che cala da 13 mila a 3 mila. L'accusa è quella di praticare un calcio solido ma molto noioso, basato sul 4-4-2.
Di fatto però l'IFK Göteborg è una sorta di cantiere, e i risultati del lavoro fatto da Eriksson si vedono nella stagione 1981/82, quando la squadra svedese, trascinata da Strömberg, conquista un clamoroso Triplete: vince infatti il campionato, la Coppa di Svezia e, soprattutto, la Coppa UEFA, diventando il primo e unico club del Paese capace di imporsi a livello continentale (avrebbe poi fatto il bis nel 1986/87).
Eliminato nel derby scandinavo l'FC Haka nel primo turno (non disputato da Strömberg), gli svedesi hanno la meglio sullo Sturm Graz (5-4 totale), travolgono i rumeni della Dinamo Bucarest (4-1) agli ottavi e ai quarti superano gli spagnoli del Valencia (4-2 fra andata e ritorno). In semifinale cadono anche i tedeschi del Kaiserslautern (3-2 totale, con la sfida di ritorno in Svezia vinta 2-1 ai supplementari), e l'IFK Göteborg si ritrova in finale.
È sfavorito contro un'altra squadra tedesca, l'Amburgo, ma Strömberg e compagni ribaltano i pronostici e con una grande prestazione ipotecano il trofeo all'andata, grazie ad un sonoro 4-0. Nella sfida di ritorno l'Amburgo non riesce a riaprire i giochi e sono anzi ancora gli svedesi a trionfare 3-0 al Volksparkstadion contro la formazione di Ernst Happel. Pur non segnando, Strömberg è uno dei grandi protagonisti di un 7-0 complessivo che passerà alla storia.
L'ESPERIENZA AL BENFICA
Il gigante biondo in quattro anni aveva collezionato 97 presenze e 9 reti in campionato con l'IFK Norköpping, ma quando nell'estate 1982 Eriksson lascia la squadra per approdare in Portogallo alla guida del Benfica, Glenn decide di salutare il suo Paese e di seguirlo. Dopotutto deve a lui i suoi progressi e l'essere diventato un calciatore di livello europeo.
Subentrano però problemi burocratici di tesseramento, e i primi mesi fuori dalla Svezia, che deve passare lontano dai campi, sono problematici. La situazione fortunatamente si sblocca nel mese di gennaio del 1983 e Strömberg può finalmente indossare la maglia delle Aquile e fare il suo esordio nel campionato portoghese.
Superati anche alcuni problemi alla schiena che lo costringono a fermarsi, mette insieme 6 presenze e una rete in campionato, vinto dai biancorossi, più 2 presenze fra semifinale e finale di Coppa UEFA. Stavolta però sono i belgi dell'Anderlecht ad imporsi (1-0 per i biancomalva in casa e 1-1 a Lisbona). Battendo 1-0 il Porto in finale, comunque, le Aquile di Eriksson si aggiudicano anche la Taça de Portugal, la Coppa nazionale.
Lasciatasi da parte una stagione inizialmente complicata, Strömberg torna a brillare l'anno seguente. Nel 1983/84, infatti, lo svedese colleziona 26 presenze e 9 goal, dando un contributo fondamentale alla squadra per la vittoria del secondo campionato portoghese consecutivo.
Glenn può inoltre debuttare in Coppa dei Campioni, competizione nella quale è ugualmente protagonista e realizza una doppietta nel ritorno del Primo turno contro i nordirlandesi del Linfield FC. Il Benfica elimina anche i greci dell'Olympiacos, ma deve arrendersi ai quarti di finale contro il Liverpool, che poi vincerà quell'edizione superando ai rigori la Roma nella finale del 30 maggio 1984.
LA SVEZIA E I TRE GOAL ALL'ITALIA DI BEARZOT
Il palcoscenico internazionale dà ulteriore visibilità al gigante biondo, che inizia ad entrare nei radar dei club italiani. La vetrina più grande è però quella della Nazionale svedese, con cui debutta il 3 giugno del 1982 a Stoccolma in un'amichevole giocata contro l'Unione Sovietica prima dei Mondiali e pareggiata 1-1.
