GOALL’ultima partita è un segno del destino: la perfetta chiusura del cerchio, il riconoscimento di un fato beffardo che ha fatto dell’accanimento il motivo ricorrente del suo corso, inarrestabile. Federico Balzaretti non gioca da più di un anno quando scala con fare fiero l’ingresso dello stadio Olimpico di Roma: fermo per una pubalgia che lo costringerà, dopo diverse operazioni in giro per il mondo, a lasciare la sua più grande passione. Non prima del mesto ringraziamento della sorte, la concessione di quella che per un calciatore dovrebbe essere la normalità. L’ultimo ballo.
Sempre per volere di quel destino che gli ha portato via un anno (e chissà quanti in più) della sua carriera, il terzo sguardo che rivolge una volta uscito dalla pancia dello stadio è indirizzato agli avversari: vestono un completo composto da una maglia bianca e da pantaloncini neri. A spezzare la casacca due strisce orizzontali rosanero: al centro lo stemma. Balzaretti lo conosce bene: e qui bisogna fare un passo indietro.
E' il 2007 e a 26 anni è uno dei laterali difensivi più promettenti in Italia: è reduce dalla vittoria della Serie B con la Juventus, ma a fine stagione passa alla Fiorentina di Cesare Prandelli, che su Manuel Pasqual ha costruito le certezze del proprio credo tattico, a sinistra. Le premesse sono anche per questo motivo difficili: a gennaio si affaccia il Palermo che lo preleva alla stessa cifra che ha visto i Viola acquistarlo dalla Juve. Vi chiederete dove vogliamo arrivare: la prima in Serie A, il 26 gennaio, 2 giorni dopo il suo trasferimento in rosanero, la salta. Forse è proprio lì che il destino ha deciso e definito l'epilogo della nostra storia.
GettyAnche perché non bisogna scavare troppo a fondo per vederci più di una coincidenza: all’Olimpico, contro la Roma. Insomma, più di così? Più di così c’è che 2680 giorni dopo quel 26 gennaio 2008 il calcio sceglie questa partita come la più rappresentativa, perfetta a livello celebrativo, per consentire a Federico Balzaretti di lasciare tutto se non come avrebbe voluto, in maniera molto simile.
“Eleonora? È mia moglie: che mix è un piemontese e una siciliana? Siamo due siciliani praticamente perché io sono molto più siciliano di lei”.
Non ha tutti i torti, in fondo. Arrivato in rosanero viene letteralmente assorbito da un tessuto sociale speciale come pochi: al di là delle contraddizioni di una terra splendida quanto “vastasa”, Palermo sa farsi amare. Ti affascina con la storia, ti sorprende con i paesaggi eterni: ti abbraccia, con quell’affetto materno e spontaneo che solo “Ballarò” o “a Vucciria” sanno dare. Vita, panelle e “pane ‘ca meusa’”. Tra un “compà” e l’altro, ti senti a casa.
GettyLa sua, comunque, dista poco più di 1.586 chilometri in auto dal capoluogo siciliano: a Torino le cose puoi guardarle in tre gradazioni cromatiche. O le vedi granata, o bianconere. Tranne se ti chiami Balzaretti, entrato nel 2005 nella speciale categoria dei calciatori che hanno giocato sia nel Toro che nella Juventus. Cresciuto in granata, dopo le esperienze al Varese e al Siena esordisce in Serie A contro l’Inter, nel 2002. Poi 2 ottimi campionati di Serie B da protagonista e il fallimento del club: i pezzi pregiati finiscono sul mercato. Lui ha 24 anni: i bianconeri si fanno avanti. “Balza” va incontro al primo bivio del suo destino.
Giura amore al Toro, nonostante il fallimento incombente, poi firma per la Juve: “La mia scelta l’ho già spiegata e non mi pento. Sarò subissato da fischi, cori, da qualsiasi cosa”, ammetterà 3 anni dopo, quando con il Palermo affronterà, per la prima volta in carriera da avversario, i tifosi granata all’Olimpico. Nel calcio, caro Balza, non c’è troppo spazio per le scelte razionali.
