Napoli nel cuore, il sogno Chelsea accarezzato, una metamorfosi tattica che gli riscrive la carriera: Gennaro Scarlato, tra talento e sfortuna, ha molto da raccontare.
Per un partenopeo doc come lui, il vivaio azzurro diventa una sorta di seconda casa: si allena, si forma e si erge ad uno dei gioiellini del settore giovanile, tanto da stregare l'allora tecnico della prima squadra Vujadin Boskov. Parliamo di metà anni '90, quelli in cui il Napoli è già alle prese con problemi societari che pian piano porteranno al tracollo sia sportivo che economico e al conseguente fallimento.
Scarlato vivrà sia gli sgoccioli della vecchia società che l'inizio dell'era De Laurentiis, in quanto tornato all'ombra del Vesuvio nel 2004 dopo aver girovagato per l'Italia. Prima, però, l'illusione di potersi imporre fin da giovanissimo a Napoli e la brevissima parentesi londinese col Chelsea.
Siamo nel 1997, Scarlato ha 20 anni ed è uno dei jolly offensivi del Napoli Primavera (con cui vince una Coppa Italia di categoria), dove indossa anche la numero 10. Boskov, come detto, lo apprezza al punto da portarlo tra i 'grandi': trequartista, a tratti attaccante, centrocampista offensivo capace di agire anche sull'esterno. Insomma, niente male.
"Avevo 17 anni ed ero in pianta stabile con la prima squadra, ma non mi veniva fatto il contratto - rivela a 'Il Mattino' nel 2018 - All’epoca non avevo il procuratore perché pensavo che fosse una figura che non serviva, poi mi sono ricreduto. Dietro avevo delle sirene che mi parlavano della possibilità di andar fuori e approfittando della legge Bosman decisi di farlo".
Poi cambia tutto.
"Mio padre non stava bene e il Napoli mi richiamava. A quel punto mi offrirono un contratto buono e decisi di rientrare per amore totale verso questi colori. Al Chelsea furono tre giorni di allenamenti e partitine con gente come Gullit, che era l’allenatore, e poi Vialli e Di Matteo. In realtà mi avevano chiesto di stare ancora un po', ma io volevo tornare a Napoli".
"Era il periodo iniziale dell’applicazione della 'sentenza Bosman', io e Gattuso fummo i primi due ad andare all’estero in virtù di ciò - aggiunge Scarlato in un'intervista a 'NapoliSoccer.net del 2020' -Lui andò ai Rangers e io al Chelsea. Ma non rimasi molto, Napoli mi mancava ed avevo voglia di ritornare. Quando il Napoli mi propose il contratto accettai senza battere ciglio. Con il senno del poi dico che la scelta non è stata azzeccata, non per il Napoli ma per me che sarei potuto essere un calciatore completamente diverso".
Scarlato - in mezzo alla 'toccata e fuga' british - coi partenopei riesce ad esordire e collezionare diverse presenze, seppur ritardando il debutto a causa di guai fisici. La tribolata trafila, viene ripercorsa così dal diretto interessato.
"Boskov stravedeva per me e Raffaele Longo ma anche per Carmelo Imbriani, che arrivò dopo, e Alessandro Sbrizzo. Quell’anno sia io che Longo dovevamo giocare titolari, feci tutto il ritiro precampionato da titolare, avevo 17 anni. Alla vigilia della partita di Coppa Italia contro il Lecce, che avrei giocato dall'inizio, subii un grave infortunio con la rottura della tibia. Dopo essere stato fermo per sei mesi, alla ripresa subii di nuovo lo stesso infortunio e alla fine sono stato fermo due anni. Ricordo che era il primo anno in cui si mettevano i nomi dietro la maglia e la numerazione non era più fissa, presi la 17 sfidando la sorte e mi è andata male".
"Avrei dovuto esordire a 17 anni in Serie A ma a causa del brutto infortunio che mi ha tenuto fermo per due anni ho dovuto esordire a 19, immaginate quante presenze avrei potuto fare che non ho fatto e che mi avrebbero segnato la carriera in maniera diversa".