La Svezia non si qualifica a Spagna '82, ma è protagonista nelle Qualificazioni ad Euro '84, nelle quali dà vita ad un testa a testa con la Romania nel Gruppo 5, girone in cui la grande delusione è costituita dall'Italia campione del Mondo. Strömberg è uno dei protagonisti di quella squadra e, gioco del destino, disputa le sue migliori partite proprio nelle due sfide con gli Azzurri di Bearzot.
La gara di andata si gioca a Göteborg il 29 maggio 1983. Gli scandinavi, guidati da Arnesson, affondano i colpi su un Italia irriconoscibile. I padroni di casa passano in vantaggio nel primo tempo con un colpo di testa di Sandberg, che da distanza ravvicinata batte Zoff, e nella ripresa chiudono i giochi. Strömberg si inserisce sulla sinistra dell'area azzurra, sfrutta un rimpallo aereo fra Scirea e Sandberg e con una micidiale girata col destro infila ancora Zoff.
"E c'è il raddoppio di 'Stromberi'!", dice in telecronaca Nando Martellini, che adotta per l'occasione la pronuncia alla svedese.
La seconda partita si disputa allo Stadio San Paolo di Napoli il 15 ottobre 1983. I tifosi si aspettano un riscatto d'orgoglio da parte della Nazionale, già fuori dai giochi. Invece, nonostante una super difesa composta dai terzini Bergomi e Cabrini e dai due centrali Vierchowod e Franco Baresi, la Svezia fa il bello e il cattivo tempo.
Strömberg, in particolare, il cui cognome è stavolta pronunciato quasi letterale da Martellini, nella forma che sarà prevalentemente utilizzata durante la permanenza in Italia del calciatore, è ancora una volta molto ispirato. Prima al 20' porta in vantaggio i suoi con una conclusione forte e precisa sotto la traversa, finalizzando un bell'assist di Corneliusson dopo aver fatto venire il mal di testa a Baresi.
Quindi sette minuti dopo raddoppia: il numero 7 della Svezia punta Baresi sulla sinistra dell'area, evita il suo intervento in scivolata e con un gran sinistro rasoterra trafigge ancora Bordon. Finirà 0-3 con gloria anche per Sunesson, ma l'impronta data al match dal gigante biondo è difficile da dimenticare. Tanto che l'estate successiva l'Atalanta deciderà di portarlo in Serie A, ai tempi il campionato più bello e più difficile del Mondo.
Getty ImagesL'avventura di Strömberg nella Nazionale svedese continuerà fra alti e bassi fino al 1990. Nel 1984 in Francia va la Romania, che prevale di una lunghezza, e anche Messico '86 ed Euro '88 (con 'vendetta' sportiva dell'Italia di Vicini) vedono i gialloblù scandinavi eliminati nelle qualificazioni.
La riscossa della Svezia inizia a fine anni Ottanta, quando con Strömberg capitano, gli scandinavi precedono l'Inghilterra nelle Qualificazioni ai Mondiali di Italia '90 e staccano il biglietto per giocare la fase finale nella penisola. Inseriti nel Gruppo C con Brasile, Scozia e Costa Rica, tuttavia, gli scandinavi dopo aver messo in difficoltà il Brasile non vanno oltre la fase a gironi, e chiudono all'ultimo posto con 0 punti.
Strömberg, che porta sulle spalle un inedito numero 15, ha comunque il suo momento di gloria segnando la rete della bandiera per la sua squadra nella sconfitta per 1-2 contro la Scozia. La successiva partita con la Costarica, persa anch'essa 2-1, sarà anche la sua ultima apparizione con la Nazionale gialloblù. 'Il Vichingo' chiude con 52 presenze e 7 reti, di cui ben 3 segnati all'Italia.
L'ATALANTA: 8 ANNI DA LEGGENDA
Il gigante biondo ed Eriksson si separano nell'estate 1984, quando il tecnico approda alla Roma in Serie A. I due non lavoreranno più insieme, ma la stima reciproca resterà immutata negli anni.
"Quando un presidente prende Eriksson per allenare - dirà Glenn di colui che lo ha lanciato nel grande calcio - è sicuro di non avere problemi, litigi ma solo titoli".
