Giovanni Galli sul tetto del mondo ci è salito per ben due volte. La prima con la Nazionale, la seconda con il Milan e in nessuno dei due casi il fatto di poter guardare tutti dall’alto gli ha procurato quelle vertigini che possono cambiare la vita a chiunque.
La sua è infatti la storia di un calciatore che ha fatto della normalità uno dei suoi punti di forza. E’ stato tra i più forti portieri della sua generazione, uno dei primi estremi difensori moderni capaci tanto di dominare l’area quanto di sentirsi a suo agio fuori, ma la cosa non lo ha mai portato a staccare i piedi da terra, se non per volare da un palo all’altro nel tentativo di respingere i tiri degli avversari.
Fare il calciatore gli ha insomma cambiato la vita, ma non ha cambiato il suo modo di essere. Eppure è entrato nel mondo del calcio, un ambiente capace di fagocitarti e di importi all’attenzione di tutti, quando era poco più che un bambino. In realtà la sua ambizione non era quella di fare il portiere. Come tutti i ragazzi amava giocare con la palla tra i piedi, essere protagonista nel corso di un’azione e vivere l’ebbrezza che solo un goal può regalare, ma gli venne consigliato si spostarsi in porta.
Nella sua squadra locale nessuno tra gli amici voleva proprio giocare tra i pali e fu quindi il padre ad intuire che quel ‘buco’ che si era venuto a creare nella formazione poteva trasformarsi in un’opportunità. Galli decide quindi di provarci, ma a patto che la cosa sia provvisoria. Quello che non può però sapere che una volta indossati i guanti, se li toglierà solo molti anni dopo, quando ormai avrà già alle spalle una lunga carriera da campione.
Conosce il pallone come tanti, ovvero sul campetto vicino casa, e se ne innamora prima ancora di capire che quella sfera può diventare uno strumento di lavoro. Vive a Pisa e le sue giornate sono scandite dalla scuola e da lunghe partite nel pomeriggio che di solito vengono interrotte solo dall’oscurità o dal richiamo della madre, che gli ricorda che ci sono ancora dei compiti da fare per il giorno dopo.
A quattordici anni, quando ormai è chiaro a tutti che ha qualità fuori dal comune, la chiamata della Fiorentina. Nel settore giovanile gigliato prenderà confidenza con la vita vera, quella lontano da casa. Capisce cosa vuol dire il sacrificio, cavarsela da solo e avere una giornata organizzata nei minimi dettagli, ma ad aiutarlo non ci sono solo i compagni di squadra e gli adulti della società, ma anche una città che lo adotta al punto di diventare sua.
In viola tutti si accorgono presto che la scelta di puntare su quel ragazzo di Pisa è giusta e già nel 1977 arriva l’esordio in Serie A. E’ il 23 ottobre e si gioca il quinto turno del campionato. La Fiorentina è impegnata sul campo della Juventus ed è sotto 3-1, quando nel corso dell’intervallo Carlo Mazzone lo guarda e gli rivolge una frase che cambierà per sempre il volto delle cose: “Ragazzo spogliati perché adesso tocca a te”.
Galli subisce due reti e la partita si chiude con un 5-1 che sa tanto di debacle, ma l’esordio tra i grandi è realtà. Il primo vero passo verso un futuro radioso è stato compiuto, l’unico rammarico è che il padre non l’ha potuto vedere, perché un male incurabile se l’è portato via pochi mesi prima.
Tornerà in panchina per altre tre partite, prima che a spingere per la sua promozione sia anche il primo portiere Carmignani. Da allora diventerà titolare inamovibile ed il numero 1 sulle spalle non lo lascerà più.
Gli anni alla Fiorentina sono tra i migliori della sua carriera. Gioca in una squadra forte, che gli permette di lottare per quello Scudetto che nella stagione 1981/1982 sfuggirà per un solo punto, ma che gli consente anche di mettersi in mostra e di guadagnarsi l’ingresso nel giro di una della Nazionali italiane più forti di ogni tempo. Bearzot infatti lo sceglie come terzo alle spalle di Zoff e Bordon per gli Europei del 1980 e confermerà lo stesso terzetto anche nel 1982 in Spagna per i Mondiali. Galli non scende in campo un solo minuto nel corso di quella spedizione che per la prima volta lo catapulterà sul tetto del mondo, ma quel trionfo l’ha sempre sentito suo.
“I titolari non ci hanno mai fatto sentire delle riserve. Zoff poi faceva molta ginnastica per cercare la giusta condizione e nelle partitelle Paolo Rossi si allenava con me. Posso dire di aver contribuito a fargli trovare la forma”.