In bianconero gioca anche in Champions League: vanterebbe uno Scudetto, se non fosse per tutto quello che successe tra la fine della stagione e i Mondiali in Germania. Anche in questo caso, la razionalità va a farsi benedire, così come la logica.
GettyCi sono alcuni momenti della carriera di Federico Balzaretti che rimangono impressi nella memoria comune come fotografie indelebili: una, agrodolce, è con la maglia azzurra. Siamo a Kiev e sta per terminare la sera di un primo di luglio che siamo riusciti a dimenticare solo la scorsa estate: è subentrato al 21’ a Giorgio Chiellini, quando tutti lo avrebbero voluto titolare nell’undici che avrebbe perso 4-0 contro la Spagna in finale di Euro 2012.
L’immagine è emblematica: allarga le braccia, dicendo qualcosa a Sergio Ramos, a terra. Lo catechizza: e fa bene, perché in fondo è questo che si fa nel momento più alto della propria carriera. Guardare dall’alto, con la giusta umiltà: Balzaretti è uno dei migliori giocatori dell’Italia agli Europei sfiorati in Polonia e Ucraina. Non inizia tra i titolari, ma guadagna la maglia dalla sfida contro l’Irlanda in poi. In semifinale mette in tasca Podolski, Reus e Klose, ma tiene un po’ di spazio anche per Ozil. La tecnica? Non serve: grinta, cuore e costanza.
GettyAll’inizio della stagione successiva gioca con la Roma: sceglie ancora il numero “42” già indossato a Palermo. Che se fosse anche solo passato da Napoli avrebbero rappresentato con il “caffè” della smorfia, e che le sfere più alte della simbologia vogliono come un rimando alla “divinità” e all’“equilibrio”. Per “Balza”, comunque, è sempre stato qualcosa di oltre.
“Perché il 42? È l’anno di nascita di mio papà”.
Al giallorosso si lega la seconda delle immagini di cui parlavamo sopra: i colori di un primo pomeriggio romano di fine settembre sono unici. La Roma di Rudi Garcia è prima in Serie A, con un rendimento a dir poco incredibile: basti pensare alla striscia di 10 vittorie nelle prime 10 che ai giallorossi non bastò, però, per vincere lo Scudetto al termine della stagione 2013/14.
Metteteci anche che alla quarta c’è il Derby con la Lazio in un Olimpico stracolmo e che all’intervallo si va a riposo sullo 0-0: poi, al 63’, Francesco Totti inventa un cross, dolcissimo, sul secondo palo. Balzaretti ha gli occhi fissi sulla sfera: la guarda cadere mentre si coordina in quello che senza troppi dubbi possiamo definire come il migliore goal, per importanza e difficoltà, della sua carriera. Un mancino al volo che batte Marchetti e che porta in vantaggio i giallorossi: “Balza” impazzisce.
GettySalta con una giravolta i tabelloni pubblicitari, corre a braccia tese urlando ed esulta sotto la Curva Sud, sommerso dai compagni. Infine, scoppia in lacrime: sincere, vere.
Una di quelle esultanze che ti lasciano qualcosa: un brivido, la voglia di correre su e giù per casa, mimandola. Insomma: il senso stretto del calcio. Lo stesso che si rinnova, in toni del tutto differenti, un anno e mezzo più tardi, contro il Palermo, all'ultima di campionato.
“In tanti mi hanno detto: “È l’ultima partita”. È il debutto, forse: una seconda vita”.
Su una cosa ha avuto ragione: Roma-Palermo è stata la sua seconda vita. Per il senso della gara in sé, per quel che è venuto dopo (oggi come direttore sportivo al Vicenza, con tanto di primo posto in classifica nel girone A della Serie C, dopo l'esperienza da opinionista a DAZN): per quel che è venuto prima, soprattutto. Un percorso vissuto come una falcata lungo la fascia: tutto d’un fiato.