Su Strömberg è forte l'interesse di due club lombardi: il primo è il Como, il secondo l'Atalanta, squadra neopromossa in Serie A. Il presidente atalantino Cesare Bortolotti, per sbaragliare la concorrenza dei lariani, vola a Lisbona per condurre in prima persona la trattativa assieme all'amministratore delegato Franco Morotti.
Nella capitale portoghese le trattative con la società lusitana vanno avanti per 8 ore, finché alle 7 del mattino arriva la fumata bianca: Strömberg sarà un giocatore dell'Atalanta, mentre il Como dovrà ripiegare su Dan Corneliusson. Il 22 luglio 1984 Glenn Peter Strömberg arriva a Bergamo e diventa il primo straniero della rosa della Dea, appena tornata in Serie A e guidata da Nedo Sonetti. Non può sapere allora che diventerà una bandiera e un simbolo di quella squadra.
Con il suo acquisto e quello dell'attaccante Lars Larsson, suo connazionale, prelevato dal Malmö, prende forma 'l'Atalanta svedese'. A differenza di quest'ultimo, però, che giocherà poco e non si calerà nella parte, Strömberg, superati i problemi di ambientamento comuni a tutti gli stranieri, diventa un punto fermo della squadra che conquista un buon 10° posto in Serie A.
Il suo primo anno 'italiano' l'ala svedese lo chiude con 27 presenze e 2 reti in campionato, cui si sommano una partita e una rete in Coppa Italia e 3 presenze in Mitropa Cup. In quest'ultima competizione, cui partecipano per aver vinto l'anno prima la Serie B, i nerazzurri giungono secondi, preceduti nella classifica finale dai bosniaci, allora jugoslavi, dell'Iskra Bugojno.
Il debutto assoluto arriva in Coppa Italia, il 22 agosto 1984, allo Stadio Erasmo Iacovone contro il Taranto. Glenn ci mette 10 minuti per far capire chi è. Donadoni, sugli sviluppi di un angolo, colpisce di testa, ma la difesa pugliese ribatte: la palla giunge dalle parti di Strömberg, che anticipa tutti e realizza il tap-in vincente.
A inizio ripresa, però, lo svedese, che indossa la maglia numero 7, rimedia una brutta contusione ad un braccio e deve lasciare il terreno di gioco. La partita terminerà 2-2 e Glenn sarà costretto a saltare le successive sfide del girone, per presentarsi regolarmente all'appuntamento con l'esordio in Serie A il 16 settembre contro l'Inter di Castagner.
Al Comunale, gremito da 43 mila spettatori, i bergamaschi vengono colpiti nel Derby lombardo da un goal di Carletto Muraro, ma rimediano con un goal a inizio ripresa del difensore Carlo Osti. Finisce 1-1, e proprio quest'ultimo diventa grande amico di Strömberg.
"Io e Carlo arriviamo all’Atalanta nell'84 - ricorderà lo svedese in un'intervista al 'Secolo XIX' -. Debuttiamo contro l’Inter di Rummenigge e Osti segna un goal di testa spettacolare. Gli faccio i complimenti e dico: 'Cavolo, un difensore col vizio del gol! Proprio quello che ci voleva…'. Beh, in 4 anni non ha mai più segnato. In compenso era una gran bel difensore: veloce, sveglio, sapeva sempre dove stare, tosto ma pulito. Ed era simpaticissimo, un amico, uscivamo spesso la sera assieme ad altri compagni".
Il gigante svedese va anche a segno 2 volte, contro l'Avellino (3-3) e con il Milan a San Siro (2-2). Vedendo l'impatto che ha per la sua squadra, i tifosi avversari non hanno di meglio da fare che coniare un soprannome maligno, legato alla sua chioma bionda e al suo viso angelico. Così lo ribattezzano 'Marisa', mettendo in dubbio la sua virilità, ma Glenn sopporta e pensa al calcio giocato.
Nell'estate 1985 Eriksson prova a convincerlo a venire alla Roma, ma stavolta Strömberg dice di no
"Non volevo seguire il mister anche in giallorosso - spiegherà -, e rischiare di essere considerato soltanto il suo pupillo".