Quattro anni dopo Galli tornerà ai Mondiali, questa volta per viverli da protagonista. La marcia di avvicinamento a Messico ’86 è in realtà di quelle anomale, perché fondamentalmente Bearzot fatica a trovare colui che deve raccogliere l’eredità di Zoff. Il tutto si traduce in un’incredibile rivalità con Franco Tancredi che porterà i due a condividere, nel senso più puro del termine, la porta della Nazionale.
Per un anno intero uno gioca il primo tempo e l’altro il secondo, alterandosi nel ruolo di primo, il che vuol dire che l’Italia è l’unica squadra a presentarsi in Messico senza un titolare tra i pali. Lo stesso Bearzot scioglierà i suoi dubbi solo nei giorni precedenti al debutto con la Bulgaria, il tutto mentre un Paese intero si chiede se toccherà a Galli o a Tancredi.
“Il problema è risolto, ma loro non lo sanno ancora. Adesso bisognerà iniziare a prepararli. Ho fatto giocare Galli e Tancredi simultaneamente, in modo che facessero le stesse esperienze e che si abituassero ai diversi sistemi difensivi e soprattutto ai liberi Scirea e Tricella. Adesso ho due portieri affidabili e potrò puntare sull’uno o sull’altro a seconda delle caratteristiche degli avversari”.
La scelta ricadrà sul portiere gigliato che, al termine del torneo, verrà visto come uno dei principali colpevoli del deludente cammino Azzurro. In molti, al termine della spedizione messicana, gli rinfacceranno soprattutto il fatto di non essere stato reattivo in occasione di un goal subito contro l’Argentina, nella seconda partita del girone. Allora in Italia in molti parlarono di un ‘Gatto di sale’, un’etichetta che gli è rimasta attaccata addosso per diversi mesi, ma a sua discolpa c’è da dire che a batterlo in quell’occasione fu un fuoriclasse che nel corso di quel torneo toccò vette calcistiche forse mai viste prima: Diego Armando Maradona.
“Mi ha fatto entrare nelle storia visto che, nonostante i tanti successi, tutti mi ricordano per quel goal. Lui in quel Mondiale ne fece un altro simile a Pfaff e in Serie A ne avrà fatti altri venti così. Era Maradona, o ti anticipava il tiro o ti superava comunque. Mi ha fatto fare la figura del bischero, ma non solo stato il solo”.
Getty ImagesAd attenderlo al ritorno dal Messico, oltre che una discreta dose di critiche, c’è anche una novità che rappresenterà un’ulteriore svolta per la sua carriera. Dopo nove stagioni, nel corso delle quali si è guadagnato un posto tra i più grandi portieri della storia della Fiorentina, chiude la sua avventura in viola per approdare, a fronte di un esborso da 5 miliardi di lire al Milan.
Quella nella quale arriva è una realtà molto diversa da quella alla quale era abituato. Galli infatti lascia una società a ‘gestione famigliare’ per approdare in una che ha ambizioni straordinarie. Il Milan è infatti da poco diventato di proprietà di Silvio Berlusconi ed il patron rossonero ha un progetto visionario: fare di una squadra che è reduce da uno dei periodi più complicati della sua storia, un’armata invincibile. Galli, che è stato uno dei primi acquisti del presidente, viene subito convocato proprio da Berlusconi, perché le grandi idee vanno messe subito in pratica.
“A mia moglie disse ‘D’ora in poi lo vedrà pochissimo, avrà poco tempo libero perché dovrà pensare solo al calcio’. Fin dall’inizio Berlusconi chiarì che saremmo diventati il club più forte al mondo. Era venti anni avanti a tutti”.
Galli ripaga fin da subito la fiducia confermandosi portiere affidabile, ma sarà con l’arrivo in panchina di Arrigo Sacchi che avrà modo di consacrarsi come tra i migliori in assoluto nel suo ruolo.
Il Milan che viene costruito ha in un pacchetto difensivo che comprende Franco Baresi, Maldini, Filippo Galli, Tassotti e Costacurta, uno straordinario punto di forza, ma nei rari casi nei quali l’avversario riesce a superare quella ‘Linea Maginot’, ci deve essere qualcuno bravo a farsi trovare pronto. Nelle idee di Sacchi il portiere si muove insieme ai difensori, se loro quindi salgono anche l’estremo difensore deve farlo. Galli, che è tanto bravo tra i pali quanto fuori, interpreta al meglio il ruolo, integrandosi alla perfezione in un reparto poi passato alla storia come uno dei migliori di tutti i tempi.
