GOALCento metri piani in 10,8 secondi. Poco più di un secondo dal record mondiale detenuto da Usain Bolt. Non male se di mestiere hai fatto dell’atletica leggera il tuo mestiere, un po’ meno se devi farli controllando un pallone con i piedi.
Edgar Alvarez ha attraversato la Serie A come una freccia spuntata: velocemente ma senza lasciare particolari ricordi.
Partito dall’Honduras col Platense, squadra del suo Paese d’origine, l’esterno arriva in Italia grazie al Cagliari. La rete di osservatori del club rossoblù lo aveva scovato durante la sua militanza al Penarol ed era riuscito a ottenerlo in prestito semestrale durante la sessione di mercato invernale del 2004.
A favorire il suo passaggio nel capoluogo sardo c’è poi il suo compagno di nazionale e bomber di metà anni 2000 del Cagliari, David Suazo, in quegli anni vero e proprio artefice della risalita rossoblù.
L’adattamento alla Serie A richiede più tempo di quello che viene messo a disposizione dell’honduregno, che nelle 16 uscite complessive in Sardegna si mette in mostra soprattutto per la sua spiccata propensione offensiva agevolata dalle skill da velocista.
La grande chance arriva con la chiamata della Roma nell’estate del 2005. Le casse di Trigoria languono e in quella sessione di mercato arrivano per lo più calciatori a parametro zero. Assieme a Samuel Kuffour, Shabani Nonda, Rodrigo Taddei e il portiere Doni, si inserisce dunque anche l’honduregno, che nelle idee del club romanista deve andare a rimpolpare una panchina ridotta ai minimi termini.
Mandato in campo il più delle volte a partita in corso, Alvarez non lascia un grande segno sulla sua prima stagione romanista, durante la quale viene ricordato più per il soprannome “Alvaretto” (affibbiatogli, ça va sans dire, da Francesco Totti).
Il suo unico guizzo giallorosso si registra, per ironia della sorte, proprio contro il Cagliari. Nel febbraio del 2005 va in scena una partita surreale.
Giocata nello stadio di Rieti a porte chiuse per squalifica successiva a vergognosi striscioni con riferimenti al Nazismo esposti da una manciata di involuti di fede romanista, la partita vede il Cagliari avanti tre volte e altrettante volte raggiunto dalla Roma.
Al 94esimo, quando la partita sembra incanalarsi verso i binari del pareggio scoppiettante, è proprio Alvarez a subire il fallo in area di rigore che concede alla Roma il match point, prontamente trasformato da capitan Totti.
L’anno successivo, le strade di Roma e Alvarez si dividono per la prima volta. Pur riscattandolo, il club di Spalletti preferisce mandarlo in prestito a Messina.
E’ la prima delle tante peregrinazioni dell’honduregno che nel 2007 passerà ancora una volta a tempo determinato al Livorno e con il quale retrocederà in Serie B. Il secondo guizzo italiano di Alvarez avviene con il suo trasferimento al Pisa per volontà di Gian Piero Ventura
Accolto inizialmente non benissimo per via dei trascorsi con i rivali amaranto, l’esterno trova in Serie B terreno fertile per le sue qualità (più fisiche che tecniche) e finisce così nel mirino del Bari.
Il club pugliese accontenta la Roma con un bonifico da 400mila euro e si aggiudica l’honduregno, che ha la possibilità di ricongiungersi a Ventura.
Il trasferimento al Bari parte però in maniera rocambolesca. Nel breve periodo di riposo estivo concesso ai giocatori, Alvarez si reca in Honduras per trascorrere del tempo con la sua famiglia (anzi famiglie, dato che in patria ha lasciato tre pargoli avuti con tre diverse compagne).
Il 28 giugno 2009 però, l’Honduras diventa teatro di un clamoroso Colpo di Stato ai danni del presidente Manuel Zelaya. L’ex Roma resta bloccato per oltre tre settimane, prima di riuscire a imbarcarsi per Bari.
In Puglia due stagioni da comprimario, prima di un’ultima esperienza italiana ancora più a sud. Alvarez arriva a Palermo nel 2011 e mostra un buon feeling con Devis Mangia, fino al momento in cui il tecnico verrà sostituito da Bortolo Mutti, con il quale non scatta la scintilla.
Nel 2012 l’honduregno lascia per sempre l’Italia, giocando un annetto a fasi alterne con la Dinamo Bucarest prima di tornare in patria da simbolo del movimento calcistico nazionale con la maglia della sua Platense.
I ritmi blandi del campionato caraibico gli permettono di prolungare la sua carriera per altre sei stagioni. Nel 2019 dice addio al calcio una volta per tutte, dopo essersi garantito un posto d’onore nella storia della sua squadra del cuore.
La freccia, dopotutto, doveva in qualche modo finire la sua corsa e far centro in un bersaglio.