Messi alle spalle i ko, il gran momento arriva.
"Ero aggregato alla prima squadra già da tempo e sapevo che non sarebbe stata una cosa facile perché in una piazza come Napoli, per lanciare un giovane, devi sempre vedere bene le cose. Poi Montefusco subentrò a Simoni e mi buttò dentro, mi conosceva già dal settore giovanile. In realtà io dovevo esordire già nella stagione 93/94 con Lippi. Si giocava Napoli-Cagliari al San Paolo. Poi segnò Oliveira e bisognava mettere un giocatore più offensivo. Così mi risedetti in panchina".
"Dovetti aspettare la stagione 1996/97 e una gara a Verona quando entrai al posto di Aglietti. Perdemmo 2-0. Ricordo che ebbi anche l’occasione per fare goal, ma Guardalben fece un miracolo. Esordii fuori casa e la volta dopo giocai al San Paolo".
Il talento di Scarlato non sfugge a Marco Tardelli, all'epoca ct dell'Italia Under 21, il quale scommette su di lui.
"La Nazionale è qualcosa di unico e spettacolare, ho giocato in Under 17, 18 e 21 ed ogni giocatore che gioca in un club, come ultimo tassello che vuole mettere nella propria carriera è quello della Nazionale. Porto un buon ricordo della selezione azzurra, con cui ho vinto l’Europeo ed ho giocato un’Olimpiade. Sono tutte cose che restano nel cuore e nella mente. Il ricordo più bello dell’Europeo è il goal con la Bielorussia nelle qualificazioni, poi il ricordo della finale è quello che mi è rimasto più impresso, vincemmo quella partita grazie ad una rete di Pirlo su punizione".
"Dell’Olimpiade mi è rimasta la partecipazione, non è da tutti parteciparci. Fu un viaggio lunghissimo, giocammo in Australia e fu emozionante vedere gli atleti di tutte le discipline sfilare. Mi ricordo che parlavo e mi confrontavo con atleti di altri sport per sapere qualcosa in più sulle loro discipline".
Le incertezze societarie e tecniche, tra il '99 e inizio 2000 portano Scarlato a lasciare Napoli in maniera graduale ma man mano definitiva: prestito al Vicenza, poi in comproprietà al Torino. E mentre il suo cartellino è condiviso da azzurri e granata, arriva la svolta che gli cambia la carriera: il prestito al Ravenna, dove da trequartista/attaccante diventa a tutti gli effetti difensore centrale. Una metamorfosi già abbozzata a Napoli, ma mai divenuta realtà.
"Ulivieri fu il primo che mi utilizzò nel ruolo di difensore, durante il precampionato in un’amichevole contro l’Arezzo. Ero giovane e poco propenso al cambiamento, per questo poi mi spostò in avanti. Rumignani, invece, è quello che ha cambiato il mio ruolo utilizzandomi come difensore: da lì è iniziata una nuova carriera calcistica per me. Sono ritornato in Serie A e poi gran parte di Serie B in quel ruolo. Quando mister Rumignani mi disse che potevo fare il difensore io egoisticamente risposi: 'Posso anche cambiare ruolo, basta che mi fai giocare altrimenti è inutile'. Con lui in quel ruolo giocai tre partite e poi venni acquistato dall’Udinese".
"In realtà sono partito come punta, anche se non sono mai stato un vero attaccante. Ero bravo nell’assist: un classico trequartista dai piedi buoni. Mi hanno messo un po' in tutti i ruoli e con Ulivieri (che lo paragonava a Casiraghi, ndr) facevo il centravanti. Ammetto, però, che non avevo la cattiveria del bomber sotto porta anche se ero bravo nelle sponde".
"A Ravenna cambiai tanti ruoli e all’allenatore Rumignani piaceva mettermi in difesa. Mi disse che potevo diventare un buon difensore e dopo tre partite mi prese l’Udinese. Da quel momento è ripartita la mia carriera".