In rossonero si toglie la soddisfazione di vincere tantissimo e in un trionfo in particolare, quello nella Coppa dei Campioni 1988-1989 ci sarà moltissimo di suo. Nel secondo turno del torneo infatti i rossoneri sono chiamati a sfidare una delle squadre più ricche di talento di quegli anni: la Stella Rossa.
A San Siro il match di andata si chiude sull’1-1, a Belgrado ci sarà quindi bisogno di un’impresa per passare. I padroni di casa vanno in vantaggio con Savicevic, un giovane talento che poi proprio al Milan si consacrerà come uno dei migliori giocatori al mondo, e a rendere le cose ancor più complicate è un’espulsione di Virdis. A quel punto sullo stadio cala una nebbia fittissima che rende impossibile andare avanti. La partita va rigiocata il giorno dopo e si ripartirà dallo 0-0.
Il Milan, scampata un’eliminazione che sembrava quasi certa, passa in vantaggio con Van Basten, ma poi viene raggiunto da Stojkovic. Si va quindi ai rigori dove i rossoneri sono perfetti, mentre la Stella Rossa si vede respingere due conclusioni da un Giovanni Galli, che tra l’altro era già stato ampiamente tra i migliori nel corso dei 120’. E’ la sua serata di gloria, è la serata che darà il via ad una cavalcata incredibile che si chiuderà mesi dopo nella finale di Barcellona con il 4-0 alla Steaua Bucarest.
Un anno dopo i rossoneri, dopo aver già vinto anche la Coppa Intercontinentale, diventeranno ancora campioni d’Europa, confermandosi la squadra più forte del pianeta. A Galli però ormai viene riservato un ruolo di portiere di Coppa, visto che Sacchi in campionato si affida soprattutto a Pazzagli e quindi dopo quattro stagioni scandite da uno Scudetto, una Supercoppa Italiana, due Coppe dei Campioni, una Supercoppa UEFA ed una Coppa Intercontinentale, arriva il momento di chiudere un altro capitolo della sua vita.
Ripartirà dal Napoli, dove avrà l’occasione di vincere una Supercoppa Italiana e di stringere una solida amicizia con quel Maradona che solo quattro anni prima lo aveva ‘punito’ in Messico poi, dopo tre annate in azzurro vissute da titolare inamovibile, si trasferirà prima al Torino e poi al Parma, dove farà in tempo a vincere il suo ultimo trofeo, ovvero una Coppa UEFA, e a veder crescere da vicino un ragazzo del settore giovanile, del quale si parla come di un potenziale fenomeno: Gigi Buffon.
La sua ultima stagione da calciatore coinciderà con il ritorno nella sua Toscana e con l’unica parentesi in Serie B di una ventennale carriera: quella alla Lucchese.
Galli ha ormai trentotto anni e sente di aver dato il meglio. Sente che è arrivato il momento di dedicarsi ad altro.
“Mi resi conto che nel tragitto che portava da casa all’allenamento pensavo a tutto, tranne che al calcio. Capii che dovevo ritirarmi”.
Appesi i guanti al chiodo, Giovanni Galli si riscoprirà costretto a dover affrontare una nuova sfida. Questa volta ad imporgliela non è il pallone, ma la vita. Il 9 febbraio 2001 suo figlio Niccolò, mentre sta tornando a casa dopo aver svolto un allenamento con la sua squadra, il Bologna, muore ad appena diciassette anni in un incidente in motorino, dopo un urto fatale contro un guard rail in manutenzione.
E’ una tragedia: Galli e sua moglie Anna capiranno solo in ospedale che ormai per Niccolò non c’è più nulla da fare.
“Quando arrivammo in ospedale capimmo che Niccolò non c’era più vedendo tutti i suoi compagni piangere”.
Quella normalità che l’ha accompagnato per tutta la carriera, quell’essere uomo prima di calciatore, che portò un giorno sua figlia Carolina a chiedergli “Papà, ma è vero che sei famoso?”, lo aiuterà a convivere il dolore più grande che un genitore possa provare.
Si aggrapperà alla famiglia e alla fede e a quella certezza che un giorno potrà riabbracciare il suo Niccolò.
“Anche se adesso sono tanti anni che non c’è, so che poi avremo tanto tempo per stare insieme”.
Oggi Giovanni Galli e la sua famiglia si dedicano attivamente alla Fondazione Niccolò Galli, una ONLUS che da anni sostiene ragazzi la cui vita è stata cambiata da un incidente stradale e che aiuta le famiglie che si trovano ad affrontare situazioni simili a quelle che hanno causato la morte di Niccolò.