Resta a Bergamo e nel 1985/86 la squadra bergamasca si conferma e migliora il proprio piazzamento, giungendo all'8° posto, sempre guidata da Sonetti. Per Strömberg è l'anno della consacrazione: segna 4 goal in 30 presenze, più una rete in 6 gare in Coppa Italia, ed è uno dei pilastri della squadra. Alla fine del 1985 il gigante svedese ottiene anche un importante riconoscimento personale: vince infatti il Guldbollen, venendo nominato 'Calciatore svedese dell'anno'.
Ma nel 1986/87 le cose non vanno per il verso giusto per i bergamaschi: la squadra di Sonetti conclude il campionato al 15° posto e retrocede in Serie B. In Coppa Italia, invece, il cammino è entusiasmante: i nerazzurri approdano infatti in finale eliminando Palermo, Messina, Genoa e la concittadina Virescit nel Girone 6 di qualificazione.
Negli ottavi di finale estromettono la Casertana, mentre al turno successivo hanno la meglio sul Parma di Arrigo Sacchi. In semifinale, grazie al successo per 2-0 in casa nella sfida di andata, hanno la meglio sulla Cremonese nel Derby lombardo.
La finale però vede la Dea sfidare il Napoli di Maradona, appena laureatosi Campione d'Italia per la prima volta nella sua storia. I partenopei sono troppo forti, e dopo un 3-0 all'andata al San Paolo, il 13 giugno 1987 conquistano il trofeo vincendo 1-0 anche a Bergamo con goal di Giordano. L'Atalanta, comunque, in virtù del suo exploit, si guadagna la qualificazione alla Coppa delle Coppe, considerato che gli Azzurri faranno la Coppa dei Campioni.
Il 1987/88 è l'anno della rinascita, e la squadra viene affidata ad Emiliano Mondonico, che convince Strömberg a restare e gli affida la fascia da capitano. L'allenatore e lo svedese si piacciono a pelle.
"Con Mondonico ci trovavamo alla grande - ammetterà Glenn al 'Secolo XIX' -, avevamo in comune la passione per i Rolling Stones: Mick Jagger è incredibile, salta ancora come un grillo".
Le cose, però, inizialmente non vanno bene, e durante il ritiro estivo i tifosi non risparmiano le critiche. Un tifoso però, nel corso di un'amichevole precampionato contro una squadra minore, esagera, prendendosela con Strömberg, e lo svedese, in una delle poche volte della sua vita perde le staffe.
"Svegliati Marisa!", gli urla qualcuno dalla tribuna, ridacchiando.
Glenn non ci vede più, e, seguito dal bomber Aldo Cantarutti, scavalca la rete di recinzione per raggiungere i colpevoli. Furioso, prende per il bavero uno di quei tifosi e con tono autorevole lo avverte:
"Io mi chiamo Glenn, Glenn Stromberg! Capitano della Svezia e dell’Atalanta. Non dimenticarlo mai. Né tu, né tutti gli altri!".
Tornato in campo, sorride e riprende regolarmente a giocare. L'Atalanta fa un percorso in crescendo e, condotta dal nuovo capitano, in campionato riesce a strappare il 4° posto che vale la promozione in Serie A, precedendo di una lunghezza il Catanzaro, in Europa dà spettacolo, giungendo fino alle semifinali di Coppa delle Coppe. Strömberg da "Marisa" diventa per tutti "Il Vichingo", il guerriero che in campo trascina la Dea. Anche il suo look cambia: il viso sbarbato e angelico lascia spazio alla barba bionda incolta e ai baffi, che gli attribuiscono un'aria da duro.
Nel primo turno i bergamaschi ribaltano la sconfitta per 2-1 in Galles, imponendosi 2-0 in casa nel ritorno contro il Merthyr Tydfil. Agli ottavi estromettono i greci dell'OFI Creta (1-0 in trasferta, 2-0 in casa) e ai quarti pescano i portoghesi dello Sporting. Qui Strömberg e compagni si superano, perché in casa impongono ai lusitani la regola del 2-0, e al ritorno in Portogallo pareggiano 1-1 in una gara molto combattuta, trovando la rete decisiva nel finale con Cantarutti.