Getty
Dalla Romagna al Friuli con addosso un ruolo nuovo di zecca, dunque: è così che Scarlato trova la propria dimensione. L'Udinese rileva il 50% del cartellino dal Napoli, in bianconero gioca un anno di A come stopper alle dipendenze di Gian Piero Ventura, poi le buste lo rendono interamente di proprietà del Toro. In Piemonte però non trova spazio e così ad investire su Scarlato è la Ternana, che lo acquista a titolo definitivo.
Due stagioni in Umbria, seguite da un segno del destino dai contorni cinematografici: De Laurentiis fonda la Napoli Soccer e - come anticipato a inizio articolo - il club decide di puntare su Scarlato, affidandogli chiavi della difesa.
"Nel 2004 ero alla Ternana ma ero fuori rosa perché avevo uno stipendio molto alto. Quando arrivò la chiamata da parte di Marino, con il quale avevo lavorato a Udine, non ci pensai neanche un secondo. Perché Napoli è Napoli".
Sulla panchina azzurra siede Ventura, che conosce bene Scarlato per averlo allenato all'Udinese.
"Bellissimo, anche perché ero un giocatore diverso e importante. Da giovane tante cose non le capivi e non le vedevi. Ho contribuito fortemente alla rinascita del club. Ventura stravedeva per me e avevamo un ottimo rapporto".
Scarlato è anche capitano del nuovo Napoli.
"In realtà fu il gruppo ad affidarmi la fascia, perché vedeva in me il carisma e la leadership. Una soddisfazione".
Il matrimonio 'bis' coi partenopei procede a gonfie vele, ma l'arrivo di Reja al posto dell'ex ct della Nazionale - al netto di due goal stagionali, di cui uno nella clamorosa rimonta da 0-2 a 3-2 col Foggia - ribalta gli scenari. Al termine del 2004/2005, con tanto di finale playoff di Serie C persa contro l'Avellino, le strade di Scarlato e del Napoli si separano ancora.
"Tutti pensano che io abbia avuto un rapporto contrastante con Reja, ma non è così. L'ho avuto anche a Vicenza a 20 anni ma lì facevo l’attaccante, poi l’ho ritrovato difensore a Napoli. Il mio rapporto con lui è stato buono, anche se qualche diverbio lo abbiamo avuto in quanto avevamo vedute di pensiero diverse. Quando chiedi ad un giocatore importante per la squadra in quel momento quello che pensa, devi anche ascoltare quello che ti dice, magari confrontarti e magari trovare la soluzione insieme. Tante volte questo non avveniva".
Lo scarso feeling con Reja lo porta a salutare nuovamente la propria terra: terminato il prestito in azzurro rientra alla Ternana - dove è fuori dal progetto - che lo gira a titolo temporaneo sempre in B al Crotone e nell'annata seguente allo Spezia. Nel 2007 il Frosinone lo rileva definitivamente dagli umbri, un paio di stagioni coi ciociari e trasferimento al Cosenza.
Tanta cadetteria, in Calabria problemi fisici che ne limitano l'impiego e ultimi scampoli di carriera vissuti tra Serie D ed Eccellenza con Ischia, Città di Marino (dove diventa allenatore-giocatore) e Vico Equense, fino alla decisione di ritirarsi giunta nel 2013.
Oggi Scarlato siede sulla panchina del Benevento Primavera (le Streghe lo hanno promosso dall'Under 17), dopo aver vissuto esperienze da tecnico - oltre alla parentesi di Marino - al Formia e nelle giovanili della Paganese.
"Il bilancio della mia carriera calcistica è positivo, giocare 355 partite tra i professionisti non è da tutti. Potevo fare molto di più per le mie capacità ma non ci sono riuscito, sia per colpa del mio carattere - non mi tengo nulla dentro - ma anche perché nel mio cammino calcistico ho incontrato molte persone poco chiare e poco umane".


