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Dzeko Brozovic InterGetty Images

Cosa aspettarsi da Edin Dzeko all'Inter

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Negli ultimi anni, Edin Dzeko lontano dalla Roma è stata insieme una possibilità motivata da indizi sempre nuovi (spesso una media goal al di sotto delle aspettative oppure uno o l'altro cambio in panchina di una delle squadre di Serie A) e un tormentone di mercato, giunto finalmente al termine, con la chiusura del cerchio e il suo trasferimento all'Inter.

Del bosniaco si è sempre detto tanto in funzione dell'importanza delle sue reti per la formazione giallorossa rapportata al peso nello scacchiere tattico dell'allenatore di riferimento: non è un mistero che una delle doti maggiormente esaltate dell'attaccante sia proprio la capacità tecnica al di sopra della media di molti dei suoi colleghi, fondamentale per la costruzione della manovra.

Edin Dzeko non è Romelu Lukaku: dietro questo assunto scontato per i motivi più disparati, quali, tra gli altri, l'esplosività fisica del belga o l'aspetto anagrafico (assolutamente da non sottovalutare, visti i 7 anni di differenza e la prospettiva futura di un giocatore che compirà 36 anni il prossimo 17 marzo), si cela una sostanziale differenza nel modo di approcciarsi al gioco della prossima Inter, che pur avendo cambiato allenatore non ha snaturato né l'aspetto tattico, dato che si proseguirà con il 3-5-2, né l'impostazione generale di base, la tendenza verticale comune sia ad Antonio Conte che a Simone Inzaghi.

Con Dzeko, però, quest'ultima potrebbe cambiare, almeno quanto lo stesso Inzaghi è cambiato nel corso delle sue stagioni alla Lazio, passando da un gioco in verticale e in profondità sì, ma con poco palleggio, a una manovra sicuramente più ragionata, mantenendo comunque i principi fondamentali.

In questo senso, Inzaghi si trova agevolato nel compito di inserire il bosniaco nel 3-5-2 dalla presenza di tre giocatori su tutti: Lautaro Martinez in avanti, Hakan Calhanoglu e Nicolò Barella a centrocampo. Dal canto suo, Dzeko nelle sue 6 stagioni alla Roma è stato allenato da 5 tecnici (Rudi Garcia, Luciano Spalletti, Eusebio Di Francesco, Claudio Ranieri e Paulo Fonseca), giocando praticamente sempre da unico riferimento centrale nel 4-3-3 o nel 4-2-3-1. Nell'ultima, con Fonseca, anche nel 3-4-2-1. C'è una costante, in tutto ciò.

La sua migliore stagione in Italia in termini realizzativi, quella 2016/17 sotto la guida di Spalletti (39 reti in 52 presenze tra Serie A, Coppa Italia, preliminari di Champions e Europa League), è sintomatica di una certa predisposizione a finalizzare l'azione dopo aver aiutato i compagni a costruirla, grazie alle doti tecniche e alla sua intelligenza. Insomma: la capacità di decidere la sponda corretta, il tempo giusto per scendere a centrocampo e quello per servire in verticale un giocatore.

Negli anni Dzeko si è dimostrato non solo utile, ma soprattutto fondamentale per la Roma, sostituendo le aspettative legate alle sue doti realizzative con quelle legate al gioco. Chi si è seduto sulla panchina giallorossa ha dovuto fare i conti con un giocatore non più atleticamente predisposto agli scatti in profondità, che però può propiziare gli inserimenti senza palla delle mezz'ali e dei trequartisti. In giallorosso è stato così.

Dal canto suo, Inzaghi alla Lazio ha fatto perno sulle doti votate al sacrificio di Ciro Immobile, trasformando i lanci profondi alle spalle dei difensori indirizzati allo stesso Azzurro in un più palleggiato gioco che vedeva l'attaccante scendere a centrocampo e favorire l'inserimento di Milinkovic-Savic e Luis Alberto.

All'Inter non sarà troppo diverso: Dzeko potrebbe giocare in coppia con Lautaro Martinez, molto mobile anche con Lukaku, ma che dovrà saper rispettare i tempi di giocata del bosniaco se vorrà far male in profondità, mentre in mediana se per Barella i compiti non cambieranno molto rispetto al passato, Calhanoglu potrebbe essere chiamato maggiormente al sacrificio in inserimento.

Ora che Dzeko lontano dalla Roma non è più una possibilità, né un tormentone estivo, ma una realtà, cresce la curiosità relativa alla sua efficacia in un nuovo contesto, reso ancor più esigente dalle cessioni dell'attuale sessione di mercato. A Inzaghi il compito di mentalizzare un giocatore spesso influenzato dall'ambiente, chiamato all'ennesima prova della sua carriera.

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