A marzo l'Atalanta è così l'unica squadra italiana rimasta in gioco nelle Coppe europee, e attira su di sé tante attenzioni. L'ostacolo successivo è rappresentato dai belgi del Mechelen. Le semifinali sono una vera battaglia, tutta Italia fa il tifo per Strömberg e compagni. Lo svedese illude tutti nella sfida di andata in Belgio, trovando il provvisorio pareggio dopo il vantaggio iniziale della stella israeliana Ohana.
L'1-1 sarebbe un ottimo risultato per i bergamaschi, ma nel finale Den Boer realizza il 2-1 sugli sviluppi di un calcio di punizione e costringe la squadra di Mondonico all'impresa fra le mura amiche. In un Comunale tutto esaurito, il 20 aprile 1988, sul finire del primo tempo Garlini porta in vantaggio i nerazzurri su calcio di rigore. L'1-0 qualificherebbe la Dea, ma nella ripresa i belgi, più freschi atleticamente, rimontano ancora 2-1 con le reti di Rutjes ed Emmers. Non mancano inoltre le polemiche arbitrali, per un rigore non concesso per fallo proprio ai danni dello svedese.
"Quando eravamo in B - ricorderà Glenn, 7 presenze e un goal in quella cavalcata europea -, sfiorammo il miracolo e arrivammo a un passo dalla finale in Coppa delle Coppe: il k.o. col Malines mi fa ancora rabbia, meritavamo noi!".
"Ho rivisto quella partita solo una volta. Ero curioso di capire se davvero quel fallo su di me era in area oppure no. Clamoroso. Almeno mezzo metro dentro l’area: con quel rigore saremmo andati in finale con l’Ajax. Eravamo rimasti i soli in Italia a giocarci l’Europa, quel giorno tutta la città si strinse intorno a noi e l’emozione era incredibile. Fantastico".
Strömberg entra di diritto nella storia del club, e diventa uno dei giocatori più amati dai tifosi. Nonostante l'interesse di Juventus e Genoa, continua a giocare per la Dea, tornata nel frattempo in Serie A, fino al 1992, togliendosi altre soddisfazioni. L'unico vizio che si concede è il tabacco da sciogliere in bocca.
"Non me ne separo mai - assicura a 'Il Secolo XIX' -. In Svezia c’è questo tabacco da sciogliere lentamente in bocca, io lo usavo anche durante le gare: mi rilassava. Alcuni, in squadra, vollero provare, fra questi Magnocavallo, ma il giorno dopo avevano la febbre a 40°... Il segreto è non farlo arrivare allo stomaco, altrimenti, se non sei abituato, ti senti male...".
Nel 1988/89 il 6° posto finale in campionato vale la qualificazione alla Coppa UEFA, mentre in Coppa Italia deve arrendersi alla Sampdoria in semifinale.
L'anno seguente ottiene ancora un brillante 7° posto, che la porta nuovamente in Europa, mentre quanto accade in Coppa Italia passerà, suo malgrado, alla storia. La Dea elimina la Torres, orfana di Zola, passato al Napoli, al primo turno, e il Bari nel secondo. Nel successivo girone, si gioca la qualificazione con il Milan nello scontro diretto del 24 gennaio al Comunale.
Alla Dea mancano Contratto, Nicolini, Bonacina ed Evair, ma sono i Campioni del Mondo in carica, orfani di Ancelotti e Van Basten, ad andar sotto, colpiti da un goal del giovane Giorgio Bresciani. A quel punto il Derby lombardo si accende, il Diavolo fa di tutto per provare a pareggiare, ma la Dea resiste, guidata dal suo condottiero svedese. Si arriva ai minuti finali sul risultato di 1-0 che qualificherebbe i nerazzurri.
Borgonovo, il centravanti del Milan, finisce però a terra in area e sembra aver bisogno del soccorso dei medici. Strömberg, così, con un gesto di grande fair-play, spedisce la palla fuori dal campo nei pressi dell'area bergamasca, per consentire i soccorsi.
Alla ripresa del gioco, i padroni di casa si aspettano che i rossoneri restituiscano il pallone. Ma in un'epoca in cui il fair-play non è stato ancora codificato, Rijkaard, abituato ad un calcio diverso, non ha capito, anche perché nessuno gli dice nulla. Preso dalla foga di inseguire il risultato, rimette così in campo il pallone.
Quest'ultimo giunge dalle parti di Massaro, che, con gli atalantini fermi e increduli di fronte a quanto stanno vedendo, gira a centro area senza troppa convinzione. Lo stopper Barcella con un gesto istintivo trattiene a centro area Borgonovo, che non sapendo quanto accaduto perché alle prese con la botta presa, si stava girando per calciare a rete.
L'arbitro Pezzella non ha dubbi e assegna il rigore ai rossoneri. Ma al Comunale si scatena il finimondo. Sul dischetto va Baresi, che trasforma, firma l'1-1 e dà la qualificazione al Diavolo, fra le proteste nerazzurre. È un'altra delle rare volte in cui Glenn perde le staffe.
"Ricordo l’anti fair-play, col Milan in Coppa Italia - ha detto quando nel 2019 è stato premiato a Bergamo per la sua sportività in campo -: vidi uno di loro a terra (Borgonovo, ndr) e misi la palla in fallo laterale. Rimessa di Rijkaard per Massaro, cross e fallo di un nostro giocatore (Barcella, ndr) su uno dei loro (Borgonovo, ndr). È una delle poche volte in campo che sono impazzito. Presi Baresi per la maglietta e gli dissi: 'Se sei un uomo adesso tu lo sbagli e lo calci in tribuna'. 'Non ci posso far niente', mi rispose".
"Allora andai da Sacchi, e gli dissi: 'Non potete segnare dopo quello che avete fatto, dite a Baresi di sbagliare il rigore'. Sacchi guardò Galliani e Berlusconi in tribuna, ma ai tempi non c'erano telefonini e la comunicazione era difficile. Franco segnò. Alla ripresa del gioco calciai via la palla e uscii dal campo 5 minuti prima della fine. 'Strömberg, non può lasciare il campo se non sono io a dirglielo!', mi fece l'arbitro. Ma io rientrai negli spogliatoi..."
"Siamo dei professionisti", sarà il commento a caldo di Rijkaard ai microfoni della 'Rai' sull'accaduto, mentre Baresi preferisce glissare.
"Il professionismo ha vinto, il calcio ha perso l’attimo per trionfare", sarà la dura replica di Mondonico.
Il tecnico poi, anni dopo racconterà:
"Dopo la partita, negli spogliatoi, ne successero di belle. Qualcuno prese calci nel sedere senza dire niente dopo quello che avevano fatto. Berlusconi invece alla sera telefonò subito al nostro presidente e in Federazione per dire: 'Noi non vogliamo questa qualificazione, rigiochiamo la partita'. Ma la FIGC non diede l’ok. Il Milan quella volta si comportò davvero male, sono sicuro che se potessero tornare indietro non lo rifarebbero più".
Negli spogliatoi del Milan, Paolo Maldini è il più incredulo e arrabbiato di tutti:
"Che figura di merda abbiamo fatto!", dice ai suoi compagni.
Borgonovo e il club rossonero dopo anni chiederanno scusa per quell'episodio, che tuttavia rimane indelebile per Strömberg e tutti i tifosi atalantini. 'Il Vichingo' svedese entra ancor più nella leggenda. Nel 1990/91, la prima stagione senza il 'Mondo', passato al Torino, la squadra nerazzurra è di nuovo protagonista in Europa: in Coppa UEFA la Dea supera ai Trentaduesimi la Dinamo Zagabria di Boban, poi il Fenerbahçe e il Colonia di Bodo Illgner agli ottavi.
Glenn inizia ad accusare i primi acciacchi di una certa importanza, e salta diverse gare. È in campo nel ritorno della sfida con i turchi e nei due match con i tedeschi, dando sempre il suo apporto. Poi però non c'è nelle due sfide dei quarti di finale, importantissime, contro l'Inter di Trapattoni.
I milanesi, trascinati dal miglior Matthäus, approdano in semifinale, mentre la corsa dei bergamaschi deve arrestarsi. In panchina Bruno Giorgi dalla rileva Pierluigi Frosio e in campionato la squadra nerazzurra arriva decima.
Strömberg resta un'altra stagione, chiusa dalla Dea all'11° posto, ancora con Bruno Giorgi al timone. Nonostante i problemi fisici, 'Il Vichingo' della Dea colleziona le sue ultime 29 presenze in Serie A, con 2 goal, venendo schierato anche nel ruolo di libero.L'ultima rete la realizza il 9 febbraio 1992: al Comunale una sua realizzazione sotto misura su assist di Bigliardi finalizza un contropiede e dà la vittoria ai bergamaschi sulla Lazio in una gara molto combattuta.
Poi, a fine stagione, dopo 8 anni con la maglia dell'Atalanta sulle spalle, in cui ha totalizzato 23 goal in 271 presenze complessive, di cui 15 goal in 185 presenze in Serie A e 34 presenze e 3 goal in Serie B, 'Il Vichingo' svedese decide di ritirarsi.
L'ultima partita in casa si gioca curiosamente contro il Torino di Mondonico: Strömberg è infortunato ma dopo il fischio finale la Curva Nord lo saluta con un tributo da brividi, e quando i tifosi lo portano in trionfo assieme a Mondonico, dal suo viso sgorgano lacrime di commozione, suggellando un legame destinato a durare in eterno.
Vent'anni dopo, nel 2012, in occasione dell'ultima giornata di campionato, la Curva dell'Atleti Azzurri d'Italia dedica alla sua maglia numero 7 una delle gigantografie per i grandi capitani della storia del club nerazzurro.
DOPO IL RITIRO E COSA FA OGGI
Dopo il ritiro dal calcio giocato, Strömberg coltiva la sua passione per la cucina: così, tornato in patria, lancia in Svezia una linea di prodotti italiani che portano il suo nome.
"Salumi, pasta, pomodori, tutti con marchio Strömberg - rivela -. Così anche in Svezia posso mangiare spaghetti aglio, olio e peperoncino, il mio piatto preferito: con una bella birra gelata vicino è il top".
Al momento del lancio aveva ironizzato con una battuta:
"Sono il Giovanni Rana svedese", disse.
Ma il poliedrico Glenn fa anche tanto altro:
"Ho anche una linea d’abbigliamento e una di scarpe - sottolinea -. E poi c’è il calcio: faccio il commentatore per la tv svedese (Sveriges Television, ndr), con cui seguo soprattutto la Premier".
In Italia ha trovato l'amore, sua moglie Simona, e torna spesso con lei e con le figlie Erika, Ylenia e Giulia. Ama viaggiare e anche per questo ha sofferto molto il periodo della pandemia dove è stato confinato per sei mesi a Stoccolma. Così non ha esitato a vaccinarsi in Italia per riprendere a spostarsi in giro per l'Europa.
"Ho fatto la prima dose prima degli Europei dell’estate scorsa e la seconda dose dopo gli Europei - ha dichiarato all'Eco di Bergamo -. Sono venuto in Italia per vaccinarmi e l’ho fatto quando è stato il mio turno, ovviamente. Poi, sono partito girovagando per tutta l’Europa per commentare le partite, un po’ come ho sempre fatto tra Premier e Champions. Dubbi? Nemmeno uno, non sono uno scienziato e mi sono affidato a chi ne sa più di me".
Nel suo cuore Glenn resta ancora oggi il capitano dell'Atalanta:
"Mentre giocavo - spiega -, sentivo come un conto in sospeso con i bergamaschi, che mi volevano già bene e io sentivo che dovevo stare qui per sistemare una situazione che per l’Atalanta si era fatta brutta. Non sentivo la colpa, ma sentivo di doverlo fare io. Quindi quando ha bussato la Juve, o quando è arrivato il Genoa… ho detto sempre no. E poi, dopo il calcio, questa è rimasta la mia casa. Qui c'era la mia famiglia, qui sto bene quando torno. Sono bergamasco, morirò da bergamasco. Sono uno di voi, mi avete adottato, qua rimango per sempre".